Marco Ponti: La fusione di Alitalia con Air France-Klm e altre storie

| 1 Ottobre 2013 | Comments (0)

 

 

 

Su segnalazione di Enrico Rebeggiani pubblichiamo una serie di  articoli di  Marco Ponti e Andrea Malan sulle politiche italiane disastrose nei trasporti: si passa da un insieme di spese folli ad assurdi come i 10 milioni di euro spesi per la stazione di Castel di Sangro quando non vi passano più treni.  Marco Ponti insegna economia dei trasporti, prima a Venezia e da tre anni al Politecnico di Milano. Ha svolto attività di consulenza per la Banca Mondiale, il ministero dei trasporti, le Ferrovie dello Stato e del ministero del Tesoro occupandosi di regolazione del settore aereo e autostradale.

 

 

1. Marco Ponti : La fusione di Alitalia con Air France-Klm

(Intervista di Carlotta Scozzari, La Repubblica 26 settembre 2013)

L’alternativa per Alitalia a un matrimonio con Air France- Klm? E’ il fallimento. Interpellato sulla crisi della compagnia aerea, che oggi riunisce un consiglio di amministrazione decisivo che potrebbe sancire il passaggio del controllo in mano al gruppo francese, Marco Ponti, docente di Economia dei Trasporti al Politecnico di Milano, ha le idee chiare: “Siccome in questo momento per Alitalia l’alternativa è il fallimento, non si può che accettare la proposta di Air France”, già socia della compagnia tricolore con una partecipazione del 25% che salirebbe intorno al 50 per cento.

Non crede che, in difesa dell’italianità, possano tornare di attualità le varie soluzioni, in passato ventilate, di un intervento delle Ferrovie dello Stato o della Cdp?

“Per carità, abbiamo già dato!Sarebbe come ripubblicizzare Alitalia. E siccome nei vari salvataggi sono già stati spesi 5 miliardi, direi che può bastare. Comunque al momento la proposta di Air France, ancorché non chiara, sembra l’unica sul tavolo”.

Insomma, per parafrasare Giuseppe Garibaldi, o si fa il matrimonio con Air France o si muore…

“Direi di sì. Ed è chiaro che se i francesi prenderanno il controllo manterranno solo le rotte che a loro interessano. Salvano Alitalia, di cui sono diretti concorrenti, e fanno logicamente il loro tornaconto. Certo, avrebbe avuto molto piùsenso accettare la precedente proposta di Air France, che nel 2008, quando era meno indebitata di oggi, aveva messo sul piatto fino a 3 miliardi per rilevare la compagnia di bandiera”.

Ma non fu possibile perché i “Capitani coraggiosi”, sotto la regia dell’ex premier Silvio Berlusconi e dell’ex amministratore delegato di Intesa Corrado Passera, ebbero la meglio. Cosa pensa di quel progetto?

“Il piano dei Capitani coraggiosi, che prevedeva l’espansione su tre mercati, era troppo ambizioso fin dall’inizio. La crisi che è arrivata dopo non ha certo aiutato, ma quel progetto, tra l’altro sostenuto dai sindacati, era più politico che industriale e proprio per questo era fragile”.

Un altro possibile partner di Alitalia, a un certo punto, sembrava potesse essere la compagnia aerea araba Etihad. Come avrebbe valutato un’integrazione?

“Premesso che il matrimonio sembra ormai sfumato e che la compagnia degli Emirati Arabi, essendo extra-comunitaria, non avrebbe potuto rilevare che una quota di minoranza di Alitalia, devo ammettere che il loro piano non era poi così male. Non essendo concorrente diretta della compagnia italiana, Etihad avrebbe forse privilegiato l’intercontinentale, puntando a un dimagrimento negli altri due mercati. Ma le cose sembra stiano andando in maniera diversa”.

 

 

 

2. Marco Ponti: Tav e grandi opere. Non contano solo le proteste

(Il fatto quotidiano, 23 marzo 2013)

Per il Tav Torino-Lione mai nome risultò più sbagliato, soprattutto nella situazione attuale: il megaprogetto Av da 23 miliardi di euro si è ridotto alla sola galleria di base per le merci, con un costo totale previsto di 8,5 miliardi di cui all’Italia ne toccano 2,8, e impatti ambientali ovviamente molto minori. Sono sempre soldi buttati, ma davvero molti di meno, e questo grazie al “combinato disposto” di opposizione locale, opposizione tecnica, e scarsità di soldi pubblici.

La resistenza locale, lodevole quando non violenta, ha giocato nei fatti un ruolo ambiguo: al contrario dell’opposizione tecnica, generalmente ignorata dai media, ha avuto una straordinaria presenza in televisione, e anche sui giornali partigiani dell’opera. Il motivo è ovvio: le proteste locali “dimostrano” l’egoismo e la miopia di chi favorirebbe piccoli egoismi rispetto ai grandi obiettivi di sviluppo della Patria. È l’effetto Nimby (“non nel mio cortile”). I fautori bipartisan dell’opera ci marciano. Il problema Nimby però esiste: basti pensare alle stazioni Alta velocità di Bologna e Firenze che costeranno, a seguito delle “proteste” locali, il quadruplo del necessario. Comunque nel caso della Torino-Lione le proteste erano tecnicamente molto giustificate, al contrario che in altri casi.

