Massimo Amato: Un’altra moneta?

| 6 Ottobre 2012 | Comments (1)

 

 


L’economista Massimo Amato dell’Università Bocconi di Milano e CNAM Pays de la Loire  presenta l’esperimento di moneta alternativa che ha coordinato e che viene realizzato a Nantes. Un esperimento che apre nuove possibilità di azione in una Europa che presenta una politica monetaria bloccata. Il testo è stato pubblicato in “Inchiesta” 176, 2012, pp. 20-23


Di monete locali si parla da lungo tempo. Hanno una storia che comincia con l’altra grande crisi, quella degli anni trenta del novecento. Negli Stati uniti, in Germania, in Austria, in Svizzera, e altrove ancora, gli esperimenti più o meno riusciti si contano a centinaia.

Non è dunque un caso che se ne sia cominciato a parlare ora. Ma non bisogna nemmeno ridurre le possibilità insite nel concetto di moneta complementare alla capacità di questo tipo di moneta di fronteggiare le emergenze che al crisi necessariamente ingenera.

Una buona moneta complementare è infatti  innanzitutto una moneta differente da quella che affianca. Serve a fare meglio ciò che la moneta così come la conosciamo fa male o non fa del tutto.

Questa è la differenza da  cui bisogna partire. È la differenza che sta nel cuore stesso della riflessione di John Maynard Keynes, il quale parla spesso, e volentieri, di una moneta “quale sarebbe preferibile che fosse” (money as it ought to be) per differenziarla dalla moneta “così come la conosciamo” (money as we know it).

La moneta quale la conosciamo è, da trecento anni a questa parte, la moneta del capitalismo. La sua caratteristi precipua è di essere una merce. La caratteristica dominante dell’altra moneta è dunque necessariamente quella di non essere una merce.

Come si fa, però, a pensare, e poi a “costruire” una moneta siffatta? Si tratta di costruirla in modo tale che non svolga una delle tre funzioni che la dottrina le attribuisce come se andasse da sé: quella di riserva di valore.

Ecco dunque il primo “segreto” della “ricetta” delle monete complementari ben fatte. Una moneta complementare non deve fungere da riserva di valore. È proprio la mancanza di questo tratto ciò che le consente di funzionare meglio come unità di conto e come mezzo di pagamento.

Fin dall’inizio della loro storia, le monete complementari fanno localmente fronte alla crisi proprio perché sono costruite per circolare.

È il caso famoso della moneta di Wörgl, un piccolo comune del Tirolo austriaco dove nei primi anni trenta del novecento vengono messi in circolazione biglietti il cui potere liberatorio è a scadenza. Alla fine di ogni mese i loro possessori, se vogliono continuare a spenderli,  devono comprare un piccolo francobollo che restaura il valore nominale del biglietto. Questa spesa rappresenta a tutti gli effetti una “imposta di mancata  circolazione”, che penalizza coloro che vogliano trattenere la moneta invece di spenderla. Se si vuole, è un tasso di interesse negativo sui risparmi monetari .

L’idea specifica della “moneta timbrata” era venuta a un signore tedesco emigrato in Argentina, di nome Silvio Gesell. Ma la storia della moneta precapitalistica è piena di esempi in questo senso. In fondo tutta la monetazione occidentale prima del capitalismo finanziario del XVII secolo obbediva a questa regola monetaria, del tutto complementare alla regola che reggeva il credito, ossia il divieto di prestare a interesse.

E non è un caso che le due cose vadano assieme, in un senso e nell’altro: finché la moneta non è riserva di valore non ha senso pensare a mercato della moneta, e solo una moneta che è possibile detenere indefinitamente senza costi, senza che perda il suo valore nominale, è una moneta che è possibile vendere, pretendendo un prezzo: il tassi di interesse appunto.

