Umberto Eco: E se Cristo fosse solo il soggetto di un grande racconto? Lettera al cardinale Martini (1997)
Enrico Peyretti ci ha segnalato queste pagine della “Lettera al cardinale Martini” di Umberto Eco prese dal libro di Umberto Eco, Cinque scritti morali, Bompiani 1997
Ma Lei dice che, senza l’esempio e la parola di Cristo ogni etica laica mancherebbe di una giustificazione di fondo che abbia una forza di convinzione ineludibile. Perché sottrarre al laico il diritto di avvalersi dell’esempio di Cristo che perdona? Cerchi, Carlo Maria Martini, per il bene della discussione e del confronto in cui crede, di accettare anche per un solo istantel’ipotesi che Dio non sia: che l’uomo appaia sulla terra per un errore del caso maldestro, consegnato alla sua condizione di mortale non solo ma condannato ad averne coscienza, e sia perciò imperfettissimo tra tutti gli animali (e mi consenta il tono leopardiano di questa ipotesi).
Quest’uomo, per trovare il coraggio di attendere la morte, diverrebbe necessariamente animale religioso, e aspirerebbe a costruire narrazioni capaci di fornirgli una spiegazione e un modello, una immagine esemplare. E tra le tante che riesce a immaginare – talune sfolgoranti, talune terribili, talune pateticamente consolatorie- pervenendo alla pienezza dei tempo ha un certo momento la forza, religiosa, morale e poetica, di concepire il modello del Cristo, dell’amore universale, del perdono ai nemici, della vita offerta in olocausto per la salvezza altrui. Se fossi un viaggiatore che proviene da lontane galassie e mi trovassi di fronte a una specie che ha saputo proporsi questo modello, ammirerei soggiogato tanta energia teogonia, e giudicherei questa specie miserabile e infame, che ha commesso tanti orrori, redenta per il solo fatto che è riuscita a desiderare e a credere che tutto ciò sia la verità.
Abbandoni ora pure l’ipotesi e la lasci ad altri. ma ammetta che se Cristo fosse pur solo il soggetto di un grande racconto, il fatto che questo racconto abbia potuto essere immaginato e voluto da bipedi implumi che sanno solo di non sapere, sarebbe altrettanto miracoloso (miracolosamente misterioso) del fatto che il figlio di un Dio reale si sia veramente incarnato. Questo mistero naturale e terreno non cesserebbe di turbare e ingentilire il cuore di chi non crede.
Per questo ritengo che sui punti fondamentali, un’etica naturale – rispettata nella profonda religiosità che la anima – possa incontrassi coi principi di un’etica fondata sulla fede nella trascendenza, la quale non può non riconoscere che i principi naturali sono stati scolpiti nel nostro cuore in base a un programma di salvezza. Se rimangono, come certo rimarranno, dei margini non sovrapponibili, non diversamente accade nell’incontro tra religioni diverse. E nei conflitti di fede dovranno prevalere la carità e la prudenza.
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