Il movimento 5 Stelle ha fatto del caso Torino-Lione una battaglia emblematica, che verosimilmente costituisce uno dei punti sul tavolo per un qualsiasi accordo politico. Vale la pena allora di valutare i “costi di recessione” per l’opera, se si decidesse di non farla. Ovviamente le stime variano moltissimo: quelle dei promotori parlano di un miliardo e più, quelle, più ragionevoli, che si basano sulle pochissime cose realmente già fatte, si attestano sui 100-200 milioni (come ha scritto anche Giorgio Meletti su Il Fatto Quotidiano). E anche in Francia esiste una opposizione al progetto: la Corte dei conti francese ha dichiarato l’opera inutile per mancanza di traffico. Quindi anche sul piano politico recedere sembra tutt’altro che infattibile.

Ma di opere inutili all’orizzonte ne esistono di molto più costose, e i cui costi sono tutti a carico nostro. Citiamo solo due esempi: una ferrovia e un’autostrada. La nuova linea Av Napoli-Bari ha un costo preventivo di circa 7 miliardi, tutti a carico delle casse pubbliche (come è noto, le ferrovie non hanno ritorni finanziari, per ottenerli servirebbero tariffe tali da renderle deserte). Sono già stati avviati i primi lavori. È stato presentato uno studio di fattibilità, realizzato dalle stesse Fs, un po’ imbarazzante: la sovrastima del traffico e dei benefici economici e ambientali sembra al di là di ogni ragionevolezza (si veda Lavoce.info). Ovviamente, nessuna replica da parte dei promotori dell’opera, nella tradizione tutta italiana che alle obiezioni tecniche non si risponde, mentre si “usano” quelle locali.

L’autostrada citabile è la Livorno-Grosseto. Qui l’onere per le casse pubbliche sarebbe limitato (le autostrade, al contrario delle ferrovie, tendono a essere pagate volentieri dagli utenti). Il problema è lievemente diverso: l’Aurelia attuale è già quasi tutta a quattro corsie, mancano solo 23 chilometri, e ha poco traffico (esclusa qualche punta estiva). Presenta certo alcuni punti pericolosi, con attraversamenti a raso, che andrebbero messi in sicurezza. Ma rifarla interamente a pedaggio significa di fatto far pagare una cosa che già funzionava. E che era gratis.

Ma il male peggiore in assoluto è un altro: visto che ci sono pochi soldi, il male peggiore sarebbe far partire molte di queste opere, senza alcuna certezza di poterle finire (ma questo dettaglio è politicamente irrilevante, quello che interessa è tagliare il nastro all’apertura del cantiere, poi qualcuno pagherà, e chiudere i cantieri è difficile, e a volte socialmente impossibile).

Che fare allora? Valutare con cura le priorità, senza chiedere all’oste se il vino è buono, e discutendo con tutti gli interessati, comprese le popolazioni locali. Poi partire con i lavori solo se i soldi ci sono già tutti, e sono “blindati”, in modo che ci sia certezza di finire l’iniziato. Speriamo che le posizioni dei grillini evolvano in questa direzione. Attualmente sembra di intuire invece un approccio molto più ideologico: che le scelte “dal basso” (una forma di democrazia diretta), debbano sempre e comunque prevalere, senza che altre valutazioni o criteri di scelta possano entrare in campo. Una posizione un po’ inquietante, che farebbe prevalere semplicemente chi alza di più la voce.

 

 

 

3. Marco Ponti : Quelle spese folli nei trasporti

(La voce info 9 ottobre 2012)

Il settore trasporti fornisce una casistica esemplare dell’assoluta mancanza di responsabilità nell’uso delle risorse pubbliche, apparentemente impermeabile alla crisi delle finanze di enti locali e nazionali. A Pisa, una metropolitana leggera automatica in sopraelevata collegherà la stazione ferroviaria all’aeroporto: meno di un chilometro in linea d’area. A Susa, la nuova stazione per l’alta velocità è progettata da un’archistar giapponese (vedi foto), peccato che probabilmente resterà vuota. Il più oneroso, ma meno documentabile è il “terzo valico” tra Milano e Genova.

L’assoluta mancanza di responsabilità nell’uso delle risorse pubbliche trova nel settore dei trasporti una casistica esemplare, e apparentemente impermeabile alla crisi delle finanze di enti locali e nazionali. Si riportano qui tre casi, ma ve ne sono molti di analoghi, e in futuro, continueremo a documentare almeno quelli più estremi, anche su segnalazione dei lettori.

IL PEOPLE MOVER DI PISA

Il primo caso riguarda un progetto di people mover (una metropolitana leggera automatica) a Pisa.
Affidato di recente, dopo regolare gara, si tratta di un contratto in project financing, in cui viene assegnata in solido la costruzione e la gestione dell’opera per quaranta anni. Vediamone le straordinarie caratteristiche tecniche: l’opera è in sopraelevata, sul tracciato di una ferrovia esistente e funzionante, e collegherà l’aeroporto di Pisa alla stazione ferroviaria.
Il tracciato è lungo 1.780 metri, in quanto segue quello ferroviario, che non è diretto. Sembra che le ferrovie non abbiano più intenzione di fornire all’aeroporto treni diretti, probabilmente a causa della scarsa redditività del servizio.
In linea d’aria, aeroporto e stazione distano meno di mille metri. Il nuovo people mover servirà anche due nuovi parcheggi. Non sono note analisi costi-benefici dell’opera, ma solo gli aspetti finanziari. Costerà 78 milioni di euro di solo investimento. Il finanziamento avverrà tramite le tariffe dei passeggeri, un contributo pubblico a fondo perduto di 27 milioni di euro in conto capitale, e “fino a un massimo” di circa 800mila euro all’anno in conto esercizio (pari in quaranta anni a 32 milioni di euro), e la concessione di un parcheggio con relativi introiti, su terreni pubblici. La quota totale di risorse pubbliche sembra dunque del tutto dominante.
Un frequentissimo servizio di autobus ecologici, gratuiti e dedicati, potrebbe essere realizzato con il solo costo degli interessi previsti per quest’opera.