Bisogna essere precisi. La moneta capitalistica non è semplicemente una “riserva”, come qualunque altra vera merce, il cui stoccaggio costa e che è esposta al deperimento. La moneta “quale noi la conosciamo” è riserva di valore : è fatta cioè in modo tale che il suo possessore possa sottrarla indefinitamente alla sua funzione di mezzo di scambio, che dunque ne sia anche pienamente proprietario. La sua cessione diviene allora una cessione onerosa. La moneta diviene merce solo se è riserva di valore. Ma anche qui bisogna esser precisi, se si vuole comprendere qualcosa dei mercati finanziari. La moneta non diviene mai veramente merce, ma può cessare si essere veramente moneta. Non è una vera merce, ma una merce fittizia. Un feticcio.  Ecco perché, come  Keynes non manca mai di sottolineare, il tasso di interesse non è tanto un prezzo per la vendita di una merce quanto un “premio” per la cessione di “qualcosa” che è costruito per poter essere indefinitamente sottratto alla sua funzione propria, che è la  circolazione. Se vogliamo essere meno politicamente corretti, e al contempo più precisi, l’interesse è un “riscatto”, pagato a coloro che detengono la moneta senza usarla, da parte di coloro che la vorrebbero usare e non l’hanno.

Non posso entrare nei dettagli, ma non è difficile immaginare che solo là dove la moneta è “merce” possono esistere i mercati finanziari, e che solo là dove esistono mercati finanziari possono avere luogo le crisi finanziarie.

Le quali sono precisamente crisi di liquidità. La crisi inizia quando la “preferenza per la liquidità”, ossia la preferenza per la moneta come riserva di valore, diviene tale che la moneta non si scambia più né con le merci né con i titoli di credito, ossia con le merci del tutto particolari che sono trattate sui mercati finanziari. La crisi nasce nei mercati finanziari quando moneta non vi circola più.

Quando ciò avviene, i prezzi dei titoli crollano e per i proprietari della moneta riserva di valore diviene ancora più “razionale” non spenderla, aggravando così la crisi. La crisi di liquidità tende a divenire trappola della liquidità. Sarà anche razionale per i singoli, ma per l’economia è folle.

Ma tant’è. Questa è la situazione in cui  ci si trova oggi. Le banche centrali creano moneta a profluvi, soprattutto dopo la crisi, e la moneta non circola, precisamente perché è riserva di valore. Oggi non c’è nessun “investimento” migliore del detenerla indefinitamente. Ecco perché la trappola della liquidità genera la depressione.

Le monete complementari ben fatte rappresentano una risposta alla trappola, una risposta che consiste precisamente nel non entrarvi nemmeno.

Da un anno a questa parte, chi scrive lavora, con  Luca Fantacci ed altri collaboratori, al progetto circuito locale di credito e di moneta complementare per l’agglomerazione urbana di Nantes. È stato Jean-Marc Ayrault a dare impulso al progetto, che ora, dopo il suo passaggio al premierato, prosegue sotto la guida dei suoi collaboratori e in particolare dell’assessore alla finanze del comune di Nantes, Pascal Bolo. Le righe che seguono ne danno una descrizione succinta, a cui farò seguire alcune considerazioni più generali sul modello che questo progetto ha l’ambizione di mettere alla prova della realtà e del funzionamento.

Il progetto di Nantes

Un’unità di conto, legata all’euro da un rapporto fisso di uno a uno, ma utilizzata solo per gestire una camera di compensazione multilaterale fra le imprese di un territorio. Se la liquidità genera una situazione folle,  non vi è nulla di più sensato di una moneta di questo tipo in una situazione di crisi del credito come quella in cui versano le imprese da un anno a questa parte.

Provo a spiegarmi. Ogni impresa può avere dei clienti solo se ha la possibilità di rifornirsi presso i propri fornitori, e quindi ogni impresa è al contempo potenzialmente creditrice e debitrice, rispettivamente verso i propri clienti e verso i propri fornitori.

Ma precisamente questo è il senso della crisi del credito attuale. Molte imprese non riescono a evadere gli ordini che pure avrebbero perché il sistema bancario lesina loro la liquidità necessaria per acquistare  materie prime e semilavorati, e per pagare i lavoratori. E la cosa non si ferma qui. L’illiquidità di un’impresa porta con sé la crisi di molte altre, a valle e a monte. I fornitori non forniscono, i clienti non hanno da comprare.

