Guido Mocellin: Il sogno evangelico di Faggiolino

| 27 Luglio 2014 | Comments (0)

 

 

 

Diffondiamo da www.vinonuovo.it del 27 luglio 2014

 

I burattini fanno una morte santa. Come quella che certamente ha fatto mons. Giovanni Catti

 

Non è un fascio di notizie più o meno grandi quello con il quale mi congedo dal blog prima della pausa estiva – scusandomi con i vinonuoviani per la mia debole fedeltà delle ultime settimane a questo appuntamento domenicale.

È invece una notizia piccola e che ha faticato a fuoriuscire dall’ambito locale: si tratta della morte, avvenuta tra giovedì 24 e venerdì 25 luglio, di un biblista, pedagogista e catecheta, un prete di quelli “di cui si è perso lo stampo”: mons. Giovanni Catti, presbitero del clero di Bologna.

Aveva appena compiuto novant’anni e con il suo arrivo in Cielo perdiamo l’ultimo rappresentante di quella generazione di sacerdoti che, nati tra gli anni Venti e Trenta e attraversata la guerra, avevano trovato nel card. Lercaro, a Bologna, il pastore capace di valorizzarne i talenti, spesso diversissimi, e nel concilio Vaticano II le idee e gli impulsi per tradurli in un ministero estremamente creativo. Un ministero che si è poi esercitato in pienezza anche lungo l’episcopato del card. Poma e dei suoi ausiliari, mentre ha successivamente sofferto, in alcuni più, in altri meno, l’invincibile freddezza con cui è stato considerato dal card. Biffi. Qualche nome? Luigi Campagnoli, Tullio Contiero, Luciano Gherardi, Giulio Salmi, Paolo Serra Zanetti…

Tornando a mons. Catti, credo che per ricordarlo qui non ci sia niente di meglio che rileggere una sua fiaba, nella quale forse parla di sé più che in tante altre. Si intitola “Il sogno di Faggiolino” e la copio da Borgofavola. Orsogrigio racconta, un volume di 25 racconti illustrati da Francesco Guerrini, voluto dagli amici per festeggiare i suoi settant’anni e pubblicato dalle EDB nel lontano 1994.

“Quando si ritrova, a Natale, a Pasqua o per qualche altro motivo, con quelli che sono stati lupetti o coccinelle o giovani scout con lui qualche tempo fa e con i loro figli, spesso don Catti porta in dono una fiaba”, spiega la quarta di copertina. “Il conversatore fantasioso, l’inventore di parole che si nasconde nel raffinato interprete delle Scritture ben noto a chi segue le sue omelie, mescola storie vere e pure invenzioni, di animali cose fiori che si animano appena giriamo lo sguardo, quando viene buio dentro la nostra casa o in vicini paesaggi, urbani, campestri”.

“Che cosa ci dicono questi racconti? Parlano di un mondo possibile, dove ogni goccia d’acqua ha un nome, i rospo conversano con i libri, i topi baciano pagnottelle”. E i burattini fanno una morte santa. Come quella che certamente ha fatto mons. Catti.

Nel panierone dei burattini, a mezzanotte, Faggiolino si addormentava. Indossava ancora la giacca grigia sopra il buratto quasi bianco, in testa aveva la lunga berretta bianca con il fiocco in fondo. Aveva lavorato molto in due spettacoli, al pomeriggio e alla sera, aveva dato legnate e le aveva prese: aveva chiamato con un fischio il suo bastone di legno di faggio, lo aveva afferrato con due mani, aveva fatto giustizia, o almeno lui pensava di avere fatto giustizia. Fra le risate di bimbi e bimbe si era affaticato. I suoi compagni di lavoro dormivano già: Isabella, sua moglie; Sganapino, suo amico; il dottor Balanzone; e poi Ghiterra Spadacc, gendarme; il diavolo; la morte e poi Brighella, venuto da Venezia, e Sandrone, venuto da Modena o da Reggio Emilia. Si udivano respiri profondi, Ghiterra russava come sempre.