SUSA E LA STAZIONE DELL’ARCHISTAR

Il secondo esempio è la presentazione della nuova stazione per l’alta velocità a Susa, capoluogo dell’omonima valle, progettata dall’archistar giapponese Kengo Kuma. Dalle immagini rese pubbliche, sembra davvero un bel progetto. Il costo è previsto in 48.500.000 euro e non è noto il piano finanziario, il che fa ritenere, come del resto per l’intera linea Torino-Lione, che il tutto sia a carico delle finanze pubbliche.
Ma il problema non è questo: è che la nuova stazione per i treni passeggeri rischia concretamente di rimaneresenza treni.
Vediamo perché: il progetto ufficiale originale della linea alta velocità Torino-Lione (da 23 miliardi di euro) prevedeva talmente pochi treni passeggeri al giorno (circa 14 a regime su 250 di capacità offerta), che l’obiettivo dell’intero progetto è stato ri-indirizzato sul traffico merci.
Poiché notoriamente le merci che viaggiano in treno non hanno fretta, la nuova versione low-cost del progetto costerà solo (si fa per dire) 8,5 miliardi di euro, e consisterà della sola galleria di base di 54 km, senza la velocizzazione a standard alta velocità delle tratte esterne alla galleria. Nessuno studio funzionale, economico o finanziario è disponibile sul nuovo progetto, ma è certo che le velocità complessive tra Torino e Lione saranno nettamente inferiori di quelle previste per la versione precedente, e saranno tali da togliere al treno ogni residua capacità di competere con l’aereo per il servizio passeggeri, se mai ne avesse avuta. Quindi, i treni prevedibili saranno in numero intermedio tra 14 e i treni attuali (quattro). Diciamo dieci treni, cinque per senso di marcia, di cui verosimilmente solo alcuni si fermeranno a Susa, dati i pochissimi passeggeri che può attrarre o generare un centro così piccolo. Dunque, meno di dieci treni giornalieri (diciamo uno ogni tre ore per direzione) sembrano un po’ pochi per giustificare una nuova e costosa stazione, che tra l’altro sembra dalle immagini disponibili più decentrata dall’abitato della stazione esistente, cioè assai meno comoda.
Certo, rimane l’ipotesi di rendere più frequenti i servizi ferroviari locali verso Torino. Ma finora non vi è traccia delle risorse necessarie, né risulta disponibile alcuna analisi della domanda che giustifichi le maggiori frequenze. L’impressione (certo non verificata) di molti tecnici, anche all’interno di Fs, è che la domanda aggiuntiva non esista, date le dimensioni demografiche complessive della valle.
L’opera sembra più che altro una “compensazione” a spese dei contribuenti per ammorbidire le resistenze locali al progetto della linea nota impropriamente come Tav. La nuova stazione infatti creerà posti di lavoro, appalti a imprese locali, e così via, anche se dovesse rimanere deserta. E nella totale assenza di un piano finanziariodel progetto complessivo, vi è anche il rischio di vedere altre opere del genere lungo la Valsusa, dei risultati delle quali comunque nessuno risponderà.

MILANO-GENOVA AD ALTA VELOCITÀ

Il terzo caso, pur essendo di gran lunga il più oneroso, è paradossalmente il meno documentabile, e questo di per sé suscita perplessità rilevanti.
Si tratta della nuova linea alta velocità tra Milano e Genova, nota come “terzo valico”, termine che con involontaria ironia ricorda come esistano già due linee, certamente molto lontane dalla saturazione. Il costo previsto si aggira sui 6 miliardi, ma non è questo il punto.
Le informazioni sulla domanda prevista e sui costi e benefici sociali dell’opera, che consentano di valutarne la priorità rispetto ad altre, sono del tutto carenti, e questa purtroppo sembra essere una prassi consolidata in Italia.
La questione è strettamente finanziaria. Notoriamente per molto tempo è stato allo studio uno schema di project financing, per alleggerire tramite i ricavi da traffico l’onere per le esangui casse pubbliche.
Improvvisamente, pochi mesi fa, l’ipotesi di project financing sembra essere stata cancellata, e l’opera risulterà interamente a carico dello Stato. Cosa dedurre dalle scarse informazioni disponibili? O che il traffico previsto è troppo esiguo per dar luogo a ricavi che superino i puri costi di esercizio, o che il livello delle tariffe necessario a mantenere un minimo di traffico sulla linea è talmente basso da escludere che possa retribuire anche una ridotta quota dell’investimento, o  verosimilmente un mix delle due cose. Cioè la “disponibilità a pagare” complessiva degli utenti sembra molto bassa. Gli utenti sono viaggiatori con molta fretta (alta velocità), ma soprattuttomerci, date le caratteristiche del progetto. Una “disponibilità a pagare” bassa non può essere disgiunta da una utilità percepita complessivamente bassa.
A queste considerazioni sembra opportuno aggiungere una dichiarazione pubblica di alcuni anni fa dell’amministratore delegato di Fs: a suo avviso, quella linea presentava scarsa utilità funzionale (dichiarazione per cui fu duramente ripreso sul Sole-24Ore da un ex-ministro dei Trasporti). Le perplessità sulla sensatezza e sulla priorità di quest’opera dovrebbero suscitare un’attenta riflessione, soprattutto tenendo conto dei vincoli finanziari pubblici e dell’urgenza di rilanciare l’occupazione, che per le grandi opere ha notoriamente tempi lunghi e numeri piccoli per ogni euro pubblico speso.

