Gianni Minà: Edoardo Galeano, la storia in controcanto

| 13 Aprile 2015 | Comments (0)

 

Diffondiamo da Il Manifesto del 13 aprile 2015

Quando se ne va un amico che ti ha aiu­tato a capire il segreto di una pro­fes­sione, del vivere con degli ideali o ti ha rega­lato il pia­cere della sua parola, come mi è suc­cesso con Eduardo Galeano, viene dif­fi­cile tro­vare le parole adatte per rac­con­tarlo. Tutto suona banale.

Eduardo era, fino a ieri, e da anni, il sag­gi­sta più acuto e one­sto nell’illustrare il fascino del con­ti­nente dove era nato e cre­sciuto, ma anche il nar­ra­tore più sar­ca­stico delle esa­ge­ra­zioni che l’attuale mondo iste­rico ci sbatte ogni mat­tino in fac­cia, sia in Ame­rica Latina che in tutto il mondo.

Così ora mi com­muove pen­sare all’attualità dei suoi iro­nici discorsi, pro­prio in que­sti giorni, in cui sono state spese tante parole sto­nate, dopo l’incontro sto­rico fra Obama e Raúl Castro che dovrebbe chiu­dere final­mente un’assurda “guerra fredda” non dichia­rata fra l’America Latina e gli Stati Uniti d’America, una “guerra fredda” suc­ce­duta alla sua fine uffi­ciale nell’autunno dell’89 e che costringe ora Obama a met­tere da parte per un po’ l’ingerenza nor­da­me­ri­cana nel con­ti­nente latino.

«Sono stato spesso cri­tico con Cuba, ma lo fac­cio con amore e rispetto. Se in Ame­rica Latina la metà della gente è povera, è il libero mer­cato ad aver fal­lito mise­ra­mente, ancora prima del socia­li­smo»Eduardo Galeano

Galeano, qual­che anno fa, pole­miz­zando con Mario Var­gas Llosa per la sua accusa alla mag­gior parte degli scrit­tori lati­noa­me­ri­cani di essere troppo con­di­scen­denti verso la rivo­lu­zione cubana, è stato franco fino al sar­ca­smo: «Var­gas Llosa vede sor­pren­den­te­mente l’America Latina come se fosse un viag­gia­tore nato in una con­tea inglese e non nel Perù del sot­to­svi­luppo e degli orrori. Amo molto Mario, uno dei più grandi scrit­tori viventi, per que­sto mi dispiace che stia facendo una spe­cie di gara con il Nobel Octa­vio Paz, per vedere chi corre più a destra».

E poi, entrando nella con­tesa: «Io sono stato spesso cri­tico con Cuba, ma lo fac­cio con amore e rispetto, non con odio e ran­core, come sem­bra suc­ce­dere a molti che, in altri tempi, si atteg­gia­vano a rivo­lu­zio­nari, e oggi vogliono can­cel­lare ogni trac­cia del pro­prio pas­sato a costo di igno­rare che, se in que­sto con­ti­nente la metà della gente vive sotto la soglia della povertà, è il libero mer­cato, quello che ora chia­miamo il neo­li­be­ri­smo, ad aver fal­lito mise­ra­mente ancora prima del socialismo».

Certo Eduardo non le man­dava a dire e per que­sto sono orgo­glioso di aver lavo­rato 10 anni con lui per fare uscire 7 delle sue opere, in Ita­lia, dove era stato pub­bli­cato, fino a quel momento, solo la tri­lo­gia di Memo­rie del fuoco.

UNA COM­MO­VENTE FOLGORAZIONE

Nel 1971 quando apparve il suo libro Le vene aperte dell’America Latina, fu per molti una vera e pro­pria fol­go­ra­zione, tanto che Hein­rich Böll, scrit­tore tede­sco Pre­mio Nobel per la Let­te­ra­tura 1972, disse: «Negli ultimi anni ho letto poche cose che mi abbiano com­mosso così tanto».

Galeano, in un libro van­gelo di un con­ti­nente allora di moda, aveva inven­tato, a tren­tun anni, un metodo per rac­con­tare la sto­ria par­tendo appa­ren­te­mente dalla pic­cola quotidianità.

Un repor­tage, un sag­gio, una pit­tura murale, un’opera di arti­gia­nato mira­bile, ter­mi­nato di scri­vere in esi­lio, lon­tano dal suo Uru­guay, dopo che aveva dovuto lasciare il suo paese e poi l’Argentina per sfug­gire alla fero­cia di quelle dittature.

