Stefano Tassinari, quando muore uno scrittore, un amico, un compagno.
Uno dei suoi libri si titolava non a caso: “L’amore degli insorti”. Un altro “il vento contro”. E contro il vento del cancro ha remato ben otto anni, ogni giorno dopo ogni giorno, ostinandosi a voler rimanere al di qua dello specchio, fin quando ieri quel vento chiamato cancro è infine riuscito a ucciderlo. Eravamo amici, come si è quando si combatte dalla stessa parte della barricata, un’amicizia civile, di comune civiltà, ancora ci si chiamava “compagno”. Regalavo i suoi libri ai figli di amici che volevano sapere e capire cosa era stato per esempio il 77, poi lo pregavo di scrivere una dedica firmata, facendomi bello del fatto di conoscerlo. Scriveva sempre, e quando non scriveva parlava alla radio di letteratura operaia (Radio3) o leggeva in teatro i testi di Esenin, e tutto il resto, raccontava quel che rende vivibile la vita insomma, e tutti noi che vivevamo a Bologna, ma anche molti altri, gliene eravamo grati. A volte sentivi il dolore fisico della malattia trasudare nella voce, senza sapere che fare nè che dire. Così si parlava di politica, o di letteratura, ogni tanto con qualche ricordo antico. Sono del tutto triste, siamo in molti credo. Adesso però non devo esagerare, altrimenti sarebbe capace persino dall’al di là di mandarmi a dire che sì insomma è morto, ma quante cose belle ci sono ancora da fare al mondo e quante rivoluzioni sono possibili, e anche quelle impossibili bisogna comunque provarci, o almeno scriverci un libro, per cui ciao caro carissimo Stefano. Arrivederci.
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