Vincenzo Comito: Cronache di un mondo indebitato/3
Da dove vengono le risorse che alimentano il debito? Tra le principali fonti di “produzione” del denaro ci sono i surplus delle bilance commerciali di paesi come la Cina e la Germania. La terza puntata dell’ inchiesta di Vincenzo Comito punnlicata au www. sbilanciamoci info del 9 gennaio 2016
Appare ora opportuno fare dei riferimenti ai punti di origine delle risorse che alimentano poi i circuiti finanziari mondiali e in specifico quelli del debito. Bisogna sottolineare, in effetti, che a fronte del rilevante volume di indebitamento in essere a livello mondiale, sta un grande livello di liquidità e di risparmi.
Da dove vengono quindi le risorse che alimentano il debito? Volendo semplificare una questione molto complessa, ricordiamo intanto che tra le principali fonti di “produzione” del denaro ci sono i surplus delle bilance commerciali di paesi come la Cina e la Germania che, come abbiamo visto nella prima parte di questo scritto, hanno contribuito non poco all’innesco dei problemi recenti.
Così, dal novembre 2014 al ottobre 2015 il surplus delle partite correnti cinesi è stato pari a 279 miliardi di dollari, mentre quello tedesco a 278 milioni, quello del Giappone a 123 e quello della Corea del Sud, infine, a 106 (fonte: The Economist).
Vanno poi messe nel conto le risorse finanziarie dei paesi produttori di petrolio e gas, oggi peraltro in via di forte ridimensionamento. Citiamo ancora le grandi liquidità di un rilevante numero di imprese multinazionali e, almeno in alcuni paesi (Cina, Giappone), l’importante ammontare dei risparmi privati.
Tali risorse vengono poi riciclate almeno in parte dal sistema finanziario, che ci aggiunge anche del suo.
Il circuito internazionale di tali somme non fa comunque riferimento a nessun accordo che governi il processo in modo proficuo ed esso si svolge dunque in maniera disordinata e spesso destabilizzante, come del resto mostra la storia recente.
1. L’eccesso di risparmi
Guardiamo in particolare alle grandi risorse finanziarie che fanno capo ad un certo numero di società.
Le imprese dei paesi ricchi nel loro complesso registrano da tempo, e questo anche da prima della crisi, un rilevante eccesso di risparmi sugli investimenti, con l’eccezione della Francia; Il surplus di risparmi di quelle giapponesi è vicino all’8% del pil (Wolf, 2015). Se il settore corporate presenta un sovrappiù strutturale dei risparmi sugli investimenti, altri settori devono registrare per forza dei deficit. L’altra faccia della questione è costituita infatti dai deficit finanziari pubblici e da quelli delle famiglie, nonché da surplus delle bilance delle partite correnti.
La differenza tra risparmi ed investimenti è spinta da una combinazione di alti profitti e bassi investimenti. Tale ultimo fenomeno è indotto a sua volta da ragioni sia strutturali che cicliche (Wolf, 2015). Tra queste ci sono, tra l’altro, l’invecchiamento della popolazione, i processi di globalizzazione, che spingono ad investire nei paesi emergenti, le particolari caratteristiche attuali dell’innovazione tecnologica, la debolezza della domanda.
Tra i rimedi possibili alla situazione corrente si suggerisce che la tassazione corporate sia determinata in modo da incoraggiare gli investimenti e la distribuzione dei profitti, caricando di forti aliquote i profitti non distribuiti, con invece una piena deducibilità dal reddito degli importi degli investimenti e dei dividendi (Wolf, 2015).
2. Crisi del debito e ruolo delle banche
Vogliamo a questo punto ricordare, in qualche dettaglio, alcuni aspetti del ruolo delle strutture finanziarie nell’alimentare le ondate di credito e le bolle conseguenti, come abbiamo sopra accennato. In generale, esse portano avanti male la loro funzione di intermediazione tra gli operatori in surplus e quelli in deficit.
In particolare, la questione appare molto evidente nel caso dello scoppio delle crisi. Sia la recessione iniziata nel 2008 che la grande caduta del 1929 hanno in comune un precedente, forte aumento dei livelli di indebitamento del sistema economico e il ruolo perverso giocato di solito in tali eventi dal sistema bancario è stato analizzato in termini generali da Ivan Minsky. Lo studioso ha, a suo tempo, descritto con precisione i meccanismi presenti nelle varie fasi della creazione e dello scoppio delle bolle speculative. Egli sottolinea, nel suo modello noto come Financial Instability Hypothesis (FIH), come in periodi di crescita economica tenda a svilupparsi un’euforia speculativa, cui segue un’espansione creditizia che alimenta a sua volta l’euforia. Ma, ad un certo punto, si arriva a quello che gli economisti hanno definito come il Minsky moment, quando, cioè, l’euforia finanziaria si trasforma all’improvviso in panico e l’offerta di credito viene bruscamente ridotta, dando così seguito al per molti versi catastrofico Minsky process, di cui il Minsky moment è il punto iniziale; in tale processo la bolla scoppia e si innescano di seguito i perversi meccanismi della crisi (si veda, ad esempio, Vercelli, 2009).