Le vene aperte, pro­po­sto per primo dalla Fel­tri­nelli e poi tra­dotto in 18 lin­gue, ha avuto oltre 100 edi­zioni, solo in spa­gnolo. È un’opera tut­tora di straor­di­na­ria attua­lità che denun­cia, ana­lizza e spiega attra­verso epi­sodi appa­ren­te­mente senza impor­tanza e rife­ri­menti sto­rici, spesso tra­scu­rati, il pro­cesso di spo­lia­zione del con­ti­nente lati­noa­me­ri­cano, prima da parte dei con­qui­sta­do­res, poi delle potenze colo­niali e infine degli Stati Uniti.

Forse è per que­sta inci­si­vità che nel 2009, al sum­mit delle Ame­ri­che, a Tri­ni­dad e Tobago, l’ex Pre­si­dente vene­zue­lano Hugo Chá­vez non poté fare a meno di rega­lare a Barack Obama que­sto libro van­gelo di un con­ti­nente dicen­do­gli, con la solita iro­nia: «Pre­si­dente, se vuoi capire qual­cosa di Ame­rica Latina, leg­giti que­sto libro».

Abbiamo il dub­bio che il Pre­si­dente nor­da­me­ri­cano non abbia avuto il tempo di con­sul­tarlo se i rap­porti con Cuba, il Vene­zuela e l’America Latina hanno dovuto aspet­tare altri 6 anni per diven­tare una speranza.

TANTI RICORDI E SENSO DELL’AMICIZIA

I ricordi di un’amicizia sono tanti. Una volta ci ritro­vammo a Bue­nos Aires per un omag­gio alla memo­ria di Osvaldo Soriano. C’era anche la vedova Cathe­rine Bru­cher. Tutti era­vamo emo­zio­nati e per la prima volta anche il severo Eduardo che aveva un senso dell’amicizia fortissimo.

Come tutti i lati­noa­me­ri­cani ado­rava il cal­cio tanto che non obiettò nulla quando io gli dissi che, la casa edi­trice, avrebbe fatto uscire Le vene aperte dell’America Latina in con­co­mi­tanza a El fút­bol a sol y som­bra (tra­dotto in Ita­lia con il titolo Splen­dori e mise­rie del gioco del cal­cio). «Sarà un suc­cesso» disse ed ebbe ragione.

Una volta si accorse che c’era una par­tita di Coppa Ita­lia all’Olimpico, Roma-Inter, semi­fi­nale. Mi chiese di andare con lui allo sta­dio. Ci ave­vano con­si­gliato di uscire 5 minuti prima per evi­tare l’ingorgo. La Roma vinse 2 a 1 e dovetti penare molto per tra­sci­narlo via una man­ciata di secondi prima della fine.

Aveva anche il culto dell’impegno civile. Lui così schivo nella vita accettò una volta di par­te­ci­pare con altri intel­let­tuali al con­trollo delle ele­zioni in Vene­zuela, stra­vinte da Chá­vez, e si arrab­biò molto quando lesse cosa rac­con­ta­vano i ridi­coli cro­ni­sti del mondo occi­den­tale, pur smen­titi nel loro ten­ta­tivo di sva­lu­tare le ele­zioni. Tanto il con­teg­gio del gruppo d’intellettuali, quanto quello della fon­da­zione Jimmy Car­ter, ex Pre­si­dente degli Stati Uniti, ave­vano con­cor­dato, infatti, nell’assoluta cor­ret­tezza delle vota­zioni, ma l’opposizione a Chá­vez non voleva sen­tir ragioni.

Amava la nuova Ame­rica Latina pro­gres­si­sta e nelle sue note non lo nascon­deva, come non nascon­deva la sim­pa­tia per il Sub­co­man­dante Mar­cos e l’Ezln (Eser­cito zapa­ti­sta di libe­ra­zione nazio­nale) da cui andò un paio di volte.

