Bruno Giorgini: Ascoltando Bob Dylan il 25 aprile a Genova

| 26 Aprile 2018 | Comments (0)

 

 

Canta Bob Dylan all’RDS Stadium di Genova strapieno la sera del 25 Aprile: “Non sono pentito di nulla, sono felice di aver lottato, vorrei solo che avessimo vinto..”

Quando dopo un’ora e cinquanta minuti di canzoni e ballate ininterrotte finisce e la Band abbandona il palco, usciamo sapendo di avere assistito a un concerto di resistenza umana eccezionale, non solo io ma mi pare più o meno tutti/e. E’ un pubblico solidale, ci si riconosce a colpo. Se qualcuno cerca la sinistra quasi ovunque introvabile, qui la incontra senza bisogno di slogan, pugni chiusi, tessere e distintivi. Basta osservare come le persone si muovono, solidali l’una con l’altra pur senza conoscersi formalmente, in un afflato di empatia che attraversa il corpo collettivo dei presenti.

Per chi c’era: qualcosa che mi ha ricordato, seppure in un contesto assai meno drammatico, il concerto intensissimo in omaggio a Demetrio Stratos tenutosi il 14 giugno 1979 a Milano – Demetrio era deceduto il giorno prima. E chi non c’era può leggersi il magistrale testo poetico di Nanni Balestrini Black Out.

Ma torniamo a Genova il 25 aprile 2018. Si comincia a mezza mattina con una visita alla sede dell’ANPI di Nervi in piena festa. Ballano, ridono, scherzano guardando il mare, preparano il buffet per il pranzo, la sede è a picco sulle onde con un’ampio spazio all’aperto. I baldi giovanotti e le combattive signore dell’ANPI di Nervi hanno non molti mesi fa contestato in modo robusto una inziativa di Casa Pound, che infatti è per ora scomparsa dalla circolazione, conquistandosi una fama cittadina e molte simpatie ben oltre i confini istituzionali dell’associazione.

Quando giungono le notizie dei fischi al sindaco di centrodestra Bucci in Piazza Matteotti durante la manifestazione ufficiale nessuno si strappa i capelli o ci bada più di tanto. Son cose della politica sembrano dire, estranee al loro antifascismo, per alcuni ben radicato nel tempo, almeno da quel 25 Aprile quando i soldati tedeschi, circa seimila, si arresero ai partigiani insorti. Questo conta, questa è la memoria altro che le stentate parole di Bucci, che per altro chissà cosa ha detto o voleva che qui non lo ha ascoltato nessuno.

E viene il momento di avviarsi al concerto. Non c’è nulla. Non un maxischermo, non un orpello, non una ouverture per ingannare l’attesa, niente di niente se non scomodissimi sedili dove accalcarsi, ma senza un filo di tensione o uno sgarbo vuoi pure minuscolo.

Quando al buio la Band entra con Dylan buon ultimo, puntuali alle nove come orologi svizzeri, scattano gli applausi e insieme esplode la musica, si alzano le luci, si intravede Bob al pianoforte con la voce magica e densa che si innesta, trasfondendosi e permeando l’intero spazio, il concerto comincia, lasciandoci tutti ammutoliti per l’emozione. A volte la musica guida la voce, a volte è il viceversa, altre volte sembrano andare la musica in un verso la voce in un altro, capita che il suono diventi purissimo per venire “sporcato” un istante dopo da una intromissione trasversale, la voce tanto esile fino all’inudibile che riemerge come dopo un’apnea prolungata in un grido di gioia, funziona tutto e il suo contrario, l’essenziale che diventa barocco, il barocco trasmutando in neoclassico, per prorompere nel romantico, e quando credi che stia sdilinquendosi nel sentimentalismo, una raffica di suoni secchi come fucilate ti riportano alla durezza del vivere.

E le parole che fatichi ad afferrare compiutamente, le capisci lo stesso perchè si intridono con la musica e con le modulazioni della voce in un unico impasto che è materia sensibile nuova, materia che prima del concerto, la gran macchina che la crea e produce, non esisteva e dopo rimane in te nel senso di una accresciuta, più larga e profonda percezione del mondo, quasi la scoperta di una nuova dimensione spaziotemporale.

Però di un paio di testi voglio dar conto, non so se rappresentativi o se soltanto hanno colpito me. Uno fulminante: “Se la Bibbia dice il vero il mondo sta per esplodere, io sto cercando di fuggire il più lontano possibile da me stesso…” Parole che risuonano enigmatiche e insieme dense di significati come quelle degli antichi sapienti.

Oppure in Duquesne Whistle: “un fischio che soffia come stesse andando a spazzare via il mondo..” e cosa rimane, soltanto l’amore “sei l’unica cosa che mi è rimasta, sei come una bomba a orologeria nel mio cuore..”, e sette anni fa a Duquesne, nel Midwest un tornado spazzò sul serio via persone, speranze, case, vite, l’amore diventando nella realtà una bomba a orologeria piantata nel cuore. Laddove la Bibbia si intreccia così col cambiamento climatico.

Col che diventa quasi imperativa la lettura di “Dylan Lyrics” Feltrinelli, radendo al suolo ogni polemica sul Premio Nobel che gli è stato assegnato, dimostrando anche quanto Bob fu un un visionario preveggente quando scelse Dylan come nome d’arte, con riferimento a Dylan Thomas grande grande poeta. In fine. Certamente sono uscito dal concerto incazzato nero per come va il mondo ma anche pieno di allegria, e convinto che se pure una risata non li seppellirà, però valga la gioia di farla questa famosa risata. E comunque finchè c’è Dylan c’è speranza.

 

Category: Arte e Poesia, Editoriali, Guardare indietro per guardare avanti, Osservatorio sulle città

About Bruno Giorgini: Bruno Giorgini è attualmente ricercatore senior associato all'INFN (Iatitutp Nazionale di Fisica Nucleare) e direttore resposnsabile di Radio Popolare di Milano in precedenza ha studiato i buchi neri,le onde gravitazionali e il cosmo, scendendo poi dal cielo sulla terra con la teoria delle fratture, i sistemi complessi e la fisica della città. Da giovane ha praticato molti stravizi rivoluzionari, ha scritto per Lotta Continua quotidiano e parlato dai microfoni di Radio Alice e Radio Città. I due arcobaleni - viaggio di un fisico teorico nella costellazione del cancro - Aracne è il suo ultimo libro.

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