Faggiolino sognava. Stringeva tra le mani il bastone di legno di faggio. Ma un altro legno attirava la sua attenzione. Era un pezzo di legno di pioppo, un pezzo assai più lungo e più grosso del suo bastone. Poggiava sulla spalla destra di un personaggio insolito, nelle commedie dei burattini. Quel legno era bagnato di sangue, di sudore. Faggiolino, allora, entrava in scena. Teneva il bastone orizzontale, e girando su se stesso toccava con il legno le punte dei nasi di tutte le persone lì intorno. Perché intorno a quel povero uomo con il legno sulla spalla destra c’erano diverse persone, molti soldati. Il bastone di Faggiolino incominciava a fare giustizia, alcuni soldati cadevano, altri scappavano.

Ma chi era quel signore ancora in piedi, vestito da gendarme, e parlava con accento napoletano? Forse Ghiterra Spadacc? “Sono Ponzio Pilato, procuratore romano”. Ponzio Pilato? Faggiolino conosceva questo nome: nel panierone, prima di addormentarsi, i burattini venuti di lontano raccontavano molte storie, e in una di queste storie c’era Ponzio Pilato e faceva cose ingiuste, con prepotenza. Adesso era venuto il momento giusto. Faggiolino gli diede un leggero colpo da una parte della testa, un altro colpo meno leggero dall’altra parte, e poi colpi su colpi, sul cranio, sulla groppa, sulle mani alzate, sulle mani pulite, appena lavate. Pilato era steso.

Ma chi era l’altro signore ancora in piedi, vestito di nero, e parlava con accento bolognese? Forse il dottor Balanzone? “Sono il sommo Sacerdote!”. Sommo Sacerdote? Nella storia ricordata prima, insieme con Ponzio Pilato c’era anche il sommo Sacerdote. Con l’estremità del suo bastone, Faggiolino gli toglieva la mascherina nera, e poi giù colpi su quella carne, su quelle ossa. Anche il sommo Sacerdote era steso. Faggiolino si asciugava il sudore, soddisfatto. Però il suo bastone di legno di faggio all’improvviso diventava grande e grosso, si posava sulla sua spalla destra, e lui si trovava alla sinistra di quell’uomo insanguinato e sudato. Perché si trovava lungo questa via?

Portava ancora la giacca grigia e la berretta bianca, ma era nato lontano di qui migliaia di chilometri, circa duemila anni fa. Era un bimbo, assai vivace. Rompeva, infrangeva, spezzava, fracassava molte cose. Era un fanciullo. Vedeva un soldato romano. Il soldato prendeva un uomo per la barba, lo trascinava via, e un bimbo gridava, supplicava. Era un ragazzo. Vedeva un giovane guerrigliero, con il pugnale corto, e il mantello avrebbe nascosto il pugnale. Era anche lui un guerrigliero. Ma una notte sui monti i soldati romani lo avevano trovato, lo avevano legato, e lui era stato condannato a morte. Adesso andava a morire.

Era festa. Era Pasqua. Però lui andava a morire. Che festa di Pasqua! Forse stava già per morire. In questo momento udì una voce. Sembrava la voce di Isabella. Era dolce, come quando Isabella gli diceva: “Bravo. Hai fatto bene”. Era forte, come quando Isabella gli diceva: “Basta. Dammi quel bastone”. Sembrava la voce di Isabella, ma non c’era Isabella. E la voce diceva: “Oggi, anche tu, in Paradiso”.

 

 

Category: Culture e Religioni, Editoriali

About Guido Mocellin: Guido Mocellin (Bologna 1957), editor e giornalista, sposato, due figli, si occupa di attualità religiosa e dei rapporti tra le religioni e la società. È autore sul quotidiano Avvenire della rubrica trisettimanale WikiChiesa. Già direttore editoriale della Editrice Missionaria Italiana (Emi), collabora con varie testate specializzate, tra cui Il Regno, dove è stato a lungo caporedattore. Insegna Giornalismo religioso al Master di Giornalismo dell'Università Cattolica di Milano e altrove, quando glielo chiedono. Partecipa (come può) alla vita della comunità ecclesiale, in particolare all'interno del Centro San Domenico di Bologna e dell'Unione cattolica stampa italiana (UCSI). Nel 2010 ha pubblicato, presso le EDB, la raccolta di storie di fede Un cristiano piccolo piccolo.

Leave a Reply




If you want a picture to show with your comment, go get a Gravatar.