LA VOCE DEI LEA­DER E DEI REIETTI

Ha scritto di lui Isa­bel Allende nel pro­logo all’ennesima edi­zione di Le vene aperte dell’America Latina (pub­bli­cato in Ita­lia da Sper­ling & Kup­fer): «Galeano ha per­corso l’America Latina ascol­tando anche la voce dei reietti oltre che quella di lea­der e intel­let­tuali. Ha vis­suto con indios, con­ta­dini, guer­ri­glieri, sol­dati, arti­sti e fuo­ri­legge; ha par­lato a pre­si­denti, tiranni, mar­tiri, preti, eroi, ban­diti, madri dispe­rate e pazienti pro­sti­tute. Ha patito le feb­bri tro­pi­cali, ha cono­sciuto la giun­gla ed è soprav­vis­suto anche a un grave infarto. È stato per­se­gui­tato sia da regimi repres­sivi, sia da ter­ro­ri­sti fana­tici. Ha com­bat­tuto le dit­ta­ture mili­tari e tutte le forme di bru­ta­lità e sfrut­ta­mento cor­rendo rischi impen­sa­bili in difesa dei diritti umani. Non ho mai incon­trato nes­suno che abbia una cono­scenza di prima mano dell’America Latina pari alla sua, che ado­pera per rac­con­tare al mondo i sogni e le disil­lu­sioni, le spe­ranze e gli insuc­cessi della sua gente».

Ci man­cherà molto.

 

