Enrico Peyretti: 4 novembre 2015. Nel terzo anniversario della morte di Pier Cesare Bori
Oggi è il terzo anniversario della morte di Pier Cesare. Quel che ci ha detto e dato cresce di valore nel tempo interiore della mente e del cuore. Propongo qui di ascoltarlo di nuovo, con affetto e gratitudine, nelle ultime righe del suo ultimo scritto, CV (curriculum vitae), steso faticosamente in un mese, chiuso poco più di due mesi prima di morire. Queste righe sono alle pp. 151-152 di CV, 1937-2012, Il Mulino, 2012.
Pier Cesare Bori: Con questo silenzio anch’io mi fermo.
Come già accennavo la spaccatura aveva marcato tutta la mia vita, che sembrava tutta vanamente impegnata a colmarla. Ero «spaccato» (Margherita l’aveva capito).
Cristianesimo, ebraismo, islām, buddhismo: mistica o mondanità, monachesimo o laicità, cattolicesimo umanista ed essenzialità quacchera, rinuncia alla bellezza e via della bellezza.
Tante possibilità che si delineano anche in volti di amici così diversi fra di loro, pure tutti affabili. Preghiera o meditazione.
Ecco, volevo dire che intravvedo adesso – nell’unità della mia vita concreta e nella connessione di questa con tutte le altre vite – una ricomposizione possibile.
Forse è giusto che la si intraveda solo ora, verso il termine, mentre in itinere le divisioni restano, e del resto chissà quali prove e tentazioni mi e ci attendono ancora. Ma è importante indicare che questa unità è possibile, indicare una direzione.
È possibile – dico ancora questo, che è vitalmente importante – imparare a vivere nella tranquilla e continua transizione dall’invocazione per tutto quello che non siamo e non abbiamo ancora (Luca 10, 13) alla contemplazione in cui, ben saldi nell’ imago Dei, guardiamo consapevoli, sorridendo, al trascorrere della figura di questo mondo.
Altri interventi per ricordare Pier Cesare Bori nel terzo anniversario della morte in questa rivista on line nella rubrica “Pier Cesare Bori e la rivista Inchiesta”
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