 


4. Andrea Malan: Stazione nuova? Il treno non c’è più. Dieci milioni per lo scalo di Castel di Sangro in cui  non c’è più traffico.

(Il sole 24 ore,  27 marzo 2012)

Una stazione nuova da 10 milioni di euro per una ferrovia chiusa da nove anni: la fantasia italica dello spreco continua ad esercitarsi senza sosta anche in tempi di ristrettezze economiche. Protagonista è la Regione Abruzzo, che tramite la Ferrovia Sangritana (controllata al 100%) ha lanciato nel 2010 e aggiudicato l’anno scorso un bando di gara per la «realizzazione di un raccordo di tracciato ferroviario per l’unificazione delle stazioni Rfi e Fas nel comune di Castel di Sangro».

A Castel di Sangro, cittadina ai confini del Molise, ci sono infatti due stazioni: la prima di Rfi (ovvero le Ferrovie dello Stato) sulla linea Pescara-Sulmona-Carpinone-Isernia; la seconda, a 150 metri di distanza, per la ferrovia Sangritana che collega (o meglio, collegava) Castel di Sangro a Lanciano e al mare Adriatico. L’appalto appena assegnato è per la costruzione di una stazione unificata e di un nuovo raccordo fra le due linee. Il problema è che la linea da Castel di Sangro verso il mare è stata di fatto chiusa al traffico nel 2003 ed è ormai in avanzato stato di degrado; dal 2007 non vengono neppure più effettuati i treni turistici che ogni estate portavano migliaia di turisti nell’entroterra abruzzese.

Non solo: anche la linea Rfi ha visto una progressiva riduzione del traffico fino all’ultimo treno, partito lo scorso 10 dicembre 2011. La storia la racconta Giorgio Stagni, autore di un blog ferroviario tra i più seguiti: ancora nel 2003, scrive Stagni, la linea Pescara-Sulmona-Isernia vedeva circolare un buon numero di treni, fra cui una coppie di diretti Pescara-Napoli (in poco più di 5 ore) e una Sulmona-Napoli; il servizio è stato poi progressivamente amputato e ridotto, oltre che allungato nei tempi di percorrenza (in maniera non dissimile da quella di molte linee secondarie).

Il tutto ha contribuito al calo della frequentazione e ha portato alla chiusura: da Castel di Sangro a Carpinone nel 2010 e da Sulmona a Castel di Sangro a fine 2011. «Il servizio costava 900mila euro l’anno» dice Giandonato Morra, assessore ai Trasporti della Regione Abruzzo. I 10 milioni di “investimento” per la nuova stazione di Castel di Sangro «avrebbero consentito di tenere aperto il servizio ferroviario tra Sulmona e Castel di Sangro per almeno 10 anni» scrive Stagni. La Regione Abruzzo preferisce da tempo investire nel trasporto su gomma: la stessa Sangritana gestisce una serie di servizi di autobus (che in parte hanno sostituito i suoi servizi ferroviari; nel 2010 l’azienda ha effettuato servizi per oltre 5 milioni di chilometri (5,4) di cui solo 664mila su rotaia.

In ogni caso, da tre mesi per le due stazioni di Castel di Sangro non passa più neppure un treno. Lo stop al traffico non ha però fermato il progetto della nuova stazione. «L’appalto è legato a un finanziamento del Cipe deliberato fin dalla fine degli anni 90» dice Pasquale Di Nardo, presidente della Sangritana. La vicenda è in realtà ancor più grottesca. Nel 1997 il Cipe deliberò lo stanziamento di 22 miliardi di lire (più o meno gli 11 milioni di euro di oggi) per «l’unificazione della stazione ferroviaria di Castel di Sangro e il miglioramento della relativa tratta ferroviaria».

Pochi mesi dopo però il Ministero dei Trasporti modificava la descrizione dell’intervento sulla Sangritana in «nuovo intervento funzionale Val di Sangro-Stazione Archi», in quanto «la prima indicazione era scaturita da un errore materiale». Il Comune di Castel di Sangro fece però immediato ricorso al Tar. Come? Un “errore materiale” ci assegna lavori per 22 miliardi di lire e voi ce li scippate?. Dopo anni di causa e dopo 15 anni dalla prima assegnazione – con la ferrovia ormai chiusa –, arriva l’inizio dei lavori; cioè, quasi l’inizio, visto che siamo ancora alla progettazione definitiva e i lavori saranno effettivamente appaltati «fra qualche settimana», dice Di Nardo.