Category: Editoriali, Libri e librerie, Osservatorio America Latina

About Gianni Mina: Gianni Minà, nato a Torino nel 1938, ha iniziato la carriera come giornalista sportivo nel 1959 a Tuttosport (di cui sarebbe stato, successivamente, direttore dal ’96 al ’98). Nel 1960 ha esordito alla Rai come collaboratore dei servizi sportivi per le Olimpiadi di Roma. Nel 1965, dopo aver esordito al rotocalco sportivo Sprint diretto da Maurizio Barendson, ha incominciato a realizzare reportages e documentari per tutte le rubriche che hanno evoluto il linguaggio giornalistico della televisione, Tv7, AZ, i Servizi speciali del TG e poi Dribbling, Odeon, Gulliver. Ha così seguito otto mondiali di calcio e sette olimpiadi oltre a decine di campionati mondiali di pugilato, fra cui quelli storici dell’epoca di Muhammad Alì. Ha anche realizzato, in più di trent’anni, una Storia del Jazz in quattro puntate e programmi sulla musica popolare centro e sudamericana, oltre a una storia sociologica e tecnica della boxe in 14 puntate intitolata Facce piene di pugni. E’ stato, al fianco di Maurizio Barendson e Renzo Arbore fra i fondatori de L’altra domenica, un programma che ha fatto epoca. Nel 1976, anno in cui, dopo 17 anni di precariato, Minà è stato assunto al Tg2 diretto da Andrea Barbato, ha incominciato a raccontare la grande boxe e l’America dello show-business, ma anche dei conflitti sociali delle minoranze. Sono iniziati in quegli anni anche i reportage dall’America Latina che hanno caratterizzato la sua carriera. Nel 1981 il Presidente Pertini gli consegnò il Premio Saint Vincent come miglior giornalista televisivo dell’anno. Nello stesso periodo, dopo aver collaborato a due cicli di Mixer di Giovanni Minoli, ha esordito come autore e conduttore di Blitz, il programma innovativo di Rai Due che occupava tutta la domenica pomeriggio e nel quale sono intervenuti protagonisti come Federico Fellini, Eduardo De Filippo, Muhammad Alì, Robert De Niro, Jane Fonda, Gabriel Garcia Marquez, Enzo Ferrari, ecc.. Nel 1987 Minà ha intervistato una prima volta per 16 ore il presidente cubano Fidel Castro in un documentario diventato storico e dal quale è stato tratto un libro pubblicato in tutto il mondo. Dallo stesso incontro è stato tratto Fidel racconta il Che, un reportage nel quale il leader cubano per la prima ed unica volta racconta l’epopea di Ernesto Guevara. Nel 1990 il giornalista ha ripetuto l’intervista, dopo il tramonto del comunismo. I due incontri sono ora riuniti in un libro edito da Sperling & Kupfer intitolato Fidel. Nel 1991 Minà ha realizzato il programma Alta Classe, una serie di profili di grandi artisti come Ray Charles, Pino Daniele, Massimo Troisi, Chico Buarque de Hollanda e altri. Nello stesso anno, ha presentato la Domenica sportiva e ideato il programma di approfondimento Zona Cesarini che seguiva la tradizionale rubrica riservata agli eventi agonistici. Tra gli altri programmi realizzati, Un mondo nel pallone, Ieri, oggi… domani? con Simona Marchini ed Enrico Vaime e due edizioni di "Te voglio bene assaje "lo show ideato da Lucio Dalla e dedicato un anno alle canzoni di Antonello Venditti, e l’altro di Zucchero. Fra i documentari di maggior successo, alcuni di carattere sportivo su Nereo Rocco, Diego Maradona e Michel Platini, Carlos Monzon, Edwin Moses, Pietro Mennea e Cassius Clay-Muhammad Alì, che Minà ha seguito in tutta la sua carriera e al quale ha dedicato un lungometraggio intitolato Una storia americana. Nel 2001, in particolare, Minà ha realizzato "Maradona: non sarò mai un uomo comune" un reportage-confessione con Diego Maradona alla fine dell’anno più sofferto per la vita dell’ex calciatore. Maradona, per 70 minuti, racconta il suo controverso rapporto con l’Argentina e la politica del suo paese, il suo soggiorno a Cuba, la sua ammirazione per Che Guevara e infine come e perché ha deciso di lasciare il calcio. Nel 1992 il giornalista ha iniziato un ciclo di opere rivolte al continente latinoamericano: Storia di Rigoberta sul Nobel per la pace Rigoberta Menchù (premiato a Vienna in occasione del summit per i diritti umani organizzato dall’Onu), Immagini dal Chiapas (Marcos e l’insurrezione zapatista) presentato al Festival di Venezia del 1996, Marcos: aquì estamos (un reportage in due puntate sulla marcia degli indigeni Maya dal Chiapas a Città del Messico con una intervista esclusiva al Subcomandante realizzata insieme allo scrittore Manuel Vázquez Montalban) e Il Che trent’anni dopo ispirato alla vicenda umana e politica di Ernesto Che Guevara. Nel 2004 Minà è riuscito a dar corpo a un progetto inseguito per undici anni e basato sui diari giovanili di Ernesto Guevara e del suo amico Alberto Granado quando, nel 1952, attraversarono in motocicletta e poi, con tutti i mezzi possibili, l’America Latina, partendo dall’Argentina e proseguendo per il Sud del Cile, il deserto di Atacama, le miniere di Chuquicamata, l’Amazzonia peruviana, la Colombia e il Venezuela. Dopo aver collaborato alla costruzione del film tratto da questa avventura e intitolato "I diari della motocicletta", prodotto da Robert Redford e Michael Nozik e diretto da Walter Salles (il regista che fu candidato all’Oscar per Central do Brasil) Minà ha realizzato il lungometraggio In viaggio con Che Guevara, ripercorrendo con Alberto Granado ora ultraottantenne, quell’avventura mitica che cambiò la sua vita e quella del suo amico Ernesto. L’opera invitata al Sundance Festival, alla Berlinale e ai Festival di Annecy, di Morelia (Messico), di Valladolid e di Belgrado, ha vinto il Festival di Montreal e in Italia il Nastro d’Argento, il premio della critica. Collaboratore per anni di Repubblica, Unità, Corriere della Sera e Manifesto, Minà ha realizzato dal ’96 al ’98 il programma televisivo Storie, dove sono intervenuti alcuni dei protagonisti del nostro tempo (Dalai Lama, Luis Sepulveda, Martin Scorsese, Naomi Campbell, John John Kennedy, Pietro Ingrao, ecc.) e dal quale sono stati tratti due libri. Un suo saggio Continente desaparecido, realizzato con interviste a Gabriel Garcia Marquez, Jorge Amado, Eduardo Galeano, Rigoberta , mons. Samuel Ruiz, Frei Betto e Pombo e Urbano, compagni sopravvissuti a Che Guevara in Bolivia ha dato il titolo a una collana di saggi sull’America Latina edita dalla Sperling & Kupfer, tuttora da lui diretta. Nel 2003 Minà ha scritto Un mondo migliore è possibile, un saggio sulle idee germogliate al Forum sociale mondiale di Porto Alegre che stanno cambiando l’America Latina e che è stato già tradotto in lingua spagnola, portoghese e francese. Nel 2005 è uscito Il continente desaparecido è ricomparso, dove questo nuovo vento politico è interpretato da Eduardo Galeano, Fernando Solanas, Hugo Chávez, presidente del Venezuela, Gilberto Gil, cantautore e ministro della Cultura del Brasile e dagli scrittori Arundati Roy, Tarik Ali, Luis Sepulveda, Paco Taibo II e dai teologi Leonardo Boff e Francois Houtart. Attualmente il giornalista edita e dirige la rivista letteraria Latinoamerica e tutti i sud del mondo (www.giannimina-latinoamerica.it) un trimestrale di geopolitica dove scrivono gli intellettuali più prestigiosi del continente americano, di cui l’ultimo numero ha venduto oltre 10.000 copie.Tre anni fa Minà è stato eletto nell’assemblea della SIAE e fa parte del comitato che idea e realizza Vivaverdi , la rivista degli autori italiani.

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