Nonostante le grandi promesse fatte dai politici occidentali, dopo il subprime, di riformare in profondità il sistema finanziario, non è poi successo granché. Così la separazione netta delle banche commerciali da quelle di investimento, il ridimensionamento delle banche too big to fail, un forte aumento del capitale delle stesse banche, una tassa sulle transazioni finanziarie e altri provvedimenti, sono tutte proposte rimaste per la gran parte lettera morta (Jorion, 2015).
Ecco dunque che i meccanismi che potrebbero portare ad una nuova bolla del debito sono tutti ancora presenti.
3. Conclusioni
Un rilevante livello di debiti e una sua crescita nel tempo possono condurre ad un rallentamento dell’economia, anche se non esistono formule per determinare con esattezza il risultato finale, che dipende da molteplici altri fattori. Lo sviluppo mondiale sta in effetti rallentando e ci sarebbe bisogno di un nuovo slancio sulla base di un ripensamento di molte questioni; partendo dal debito, si dovrebbero affrontare temi quali la crescita dei paesi emergenti e quella delle diseguaglianze, la lotta alla povertà, la riforma del sistema bancario internazionale e quella del sistema finanziario, tutte questioni tra di loro in qualche modo collegate.
Oggi in particolare i paesi poveri, in particolare in Africa, sono di nuovo minacciati di sovraindebitamento. Ora l’aumento dei tassi di interesse americani e i rischi di cambio di prestiti spesso denominati in divisa pongono dei problemi seri a tali paesi (Guélaud, 2015). Più in generale, la decisione della Fed negli Stati Uniti pone termine ad un lungo periodo di moneta facile nel mondo, ma pone anche nuovi interrogativi sull’assetto del sistema economico e finanziario mondiale.
Appare, tra l’altro, chiaro a tutti che una parte dei prestiti non saranno mai ripagati interamente, anche peraltro nei paesi dell’eurozona, con il caso più clamoroso rappresentato dalla Grecia, ma anche, fuori da essa, dall’Ucraina.
Naturalmente la maggiore sollecitudine da parte del mondo occidentale a intervenire nel caso dell’Ucraina rispetto a quello greco indica che sono in gioco anche fondamentali obiettivi politici. In effetti, i programmi di ristrutturazione del debito sono anche dei meccanismi “disciplinari”, finalizzati non tanto a far ripartire la produzione e l’occupazione dei vari paesi, ma a sostenere gli attuali equilibri politici, in Europa come nel resto del mondo (Sassen, 2014).
Se si volesse aiutare la ripresa dell’economia mondiale e alleviare le difficoltà dei paesi più indebitati bisognerebbe arrivare ad una conferenza mondiale, che avesse questa volta come obiettivo la sistemazione della questione, attraverso in particolare, ma non solo, la cancellazione di una parte almeno del debito.
Ma è molto complicato raggiungere tale obiettivo. Il problema di fondo è quello che nessuno appare disponibile a rinunciare ai suoi crediti. Il caso greco mostra, ad esempio, che si preferisce prestare ancora più soldi al paese, ma non ridurre il valore nominale del capitale. Ma se non si risolve la questione, una vera crescita è difficile che si faccia strada.
Sul percorso della regolamentazione del problema in Europa sta anche il fatto che prevale una percezione moralistica (portata avanti in particolare dalla Germania), dei creditori visti come soggetti virtuosi e dei debitori invece come soggetti con le mani bucate. Il paradosso è che la Germania è stato in passato il paese sviluppato che ha goduto di più della remissione dei debiti in tempi recenti (Plender, 2015).
Per altro verso gli oneri andrebbero sia sostenuti dai paesi in debito che da quelli in credito; appare come una responsabilità collettiva quella di regolamentare i flussi di capitale a livello mondiale e i fattori sottostanti. Per quanto riguarda i paesi poveri bisognerebbe sviluppare strumenti quali i finanziamenti “sostenibili” e portare avanti la responsabilità collettiva dei creditori e dei debitori, concetti ripresi nella conferenza dell’ONU sul finanziamento dello sviluppo tenutasi ad Addis Abeba nel luglio 2015.
Leggi la prima e la seconda puntata dell’inchiesta su www.inchiestaonline.it
Testi citati nell’articolo
Guélaud C., “Les pays pauvres de nouveau menacés par le surendettement, Le Monde”, 17 dicembre 2015
Jorion P., “Sept ans après, les banques fragiles et impunies”, Le Monde, 18 dicembre 2015
Plender J., “Forgive the debt or earn the wrath of its victims”, www.ft.com, 24 dicembre 2014
Sassen S., Expulsions : brutality and complexity in the global economy, Harvard University Press, Cambridge, Mass., 2014, trad. it. Espulsioni, Il Mulino, Bologna, 2015
Wolf M., “Corporate surpluses are contributing to the savings glut”, www.ft.com, 17 novembre 2015
Vercelli A., A perspective on Minsky moments, Levy Economics Institute, working paper n. 579, Annandale-on-Hudson, ottobre 2009
Category: Economia