Vincenzo Comito: Note sintetiche sulla storia e geografia della povertà nel mondo
Intervento di Vincenzo Comito pubblicato da “Inchiesta” ottobre-dicembre 2012 pp.17-20 . L’intervento è stato fatto in relazione alla iniziativa del del 4 dicembre 2012 a Bologna organizzata dalla campagna Banning Poverty 2018 insieme alla campagna referendaria per i diritti del lavoro “L’Otto per il Diciotto”
Premessa
le note che seguono cercano di presentare in maniera molto sintetica alcuni aspetti di tipo storico e geografico relativi al fenomeno della diffusione della miseria nel mondo. Il testo non appare quindi una trattazione esauriente del fenomeno, trattazione che richiederebbe uno scritto di ben più considerevoli dimensioni. Si tratta, per altro verso, di una trascrizione rivista ed un poco ampliata di un intervento svolto dall’autore in occasione di un seminario sull’argomento che si è tenuto a Bologna il 4 dicembre 2012 organizzato dalla campagna “Banning poverty 2018” insieme alla campagna referendaria per i diritti del lavoro “l’Otto per il Dicotto”.
Il quadro storico
Armand Testart è un importante antropologo sociale francese, molto esperto anche in altre discipline correlate, dall’archeologia all’etnologia. Egli ha pubblicato a Parigi nel novembre del 2012 un volume abbastanza fitto, di circa 550 pagine, dal titolo Prima della storia (Testart, 2012); il testo, che analizza dal suo angolo visuale i periodi del paleolitico e del neolitico a livello mondiale, è in sostanza, per i suoi contenuti, un discorso sull’origine della ricchezza e della povertà nel mondo.
Sulla base anche delle più recenti scoperte sul campo, Testart mostra come la miseria sia una calamità di invenzione relativamente vicina a noi nel tempo. Essa, per l’autore, nasce quando le terre diventano dei beni come gli altri, che si possono vendere e comprare e così, al contrario che nel periodo precedente quando esse appartenevano a chi le lavorava, gli uomini si trovano privati dei mezzi di produzione. Prima nessuno soffriva la fame. I poveri, nella sostanza, appaiono per l’autore probabilmente appena prima dell’antichità classica; l’invenzione della ricchezza è del periodo neolitico ed in alcune aree questo significa un periodo che si aggira intorno all’anno 2000 prima della nostra era. Anzi, l’autore sottolinea come la plebe dell’antica Roma fosse per la gran parte formata da ex-contadini espropriati.
Le indicazioni di Testart appaiono, tra l’altro, una dimostrazione abbastanza efficace del fatto che sin dalle origini la povertà non è un fatto naturale, ma una costruzione sociale.
Queste informazioni ci rimandano alla memoria anche un fatto certamente più conosciuto e più recente, quello delle cosiddette enclosures inglesi. Anche in questo caso, con un fenomeno che prende le sue mosse a partire dal XV secolo e che viene poi legalizzato dal parlamento dell’isola nella seconda metà del ‘700 mentre si diffonde anche ad altri paesi europei, i grandi proprietari terrieri cacciano dai loro villaggi e dalle loro terre una massa di contadini, che sono così gettati all’improvviso nella miseria e andranno poi a costituire almeno in parte la base di quel proletariato urbano in formazione che avrebbe fornito la manodopera a basso prezzo delle nascenti manifatture e della successiva rivoluzione industriale. Questo fatto, mentre conferma che la povertà è una costruzione sociale, mostra anche chiaramente che essa ha origine nella violenza dei ricchi e dei potenti.
Ma veniamo ad un periodo ancora più recente, il ventesimo secolo.
La crescita economica ha portato dal 1900 in poi ad una diminuzione rilevante dei livelli di povertà nel mondo. Per convenzione si definisce come situazione di povertà estrema quella in cui qualcuno guadagna meno di un dollaro al giorno. Utilizzando questo criterio, una situazione di questo tipo toccava all’incirca ben il 70% della popolazione mondiale all’inizio del secolo; oggi invece la percentuale si aggira “soltanto” intorno al 20%, quindi con una fortissima caduta a livello complessivo (Bourguignon, 2012). E questo grazie al rilevante sviluppo economico che si è manifestato nel periodo, anche se con alti e bassi.
Per quanto riguarda i valori assoluti, nel 1929 i poveri, secondo il criterio sopra ricordato, erano all’incirca 1,4 miliardi; la cifra, soprattutto per l’aumento della popolazione verificatosi nel frattempo, era salita a circa 2,0 miliardi nel 1980, mentre nel 2005 eravamo tornati intorno agli 1,4 miliardi. Ma, se prendiamo in considerazione un criterio un po’ più restrittivo, che considera due dollari al giorno invece di uno, ecco che i poveri diventano circa 3 miliardi, quasi la metà della popolazione mondiale (Bourguignon, 2012). Si tratta di una cifra estremamente preoccupante; essa mostra come una parte molto consistente della popolazione mondiale viva nella costante prossimità ad una situazione di grande precarietà.