Certo, le imprese potrebbero farsi credito fra di loro. E il sistema è noto: si firmano cambiali per le forniture e si paga a incasso fatto. Solo che in questo caso il debito è bilaterale, e ogni creditore deve aspettare che il suo debitore lo paghi, posto che a sua volta il debitore riesca a incassare dai suoi creditori. Il rischio evidente è che un mancato pagamento bilaterale ne crei altri, con un effetto a catena.

Se le cose stanno così, si può cominciare ad apprezzare  il vantaggio connesso alla multilateralità. Se ogni creditore potesse immediatamente spendere il proprio credito presso i propri fornitori, quel credito si rivelerebbe eminentemente liquido, anzi diventerebbe proprio moneta.

È questo il senso di una camera di compensazione: i crediti sorti con i propri partner diventano crediti  nei confronti della camera di compensazione e dunque sono immediatamente spendibili presso tutti gli altri aderenti alla camera di compensazione. La quale crea dunque liquidità per le imprese partecipanti. Una liquidità che esse possono utilizzare per pagarsi fra di loro senza ricorrere a prestiti bancari. E che di fatto distruggono ogni volta che spendono i loro crediti. Con l’effetto di non alimentare spirali inflazionistiche.

Il progetto  che la città di Nantes sta attuando va precisamente in questa direzione. Una banca pubblica, il Crédit  Municipal, offrirà alle imprese un servizio di pagamento in compensazione in moneta locale per tutte le transazioni sul territorio. Ogni impresa parteciperà alla camera di compensazione in ragione del suo coinvolgimento nell’economia locale e del suo effettivo merito creditizio.

Ma questa è solo una parte del circuito. Non solo le imprese si pagheranno fra loro, ma potranno anche utilizzare la moneta locale per la contrattazione di secondo livello con i lavoratori. Una parte dei salari potrà infatti essere pagata in moneta locale, con l’effetto di sostenere la domanda locale di beni locali e dunque di sostenere la capacità del sistema territoriale nantese di sostenere i livelli occupazionali. La domanda locale comprenderà anche un certo numero di servizi pubblici che il Comune di Nantes accetterà di fornire in moneta locale. E infine, una parte degli attivi in moneta locale potrà finanziare il terzo settore nantese, attraverso una politica di incentivi alle donazioni.

Il senso di un esperimento

Quello di Nantes non è un semplice espediente  locale, o peggio localista, per fare fronte alla crisi del credito. È il primo tentativo di mettere a punto su scala adeguata un modello di credito e di circolazione monetaria locale complementare che potrebbe essere replicato in Francia, ma anche in Italia e in generale nella zona dell’euro.

Non si tratta di un espediente ma di un esperimento. In particolare ciò che viene messo alla prova è una nuova forma di banca pubblica. Il Crédit municipal è in effetti partecipato dal comune, i suoi capitali sono pubblici e i suoi amministratori sono funzionari pubblici. Ma non è in questa veste che è chiamato a svolgere il suo compito. Gestendo una sistema di pagamenti  multilaterali in compensazione il Crédit Municipal diviene una banca pubblica in un senso ben più profondo.

Nel caso della camera di compensazione pubbliche sono innanzitutto la logica di funzionamento e la natura della moneta che vi viene usata. Non si tratta di finanziare imprese con capitali pubblici sopperendo alla mancanza di capitali privati. Questo lo si è già fatto, e spesso non ha portato che a disastri peggiori del male. Come mi è capitato di scrivere con Luca Fantacci in un saggio che apparirà a fine giugno per i tipi di Donzelli (Salvare il mercato dal capitalismo. Per una finanza al servizio dell’economia), “si tratta di una banca che è pubblica non perché utilizzi capitali pubblici mantenendo, o magari pericolosamente allentando in chiave clientelare, i criteri di gestione di una banca commerciale privata. È una banca pubblica perché pubblica è la logica che adotta e il servizio che rende. Pubblica è la banca, cooperativo è il credito i partecipanti si concedono mutualmente. Per una volta, si tratterebbe di un’innovazione che non mira a distruggere lo spazio pubblico in nome di un’efficienza allocativa fideisticamente attribuita ai meccanismi finanziari di mercato. Una banca pubblica così concepita è un puro intermediario finanziario. Non vende e non compra niente, ma tiene insieme, una relazione potenzialmente virtuosa, debitori e creditori, in vista di una riduzione equilibrata della pressione che non cessa di venire dal sistema finanziario di mercato. Anche per queste considerazioni l’integrazione promossa dalla moneta complementare non è né una chiusura né un compattamento delle comunità locali ‘contro’ l’economia globale, ma innanzitutto una possibilità di riarticolazione di istanze locali.”

