Maurizio Matrone: Una narrativa per imprese in cerca (o in crisi) di identità

| 26 Aprile 2014 | Comments (2)

 

 

L’epocale crisi che stiamo vivendo – di modelli, economica e ambientale – chiede a tutti un radicale cambiamento di prospettiva identitaria. Le aziende, pubbliche e private, le scuole, le istituzioni, le associazioni e i movimenti dovranno imparare, pena la loro sopravvivenza, a raggiungere livelli di prestazione sempre più elevati e, allo stesso tempo, diventare sempre più responsabili nei confronti della società nel suo complesso. E per farlo dovranno sempre più affiancare, a una indiscutibile qualità di servizi e prodotti, una narrazione etica, coerente e senza imbrogli capace di contagiare l’impresa nel suo complesso, i suoi prodotti, i suoi lavoratori e i suoi clienti/utenti/interessati, sia quelli storici sia quelli potenziali. Certamente le imprese tutte dovranno investire sulla formazione del capitale umano confidando nella sua endemica e rinnovabile energia foriera di incredibili sorprese. Si sa, le persone “felici” lavoro meglio e stringono buone e soddisfacenti relazioni con gli altri.

Poiché non v’è esistenza senza racconto, la narrativa d’impresa illustra e presenta il valore identitario di una azienda, di un gruppo, di una organizzazione; è la “storia” partecipe della comunità; è il motivo della coesione interna ed esterna; è l’assicurazione per il futuro e, soprattutto, è la base per “il mito”. In sintesi, la narrativa d’impresa è indispensabile per “essere” (riconoscersi) e per “essere visti” (essere riconoscibili) e non per apparire o essere guardati. È una forma di comunicazione che viaggia sulla vicendevole e reciproca relazione di conoscenza tra chi si riconosce e chi riconosce ben più cosciente e globale della “pubblicità” o di altri contenuti perché essa è, anche, un metodo di lavoro, una pratica quotidiana che favorisce e sviluppa, nel concreto, lavoro, relazioni e sogni.

La narrativa aggiunge un valore “seducente” a un buon contenuto (di pancia, cuore, valori e orizzonti) così come il successo di una sagace barzelletta dipende da chi – e come – la racconta. Allo stesso modo, se non fossimo in grado di raccontare il nostro sogno, il nostro progetto o le nostre passioni, non faremo innamorare nessuno.

La pratica della narrazione fa emergere – con efficacia – un contenuto dallo strumento che lo veicola (che sia libro, blog, film, fumetto…) nella sua messa in scena. Il narratore inventa, rievoca, ricostruisce, rappresenta un contenuto in un certo modo, in un certo momento e in un certo luogo dove determinate persone ci sono (tra le quali il narratore) per esserci e essere viste perché reciprocamente ascoltano, parlano, dicono, riconoscono, commentano, scambiano, quel contenuto.

Senza la collaborazione collettiva (nella messa in scena) non si forma né senso né significato e tanto meno comunità identitaria.

L’identità di una azienda o di un’organizzazione (come di un individuo) non può dunque illustrarsi solo a fatti, misura o elenco, ma scelta responsabile, storia, narrazione aperta e sceneggiata, rinnovabile e rifondabile nel seno di una comunità di persone che ci lavora, che la “compra”, che la racconta credendoci (accordandole fiducia).

Il chi sei? è essenzialmente legato al racconto e alla modalità della sua narrazione dove in un contesto, lo spazio, gli eventi, il tempo, le relazioni, le immagini, i simboli, le metafore… offrono spessore e autenticità alla testimonianza simbolica del racconto stesso.

Un’azienda/impresa in crisi identitaria non lo è perché il sistema dati, degli elenchi, dei numeri non torna, ma perché manca la storia autentica che ne ha narrato e ne narra la sua organizzazione, perché manca l’avvincente e appassionante trama che ne interpreta l’esperienza nell’organizzazione, nei suoi lavoratori, nei suoi clienti (la mission), che ne valorizza e coltiva i sogni (la vision).

E se la patologia identitaria è una distorta trama/struttura narrativa, la terapia non può che essere un intervento mirato su essa.