Ricordiamo anche come la povertà si concentri peraltro in alcune categorie: in generale nel mondo l’80% dei poveri sono contadini e i due terzi del totale donne. Anche il caso indiano mostra come in generale la povertà colpisca in maniera abbastanza selettiva. Nel paese asiatico i poveri sono essenzialmente i mussulmani, gli intoccabili e gli aborigeni (Jaffrelot, 2012).
Il quadro geografico
–i paesi del Terzo Mondo
Esaminiamo ora brevemente la situazione come essa si configura oggi da una parte per quanto riguarda gli stati che fanno parte di quello che una volta si chiamava Terzo Mondo e dall’altra quelli occidentali sviluppati.
Analizzando la prima categoria di paesi, una cosa che balza quasi subito evidente è la complessa relazione che esiste tra crescita economica, diseguaglianze di reddito e di ricchezza, livelli di povertà. Concentriamo a questo proposito l’attenzione sull’evoluzione negli ultimi decenni di questi fenomeni in India da una parte, in Cina dall’altra.
L’India è uno dei paesi nei quali il tasso di crescita del pil tra il 1991 e il 2011 è stato tra i più elevati al mondo; esso è aumentato in media del 7% all’anno nel periodo che va dal 2000 al 2010, anche se adesso tale dinamica è un po’ rallentata (per il 2012 si prevede una crescita del 5,4%). Ma nel frattempo sono cresciute anche le diseguaglianze: il coefficiente di Gini, che è l’indicatore in genere più adoperato per misurare il fenomeno, misurava un valore di 0,303 nel 1993-94 ed esso era salito a 0,362 nel 2009-2010 (Jaffrelot, 2012). Intanto l’andamento dei livelli di povertà non appare soddisfacente. Utilizzando il coefficiente standard della Banca Mondiale, che indica l’esistenza di una situazione di povertà con un livello di reddito al disotto di 1,25 dollari al giorno per persona, si riscontra che nel 1981 il 60% della popolazione del paese si trovava in tale situazione, mentre tale percentuale era scesa al 42% nel 2005. Ma in valori assoluti la situazione si presentava come peggiore di prima, perché il numero assoluto di poveri era nello stesso periodo cresciuto, passando da 421 milioni a 456 (Jaffrelot, 2012). Va peraltro considerato che negli ultimi anni sia la percentuale che il numero assoluto dei poveri sono però diminuiti. Ma va peraltro ricordato che ancora oggi il 50% circa delle abitazioni del paese mancano dei servizi igienici e che tra il 40 e il 50% dei bambini indiani sono malnutriti (Desai, 2009).
Abbastanza diversa la situazione nell’altro grande paese, la Cina. In questo caso tra il 1979 e il 2011 la crescita media annua del pil è stata intorno al 10%. Così lo sviluppo dell’economia è stato ancora più forte che nel caso dell’India, ma anche più forte appare oggi il livello delle diseguaglianze; secondo una fonte, la China Development Research Foundation (ma altri studi danno valori un po’ differenti), il coefficiente di Gini in questo caso si situava a meno di 0,300 nel 1978 e si collocava ormai a 0,480 oggi. Invece molto più positivamente si è configurato nel tempo il trend della povertà, che è sostanzialmente crollata nel paese. Nel 1981 il 44% dei poveri del mondo si trovava in Cina, nel 2005 solo il 15%, contro il 33,1% nello stesso anno dell’India e il 28,4% dell’Africa sub-sahariana (De Vreyer, 2009). Oggi si può supporre che siamo ormai scesi ulteriormente sino a intorno al 10%, con tendenza ad un’ulteriore riduzione. Comunque, secondo la Banca Mondiale, il numero dei poveri è diminuito di 600 milioni di unità nel paese tra il 1981 e il 2005 (World Bank, 2009).
I casi dell’India e della Cina mostrano, alla fine, come politiche diverse portate avanti dai governi dei vari paesi possano portare a risultati anche molto differenti, con divaricazioni che appaiono persino sbalorditive, anche se in India siamo di fronte ad un regime più democratico che in Cina e quindi in una situazione in cui il malcontento della popolazione dovrebbe potersi manifestare in forme più libere e più incisive.