L’attuale sindaco di Castel di Sangro, Umberto Murolo, difende a spada tratta l’opera – «La nuova stazione potrebbe essere strategica per riattivare i servizi!» – e snocciola i possibili utilizzi della linea, «dai servizi turistici, con eventuale collegamento con la stazione sciistica di Roccaraso, al trasporto merci dal polo Fiat della Val di Sangro fino al Tirreno»… Il tutto su una linea – 55 chilometri di ferrovia fra Archi e Castel di Sangro – da cui è stata tolta la linea di alimentazione elettrica e, in molti punti, anche i binari. Quanto costerebbe rimetterla in sesto? «Secondo le nostre stime, circa 25 milioni» dice Di Nardo. Ovvero, con i fondi dell’inutile stazione la linea sarebbe a posto per quasi metà… «Potremmo usare fondi d’esercizio, i fondi Fas per lo sviluppo o chiedere altri fondi al Cipe», azzarda Di Nardo. Già, così magari fra 15 anni la linea riapre. A meno che per quella data non ci sia da rifare la stazione…

 

 

5. Dario Balotta e Marco Ponti: In Lombardia la concorrenza ha perso il treno

(La voce.info, 8 aprile 2012)

La legge di riforma del trasporto pubblico locale approvata dalla Regione Lombardia è il classico esempio da non seguire. Sancisce un trattamento differenziato tra servizio ferroviario locale, privilegiandolo, e quello svolto dalle autolinee, che pure è meno costoso. Nelle gare ferroviarie aumentano le barriere all’ingresso, con l’adozione del contratto nazionale e di quelli integrativi. Ma l’elemento più anticompetitivo è la dimensione minima dei lotti, che impedisce le liberalizzazioni graduali attraverso bandi di gara per singole linee o gruppi di linee.

La legge di riforma del trasporto pubblico locale (Tpl), approvata dopo un lungo iter dal Consiglio regionale della Lombardia nel marzo scorso all’unanimità (cosa davvero insolita), non sembra rispondere alle esigenze di riassetto, di rilancio e di contendibilità del sistema in una difficile fase di contrazione della disponibilità di risorse pubbliche. Dato il peso economico e dimensionale della Lombardia, ciò può costituire un pericoloso precedente.

I PRIVILEGI DELLE FERROVIE

 La riforma (Legge Consiglio regionale n. 042) sancisce un trattamento differenziato tra servizio ferroviario locale e quello svolto dalle autolinee (urbane ed extraurbane), che si è andato affermando negli ultimi anni innanzitutto attraverso una ripartizione dei contributi di esercizio nettamente favorevole ai trasporti ferroviari. Questi hanno goduto, in un decennio, di aumenti dei contributi superiori a quello dell’offerta, di un aumento delle tariffe superiore a quello dell’inflazione e sono stati “graziati” dalle ultime tornate di tagli, che invece hanno colpito le autolinee (tabella 1 e 2). Inoltre, alle costituende cinque Agenzie della mobilità non è affidata nessuna competenza ferroviaria, che viene riservata interamente alla Regione, di modo che questa possa avvalersi senza troppe discussioni di Trenord, ovvero la società tutta pubblica e controllata dalla stessa Regione, risultata dalla fusione dei servizi ferroviari locali di Trenitalia e di Ferrovie Nord. Le Agenzie corrispondono a cinque maxi-bacini di servizi su gomma: quelli di Bergamo, di Brescia, di Como, Lecco, Sondrio e Varese, di Cremona e Mantova, e per ultimo il maxibacino di Milano, Monza, Lodi e Pavia. I bacini, così configurati, non assicurano una nuova ed efficiente governance perché sono stati disegnati sulla base dei vecchi confini amministrativi e non sono il risultato di un’analisi della domanda di traffico o delle caratteristiche dei servizi, ma neppure del posizionamento dei depositi e delle officine. Ciò renderà molto difficoltosa, se non impossibile, l’effettuazione di gare efficaci. In contrasto con i principi della concorrenza e con un razionale utilizzo delle risorse pubbliche c’è poi la decisione (art. 28) di far rientrare nel contratto di servizio Regione-Trenord una quota parte dei collegamenti ferroviari con l’aeroporto di Malpensa, nonostante questo abbia tutte le caratteristiche di servizio commerciale, tanto che è in vigore una tariffa diversa (maggiore) da quella del Tpl. Il servizio per Malpensa ha tutte le caratteristiche per non essere sussidiato e anzi può essere messo a gara a zero costi per la Regione, allo stesso modo dei collegamenti automobilistici per l’aeroporto.

GARE? ALLE CALENDE GRECHE

. La nuova legge regionale non indica un orizzonte per l’applicazione del dispositivo “pro-competition” previsto dalla recente normativa nazionale, pur approvata prima di quella regionale, e addirittura vengono introdotte nuove barriere all’ingresso in caso di gara ferroviaria (art. 35), laddove viene previsto, come condizione per poter partecipare, non solo l’adozione del contratto nazionale vigente e il mantenimento degli organici delle aziende esistenti, ma anche le condizioni economiche e normative previste dai contratti integrativi (cioè tutti i contratti che nel tempo la Regione Lombardia ha siglato in vista delle elezioni o amministrative o politiche). Molto di più di quanto disposto dal già garantista articolo 37 della legge “cresci Italia” che obbliga a osservare i contratti nazionali di settore. La gestione delle tariffe integrate e del biglietto unico viene ancora indicato come un obiettivo generico. Le associazioni dei consumatori e dei pendolari trovano accolte le loro richieste “partecipative” in contesti privi di qualsiasi potere decisionale. E la Regione Lombardia resta in pieno nel suo plateale conflitto d’interessi, essendo al tempo stesso programmatore dei servizi, finanziatore delle risorse, gestore e proprietario (attraverso la partecipata al 50 per cento Trenord), mostrando di voler privilegiare l’asset ferroviario rispetto a quello meno costoso e più flessibile delle autolinee, proprio perché quell’asset è diventato strumento di consenso diretto dell’amministrazione regionale.