La banca è un puro intermediario anche perché la natura della moneta che essa usa è strettamente pubblica. La moneta è, come è stato detto esplicitamente da François Morin (Un mondo senza Wall street?, Tropea editore, Milano 2012), un bene pubblico. Potremmo dire: ha dei possessori, momentanei, che la detengono nei limiti dell’uso che ne fanno, ma non ha nessun proprietario. La moneta è per tutti e quindi non è di nessuno in particolare. Proprio per questo si tratta di una moneta preferibile a quella che conosciamo, giacché è sempre unità di conto, per un certo tempo mezzo di scambio e mai riserva di valore.

L’interesse degli amministratori pubblici innovativi sta crescendo. E ne frattempo  i circuiti di credito in compensazione autogestiti vanno aumentando, senza nemmeno attendere lo sponsorizzazione pubblica. Ma è bene che spontaneità della società civile e senso di responsabilità della classe politica si incontrino. Una nuova possibilità può essere colta. E non si tratta semplicemente di una possibilità il cui valore dipende interamente dalla congiunture che è chiamata a sostenere. La moneta complementare, se è ben fatta, non è solo una moneta “anticrisi”. Questo è l’aspetto più evidente, ma non il più importante. Nella misura in cui la logica che sottende alle camere di compensazione porta con sé una trasformazione della natura delle relazioni monetarie entro l’economia di mercato, la posta in gioco non è solo quella di rispondere alla crisi, ma di traghettare l’economia di mercato verso una differente strutturazione del suo rapporto con la finanza.  Abbiamo bisogno di una finanza diversa dalla finanza di mercato. Una finanza che finalmente possa fare strutturalmente, e non casualmente, ciò che tutti sappiamo che essa deve fare: essere al servizio dell’economia.

 

 

Category: Economia, Economia solidale, cooperativa, terzo settore

About Redazione: Alla Redazione operativa e a quella allargata di Inchiesta partecipano: Mario Agostinelli, Bruno Amoroso, Laura Balbo, Luciano Berselli, Eloisa Betti, Roberto Bianco, Franca Bimbi, Loris Campetti, Saveria Capecchi, Simonetta Capecchi, Vittorio Capecchi, Carla Caprioli, Sergio Caserta, Tommaso Cerusici, Francesco Ciafaloni, Alberto Cini, Barbara Cologna, Laura Corradi, Chiara Cretella, Amina Crisma, Aulo Crisma, Roberto Dall'Olio, Vilmo Ferri, Barbara Floridia, Maria Fogliaro, Andrea Gallina, Massimiliano Geraci, Ivan Franceschini, Franco di Giangirolamo, Bruno Giorgini, Bruno Maggi, Maurizio Matteuzzi, Donata Meneghelli, Marina Montella, Giovanni Mottura, Oliva Novello, Riccardo Petrella, Gabriele Polo, Enrico Pugliese, Emilio Rebecchi, Enrico Rebeggiani, Tiziano Rinaldini, Nello Rubattu, Gino Rubini, Gianni Scaltriti, Maurizio Scarpari, Angiolo Tavanti, Marco Trotta, Gian Luca Valentini, Luigi Zanolio.

Comments (1)

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  1. lina prolissa ha detto:

    Un socialista utopista alla Bocconi. Massimo Amato e L’enigma della moneta.
    http://www.politicasenzarete.com/node/230

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