Federico Martelloni: Ricordo di Giovanni Naccari
In una sera romana di fine agosto Giovanni Naccari ci ha lasciato.
Se n’è andato al calare del sole, compiendo una scelta dolorosa che non possiamo che rispettare, anche se lascia un vuoto incolmabile e un’immensa tristezza nei cuori dei tanti che hanno con lui condiviso innumerevoli battaglie politiche, giuridiche e sindacali in difesa dei diritti dei lavoratori.
Attivo nella CGIL sin dagli anni ’70, Giovanni aveva partecipato, nel 1987, assieme a Bruno Trentin, Alfiero Grandi e Antonio Lettieri, alla fondazione della Consulta giuridica, dove aveva speso il proprio impegno, laborioso e appassionato, specie nel corso degli anni ’90.
In qualità di componente del comitato scientifico della Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale aveva affinato le proprie conoscenze in tema di diritto sindacale e del lavoro, subito spese in un fitto e proficuo dialogo con la politica, a partire dalla Commissione lavoro della Camera, al tempo presieduta dall’On. Prof. Giorgio Ghezzi, che avrebbe poi assunto la direzione della Rivista.
Per vero, l’intreccio tra dimensione giuridica e sfera politica è stata, sempre, la sua ossessione. Lo fu sul crinale del secolo, quando si trattò di contrastare, sul piano tecnico e politico, l’iniziativa referendaria dei radicali sull’art. 18 che Giovanni considerava, giustamente, non soltanto architrave della disciplina statutaria ma, più in generale, primo testimone di un matrimonio invocato nella Costituzione ma troppo a lungo rinviato: quello tra lavoro e libertà. Lo fu, nei primi anni del nuovo secolo, quando avvertì, insieme a tanti, che il contrasto alle politiche del lavoro del Governo Berlusconi andava accompagnato sul terreno della proposta: molti ricordano quanto prezioso fu il lavoro che svolse in qualità di promotore e coordinatore delle proposte di legge d’iniziativa popolare elaborate dalla Cgil e della relativa raccolta di firme. E per qual poco che l’ho conosciuto, scommetterei sul fatto che ne abbia raccolte, materialmente e personalmente, più di chiunque altro.
Dopo l’esperienza nel sindacato, Giovanni è stato il motore dell’Associazione per i diritti sociali e di cittadinanza, che volle caparbiamente e che ha mosso fino al suo ultimo giorno di vita, con la furia di un ragazzo. Non il conducente: il motore, appunto. Perché a Giovanni non importava muovere le cose. Gli importava solo che le cose si muovessero nella direzione giusta. Un secondo, più che un pugile. Nella pubblica arena, un secondo che non getta mai la spugna, mentre la sfera privata è il luogo insondabile e inviolabile ove talvolta echeggia, inaspettato, l’antico verso settecentesco “mi lagnerò tacendo”.
A chi resta, come qualcuno ha scritto, si pongono gli interrogativi senza risposta e una sorta di dolorante rammarico, mentre si deve proseguire – com’è giusto e doveroso – sulla via comune di vecchie e nuove battaglie, simulando il riempimento di un vuoto che non si colma.
Per certo, ha sussurrato un compagno di strada, su quella stessa strada affiora il ricordo di un uomo dotato di naturale eleganza. Di modi garbati, idee semplici e passioni forti. Un uomo la cui esibita fragilità era cortesemente e generosamente adoperata per chiamare all’impegno, a rilanciare, a riprovarci.
A mirare alto con spirito sereno, anche nella tempesta.
O almeno a resistere un minuto di più.
Category: Editoriali
Io Giovanni l’ho conosciuto sul posto di lavoro e con gli anni posso dire che fossimo diventati amici,avendolo sentito pochi giorni prima che succedesse anche io mi sono chiesto tante volte e forse rimproverato di non aver capito fino in fondo cosa gli passasse per la testa,anche se avevo notato che il suo entusiasmo per la vita negli ultimi tempi si era un po spento,mi mancheranno il suo garbo, la sua elegante simpatia perché Giovanni era veramente una persona di animo nobile e naturalmente e non forzatamente gentile,mi mancheranno le nostre chiacchierate serali a garbatella