LOTTI OBESI, CONCORRENZA MAGRA Ma l’elemento più anticompetitivo della legge è sicuramente la dimensione minima dei lotti (almeno 10 milioni di bus/km anno per i servizi di autolinee e non più di tre lotti per bacino). In realtà, il settore è caratterizzato da economie di scala molto dubbie (è stato valutato a livello europeo che la dimensione efficiente va dai 5 ai 7 milioni di bus/km anno), mentre appare provato che i costi unitari delle imprese private sia grandi che piccole siano nettamente più bassi di quelli delle grandi imprese pubbliche, anche scontando i maggiori costi dei servizi urbani in carico alle imprese più grandi. (1) Comunque, la prova dell’eventuale esistenza di economie di scala può essere lasciata al mercato stesso, senza necessità alcuna di definire lotti minimi: se le offerte più vantaggiose accorperanno più lotti, ciò ne sarà la miglior riprova. In realtà, occorrerebbe porre limiti alle dimensioni massime dei lotti, per favorire la contendibilità, come più volte rilevato dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
L’obbligo del lotto obeso impedisce anche di procedere a liberalizzazioni graduali, mettendo in gara singole linee o gruppi di linee. Date le barriere all’ingresso, le asimmetrie informative di cui godono gli incumbents e la manifesta ostilità politica da parte dei concedenti pubblici in cui si troverebbe a operare qualsiasi nuovo  entrante, non sembrano esservi dubbi che le gare con questa legge non avranno impatto alcuno.
Certo “spes ultima dea”, e la nuova Autorità di regolazione dei trasporti potrebbe e dovrebbe segnalare all’Antitrust qualsiasi normativa locale palesemente anticoncorrenziale, per la sua pronta cancellazione.

Fonti: Elaborazione Onlit su: (1) Regione Lombardia (2009), “Accordi tra Regione Lombardia e le imprese ferroviarie per il potenziamento e il miglioramento del servizio ferroviario regionale in Lombardia”; (2) Regione Lombardia (2007), “Sviluppo del Tpl in Lombardia. Risorse necessarie e prospettive”; (3) Tln (2010), Elementi di Piano Industriale e linee guida strategiche. Febbraio 2010; (4) Istat (2010), Indice dei prezzi al consumo.
* incremento tariffario medio riferito al periodo 2002-giugno 2011

(1) Si veda, per esempio, Boitani A., Nicolini M., Scarpa C., “Do competition and ownership matter? Evidence from local public transport in Europe”, Applied Economics, vol. 45, pp. 1419-1434, http://dx.doi.org/10.1080/00036846.2011.617702.

 

 

 

6. Marco Ponti : Non c’è solo la Tav

(La voce.info 30 marzo 2012)

Non c’è solo la Torino-Lione. Il governo è in procinto di decidere su un certo numero di grandi opere. L’attenzione mediatica è concentrata sul tunnel della Val di Susa, ma c’è il forte rischio che anche questi altri interventi possano rivelarsi, nel complesso, un cattivo affare per il paese e per gli equilibri di finanza pubblica del prossimo ventennio. È urgente un ripensamento che porti a scegliere progetti meno costosi, più rapidamente realizzabili e perciò più utili alla crescita.

Un certo numero di grandi opere, oltre la Torino-Lione, attende una decisione del governo. L’attenzione mediatica è concentrata sul tunnel della Val di Susa, ma è forte il rischio che queste altre opere possano rivelarsi, nel complesso, un affare non migliore per il paese e per gli equilibri di finanza pubblica del prossimo ventennio. (1)

IL CATALOGO (BREVE) È QUESTO 

Alcune opere sono già state finanziate in parte, altre hanno passato la cruciale soglia dell’approvazione del Cipe. (2) Vale la pena riflettere sulle maggiori.
Si tratta del tunnel ferroviario del Brennero, della linea ferroviaria Milano-Genova (nota come “terzo valico”, essendocene già due, e sottoutilizzati), la linea alta velocità Milano-Verona, le  nuove linee ferroviarie Napoli-Bari e Palermo-Catania, tecnicamente non ad alta velocità, ma con costi unitari del tutto paragonabili, e il miglioramento in asse della linea Salerno-Reggio Calabria (forse la più sensata). Il costo totale preventivato supera i 27 miliardi di euro. Va segnalato che i preventivi non hanno avuto una verifica “terza”, come sarebbe auspicabile, dato l’ovvio e storicamente verificato incentivo per i promotori dei grandi progetti a sottostimarne abbondantemente i costi.
Vi è anche una forte intesa politica “bipartisan” per la nuova linea Venezia-Trieste, mentre non è chiaro al momento il destino del ponte sullo stretto di Messina.