L’intervento narrativo deve pertanto saper riconoscere – esteticamente – il set narrativo del narratario (la collocazione, la scena, lo sfondo), al fine di determinare l’efficacia della narrazione sia essa sensata o meno, lineare o incoerente, oppure intrisa di un linguaggio gergale o slang. Il set narrativo rappresenta il patrimonio “emotivo/esistenziale” di chi ascolta. L’indagine del narratore permette di calibrare “eticamente” le narrazioni imponendosi, intenzionalmente, un codice, uno sfondo di riferimento. Se pensiamo alle narrazioni medico vs paziente, poliziotto vs testimone, azienda vs cliente, insegnante vs allievo, ecc., e ai corrispettivi linguaggi, forme gergali, slangs, idiomi… la conoscenza e la comprensione del set (o di un genere di riferimento, il poliziesco, il rosa, il romanzo di formazione..) diventa fondamentale per l’efficacia dello scambio narrativo.

Nello scambio, la percezione narrativa del cliente-narratario è certamente influenzata dalla quantità e qualità delle informazioni che riceve, dalla sua cultura, dal suo immaginario, dalla sua fantasia, dalle sue pre-visioni pregiudizievoli, delle sue percezioni. Il narratario /osservatore/cliente/utente non è mai indifferente e, in mancanza di informazioni, si affida maggiormente alle sue presupposizioni, inventando una nuova storia fantasticando o farneticando con la sua morale. Più informazioni (immagini, nozioni, storie…) possediamo più siamo in grado di inventare, immaginando e visualizzando, una storia vera. Questo vale, per fare un esempio, se l’osservatore è uno scienziato e se il commentatore è la scienza corrente.

La moralità in campo è la sua aspettativa, una categoria ingannatrice che rovina le storie e le nostre identità.

È evidente quanto l’attenzione (ascolto) ai valori, ai simboli, alle metafore, ai personaggi e alle vicende che fanno la storia nel tempo, strutturino e rafforzino l’identità in un set moralizzato dall’etica corrente. La costruzione di un racconto identitario (dove ci si riconosce e si è riconosciuti) deve dunque tener conto (e fare eticamente i conti) con le credenze, le emozioni e i sentimenti narrativi che il servizio/prodotto suscita, autenticamente (davvero), nell’immaginario (moralizzato) del ricevente, all’interno e all’esterno, come nel mitologico, al limite dell’insuperabile, brandtelling di Chanel.

Possiamo infine concludere che “inventiamo storie vere” perché: siamo naturalmente propensi a credere a ciò che ci viene raccontato, ovvero siamo disposti a “sospendere l’incredulità (non ci importa che la storia sia reale o meno)” per poter sognare; perché siamo disposti a perderci in una storia per sopravvivere alla nostra (morale o immorale) esternalizzandola; perché senza questa originaria capacità di lateralizzare il credibile non saremmo in grado di immaginare e realizzare (e condividere) i nostri incredibili, quanto morali, sogni/bisogni di essere e essere visti.

 

Category: Economia, Libri e librerie, Nuovi media

About Maurizio Matrone: MAURIZIO MATRONE è nato a Verona (1966) . E' scrittore e consulente sui temi della narrativa d’impresa. Crea percorsi narrativi sulle diverse declinazioni dello storytelling aziendale partendo dal senso e dal valore etico del racconto per inventare, strutturare e consolidare identità di corporate e di team ovvero per essere e per essere visti. A Bologna, dopo l’Accademia di Belle Arti, si è laureato con lode in Pedagogia. Ha passato molti anni della sua vita su una volante della polizia e ha diretto la Fondazione FMR-Marilena Ferrari. Ha pubblicato numerosi romanzi gialli, racconti per antologie e riviste specializzate, opere per il teatro, l'arte e i ragazzi. Ha scritto anche saggi sul lavoro del poliziotto in materia minorile, sul cinema poliziesco, sulla letteratura rinnovabile e anche sceneggiature per il cinema e la TV (l’ispettore Coliandro, Distretto di Polizia, La Squadra). Ha ideato e organizzato festival, premi letterari e format di intrattenimento. È stato inoltre formatore delle forze di polizia nell’ambito della comunicazione interpersonale ed è docente di scrittura poliziesca per “Bottega Finzioni”, diretta da Carlo Lucarelli.

Comments (2)

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  1. Massimo Luppi ha detto:

    Complimenti in ritardo.Non per l’ articolo,che è orrendo.Per il romanzo : ‘ Piazza dell’ unità ‘. Originale,coraggioso,creativo.Bravo davvero.
    Massimo Luppi

  2. pinterest contest ha detto:

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