–i paesi occidentali
Per quanto riguarda la situazione dei paesi occidentali, si può partire ricordando come, per analizzare la situazione di tale area, si ricorresse sino a ieri alla distinzione tra povertà assoluta e povertà relativa. Quella assoluta era considerata come un fenomeno proprio dei paesi del Terzo Mondo, mentre in Occidente essa sembrava al massimo un fenomeno residuale, in via di sparizione. Nel nostro mondo si poteva al massimo parlare di povertà relativa, andando a misurare quale percentuale della popolazione si collocava sotto il 40-50-60% del valore medio o mediano del reddito di un paese.
Ma grazie alla crisi e alle conseguenti politiche di austerità perseguite con cieco accanimento in particolare in molti paesi europei la situazione sta rapidamente cambiando.
Qui di seguito riportiamo alcune informazioni di tipo sostanzialmente qualitativo che abbiamo raccolto in proposito consultando la stampa quotidiana di alcuni paesi; i dati citati si riferiscono a Inghilterra, Grecia, Francia, Stati Uniti:
-per quanto riguarda l’Inghilterra, ricordiamo intanto l’evoluzione nel tempo di un fenomeno tipico del paese, quello dei “breakfast club”. Si tratta di iniziative che, finanziate dalle contee e da organizzazioni del volontariato, mettono a disposizione dei locali nei quali i bambini possono andare a consumare gratuitamente la prima colazione prima di andare a scuola. Ebbene, il numero di tali punti di distribuzione ha raggiunto in passato le 20.000 unità. All’inizio essi erano frequentati soprattutto dai figli di genitori ambedue con un lavoro, ciò che spesso non lasciava loro il tempo di occuparsi della prima colazione dei figli. Ma nell’ultimo periodo essi sono frequentati ormai per circa i due terzi da bambini che altrimenti non riuscirebbero a mangiare perché i loro genitori non dispongono di un reddito sufficiente. Di recente il governo ha tagliato i contributi erogati alle contee per tale servizio e quindi il numero dei breakfast club sta rapidamente diminuendo (Rayner, 2012). Peraltro, il centro studi delle Trade Unions ha di recente calcolato che con i tagli di bilancio del governo si ridurrà del 30% entro il 2017 il reddito delle famiglie più povere del paese (Stewart, 2012).
-venendo ora alla Grecia, ricordiamo che nell’ultimo periodo le pensioni sono state tagliate ben cinque volte. Immaginiamo cosa può essere successo a chi già in partenza godeva di una pensione molto bassa. Per altro verso, mentre il sistema sanitario è allo sbando per mancanza di risorse, si va registrando nel paese il ritorno di malattie che si ritenevano scomparse, come la tubercolosi e la malaria.
-con riguardo alla Francia si segnala come il quotidiano Le Monde sia uscito nel numero del 4 dicembre con il titolo principale della prima pagina che annuncia che il 23% dei giovani francesi sia ormai da considerarsi come poveri (Krémer, 2012), una cosa veramente impensabile anche soltanto alcuni anni fa. Nel paese esiste poi una istituzione che si chiama Les restos du coeur, fondata a suo tempo dal comico Coluche, che fornisce dei pasti caldi in inverno ai bisognosi. Ebbene, la frequentazione di tali locali è aumentata del 30% tra il 2007 e il 2011 e per il 2012-2013 è previsto un altro, importante aumento di tale numero. Un’indagine specifica svolta nel dipartimento delle Alpes Maritimes mostra poi che la maggioranza dei frequentatori di tali mense non è costituita da disoccupati, ma da lavoratori poveri e da pensionati poveri.
Ovviamente se facessimo delle indagini in Italia presso le strutture della Charitas troveremmo plausibilmente delle cifre non molto dissimili.
Ricordiamo infine come negli Stati Uniti si stimi ormai in una cifra che si aggira intorno ai 50 milioni il numero degli abitanti poveri del paese.
Testi citati nell’articolo
-Bourguignon F., La mondialisation de l’inégalité, Seuil, Parigi, 2012
-Desai M., “Un paese di successo che resta molto povero”, Limes, n. 6, 2009
-DeVreyer P., Pauvreté et inégalités dans le monde, in a cura di Montel-Dumont O., Inégalités économiques, inégalités sociales, cahier francais n. 351, luglio-agosto 2009, La documentation francaise, Parigi, 2009
-Jaffrelot C., Inde, l’envers de la puissance, CNRS éditions, Parigi, 2012
-Krémer P., “En France, 23% des jeunes sont pauvres”, le Monde, 4 dicembre 2012
-Rayner J., “Why school breakfast clubs are on the education frontline”, The Observer, 16 settembre 2012
-Stewart H., “George Osborne hidden cuts will take away 30% of income for poorest families”, The Observer, 25 novembre 2012
-Testart A., Avant l’histoire. L’évolution des sociétés, de Lascaux à Carnac, Editions Gallimard, Parigi, 2012
-World Bank, World development indicators database, World Bank, Washington, ottobre 2009
Category: Dichiariamo illegale la povertà, Economia