SOMIGLIANZE

 Quali caratteristiche hanno in comune questi progetti? Sommariamente si può dire così:

Non sono stati resi pubblici i piani finanziari: cioè non è noto quanto sarà a carico dei contribuenti e quanto a carico degli utenti. La cosa non sembra irrilevante in un periodo di grande scarsità delle risorse pubbliche.

Non sono in generale note analisi costi-benefici comparative delle opere, finalizzate a determinare una scala trasparente di priorità.

I finanziamenti non sono “blindati” fino a garantire il termine dell’opera. La normativa recente che consente di realizzarle “per lotti costruttivi”, invece che “per lotti funzionali” (vedi “Grandi opere, un pezzo per volta“, e “A volte ritornano, i lotti non funzionali), rende possibili cantieri di durata infinita, come già spesso è accaduto per opere analoghe.

Si tratta di opere ferroviarie, ed è noto che la “disponibilità a pagare” degli utenti per la ferrovia è molto bassa, tanto che in generale se si impongono tariffe che prevedano un recupero anche parziale dell’investimento, la domanda, già spesso debole, tende a scomparire integralmente. Questo aspetto, su cui qui non è possibile dilungarsi, rende problematica la scelta, in presenza di risorse scarse.

I benefici ambientali del modo ferroviario non sono discutibili. Ma non è così in caso di linee nuove: le emissioni climalteranti “da cantiere” rendono il saldo ambientale molto problematico. (3)

Il contenuto occupazionale e anticiclico di tali opere appare modestissimo: si tratta di tecnologie “capital-intensive” (solo il 25 per cento dei costi diretti sono di lavoro), e comunque l’impatto occupazionale è lontano nel tempo, data la durata media di realizzazione. (4)

PROGETTO PER PROGETTO

 Vediamo ora alcuni aspetti, per quanto frammentari, specifici di alcune di queste opere. La debolezza del quadro informativo di cui si dispone è un problema politico in sé: investimenti pubblici di tale portata dovrebbero essere documentati e comparati in modo trasparente ed esaustivo.
Sul “terzo valico” Mauro Moretti, amministratore delegato di Fs, si è espresso più volte mettendone fortemente in dubbio la priorità, tanto da dover essere duramente ripreso con una lettera al Sole-24Ore dall’ex-ministro Pietro Lunardi. lavoce.info  ha dimostrato l’inconsistenza dell’analisi costi-benefici della linea av Milano-Venezia (vedi “E sulla Milano-Venezia i conti non tornano“), presentata con notevolissimo eco mediatico e unanime approvazione politica due anni fa, senza che mai questa dimostrazione sia stata confutata dagli autori dell’analisi. Per il tunnel del Brennero, gli austriaci da tempo esprimono perplessità sulle proprie disponibilità finanziarie. (5) Certo se l’Italia costruisse la propria metà, vi sarebbero rilevanti problemi funzionali per l’opera, in assenza della parte austriaca. Una dimostrazione di inconsistenza è stata proposta da lavoce.info  anche per l’analisi costi-benefici presentata da Fs per la linea Napoli-Bari (vedi “E sulla linea Napoli-Bari corre la perdita“). Anche in questo caso, nessuna smentita è pervenuta.
Quali conclusioni trarne? Forse vale la pena di sfatare una posizione più volte emersa nei dibattiti pubblici, cioè che le infrastrutture generino nel tempo la domanda che le giustifica: il maggior flop infrastrutturale di questi anni, la linea di alta velocità Milano-Torino, costata 8 miliardi e con una capacità di 330 treni/giorno, ne porta, dopo tre anni dall’entrata in servizio, appena venti. Né si può argomentare che l’avvento del collegamento Torino-Lione ne genererebbe molti di più: le stime ufficiali (ma quelle del progetto completo, non di quello attuale, molto più modesto) parlano di meno di venti treni aggiuntivi.

UN MONDO MIGLIORE 

Purtroppo, la debolezza della domanda ferroviaria (non dell’offerta, si badi) non è forse il problema maggiore. Che sta nei cantieri infiniti, consentiti dall’attuale normativa. Per ragioni di consenso si rischia di avere moltissime opere non finite in tempi ragionevoli, con costi economici stratosferici. Si pensi all’esempio del progetto alta velocità, trascinatosi in media per dieci anni invece dei cinque fisiologici: su un costo complessivo di 32 miliardi, il costo-opportunità perduto delle risorse pubbliche (usando il valore standard europeo del saggio sociale di sconto del 3,5 per cento) è stato di 3,2 miliardi (questo, ignorando gli altri extra-costi, che hanno reso l’opera non confrontabile con altre simili europee). E l’extra-costo finanziario è ovviamente assai più elevato.
Non sembra proprio il momento di andare avanti con queste logiche, evidentemente proprie di un diversa fase politica ed economica, quando è così urgente rilanciare la crescita del paese.
Ecco, la crescita. In molti invocano le grandi opere proprio per rilanciare la crescita. Ammesso che veramente ci sia un nesso forte tra opere pubbliche e crescita, appare difficile contestare che alla crescita servano di più opere socialmente utili e dal costo ragionevole che opere di utilità sociale molto dubbia ed estremamente costose. (6) Altrimenti, tanto varrebbe scavare buche e riempirle: così, almeno, si eviterebbero i probabili effetti pro-ciclici di spese ingenti inevitabilmente prolungate nel tempo. Anche lasciando da parte i paradossi di Keynes, sarebbe raccomandabile un ripensamento serio finalizzato non necessariamente a spendere meno (anche se non sarebbe disprezzabile, visto che di soldi ce ne son pochi), ma a spendere meglio (maggior utilità sociale di ogni euro speso) e con il traguardo di  risultati più vicini nel tempo, per risolvere inefficienze localizzate che sul serio limitano la crescita (si pensi ai collegamenti tra i maggiori porti e interporti e la rete ferroviaria, ai grandi nodi metropolitani ferroviari e stradali).
Ma chi avrà il coraggio di dire di no a tanti “sogni nel cassetto” di politici, banche e costruttori locali, soprattutto in vicinanza di elezioni? La risposta che affiora subito alla mente è: il governo tecnico. Speriamo bene.

(1) L’articolo è stato scritto con la collaborazione di Raffaele Grimaldi. (2) Si vedano le Gazzette ufficiali del 26.4.2011, 10.6.2011, 9.6.2011, 31.12.2011. (3) Westin J. e Kågeson P. (2012), “Can high speed rail offset its embedded emissions?”, Transportation Research Part D, 17, 1–7 (4) Vedi de Rus, G. e Inglada, V. (1997), “Cost-benefit analysis of the high-speed train in Spain”, The Annals of Regional Science, 31, 175–188. (5) Si veda Il Sole-24Ore del 20.3.2012 (6) Vedi Di Giacinto V., Micucci G., Montanaro P. (2011), “L’impatto macroeconomico delle infrastrutture: una rassegna della letteratura e un’analisi empirica per l’Italia”, in Banca d’Italia: Le infrastrutture in Italia: dotazione, programmazione, realizzazione, 21-56.

 

 

 

 

7. Andrea Boitani e Marco Ponti: Tav o no Tav. E’ ancora questo il dilemma?

(La voce.info, 5 marzo 2012)

In queste ultime settimane la questione della Tav Torino-Lione è andata di nuovo fuori binario. È tornata a essere luogo privilegiato di contrapposizioni ideologiche, di violenze fisiche e verbali, di atti sconsiderati e inaccettabili, di mezze verità e, soprattutto, di parole in libertà.
Noi abbiamo sempre cercato di riportare la discussione sui numeri: dalle previsioni di traffico (in genere ottimisticamente esagerate dai pro-Tav) all’impatto ambientale (in genere pessimisticamente esagerato dai no-Tav). Soprattutto, abbiamo insistentemente richiamato l’attenzione sull’esigenza di valutare i costi sociali e i benefici sociali (vedi la scheda “Analisi costi-benefici: ecco di cosa si parla“) complessivi di questo progetto e di confrontare i risultati con quelli relativi ad altri progetti, data la cronica scarsità delle risorse pubbliche. Siamo perfettamente coscienti che i nostri richiami alla razionalità della decisione possano essere stati strumentalizzati da chi a quest’opera si oppone senza se e senza ma e, soprattutto, senza troppo ragionare.
Recentemente abbiamo mostrato come le successive revisioni del progetto (detta “fasizzazione”) abbiano consentito di ridurne consistentemente i costi e solo marginalmente i benefici (vedi l’articolo “La Torino-Lione si fa low cost: perché solo ora?“). Così, se i conti sembrano indicare che i costi siano ancora superiori ai benefici, la differenza si è molto ridotta; tanto che ora è probabilmente inferiore a quella che si otterrebbe per altri progetti ferroviari (tipo Terzo valico o Napoli-Bari) che pure non suscitano tutta l’opposizione che suscita la Torino-Lione. Viene da chiedersi perché sia così scarsa l’attenzione su questi fatti e perché poco ci si interroghi su cosa abbia spinto a discutere per anni intorno a un progetto faraonico, mentre un’alternativa più economica (anche se non proprio low cost) era a portata di mano.

Viene anche da chiedersi cosa spinga il movimento no-Tav a credere che compiendo reiterati atti illegali – compreso il blocco di strade e autostrade che colpisce il diritto di tutti alla mobilità – si possa ottenere qualcosa di diverso dal convincere tutti gli italiani che sono solo degli estremisti senza ragioni, che odiano qualsiasi grande opera pubblica “a prescindere”.
 Senza per forza dar credito a identità propagandistiche (tipo: Tav = Modernità, oppure Tav = rimanere attaccati all’Europa) o ad affermazioni molto dubbie (“tanto i soldi ce li mette l’Europa”), sarebbe il caso di accantonare il confronto di piazza, ragionare seriamente e in tempi brevi su quali ulteriori “fasizzazioni” potrebbero contribuire a ridurre ulteriormente i costi e poi lasciar finalmente partire i lavori per la realizzazione di un’opera su cui ben sette governi diversi hanno messo (a torto o a ragione) la faccia.

Semmai si dovrebbero concentrare gli sforzi a controllare che i lavori finiscano nei tempi previsti e senza lievitazione dei costi rispetto alle previsioni. Allo stesso tempo, bisognerebbe pretendere che anche per altre opere si arrivi a un ragionevole down-sizing dei progetti e che questi (e non quelli “grandiosi”) vengano sottoposti subito al confronto con gli interessi locali, per poi passare il vaglio di un’accurata valutazione dei costi e dei benefici effettuata da qualche serio e indipendente organismo internazionale.

 

 

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Category: Economia

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