Luciano Gallino: Il Jobs Act? Una pericolosa riforma di destra

| 2 Dicembre 2014 | Comments (0)

 

 

Diffondiamo da Huffington Post del 2 dicembre 2014 diffondiamo questa intervista di Giacomo Russo Spena a Luciano Gallino

 

D. scusi professore, lei parla di un progetto vecchio eppure il governo – che del nuovismo ha fatto un cavallo di battaglia – lo sponsorizza proprio per modernizzare il paese. dov’è l’imbroglio?

R. nel Jobs Act non vi è alcun elemento né innovativo né rivoluzionario, tutto già visto 15-20 anni fa. e’ una creatura del passato che getta le proprie basi nella riforma del mercato anglosassone di stampo blairiano, nell’agenda sul lavoro del 2003 in germania e, più in generale, nelle ricerche dell’Ocse della metà anni ’90. inoltre si tratta di una legge delega, un grosso contenitore semivuoto che sarà riempito nei prossimi mesi o chissà quando. non mi sembra un provvedimento che arginerà la piaga della precarietà né che rilancerà l’occupazione nel paese.

 

D. Una bocciatura netta. e del premier che giudizio esprime, molti iniziano a considerare il renzismo come il compimento del berlusconismo. E’ d’accordo?

R. Per certi aspetti sì, il Jobs Act potrebbe tranquillamente esser stato scritto da un ministro di un passato governo Berlusconi. non a caso Maurizio Sacconi è uno dei politici più entusiasti. Renzi continua nel solco di politiche di destra impostate sul taglio ai diritti sul lavoro, sulla compressione salariale e sulla possibilità di un maggiore controllo delle imprese sui dipendenti, vedi l’uso delle telecamere.

 

D. In un recente editoriale su Repubblica ha contrapposto alla leopolda renziana, la piazza della cgil. eppure in altre occasioni passate aveva espresso dubbi sull’organizzazione di Susanna Camusso, accusandola di aver “appannato la bandiera del sindacato”. ha cambiato idea?

R. Negli ultimi mesi ad esser cambiata è la Cgil. In diversi frangenti non ha contrastato i nefasti provvedimenti avanzati dai governi, come nel caso della riforma pensionistica. Ha accettato supinamente leggi micidiali e lo smantellamento del nostro welfare. Sul Jobs Act è stata incisiva mettendo in piedi una dura resistenza. e le divergenze tra Cgil e Fiom – che invece ha sempre mantenuto la barra dritta – ora sono minori, questo va salutato positivamente.

 

D. Le nostre politiche economiche vengono dettate da quell’Europa che sta imponendo soprattutto ai paesi del sud europa dure misure di austerity e privatizzazioni. che credibilità ha Renzi quando minaccia di sbattere i pugni a Bruxelles?

R. Dagli anni ’90 i socialisti europei e le differenti branche della socialdemocrazia hanno abdicato e sono stati contagiati dall’ideologia neoli- berale abbracciando così l’idea dei mercati da anteporre alla democrazia. alla finanza che disciplina i governi. In questo quadro, le affermazioni del premier sono vuote, alle invettive non corrispondono i fatti: il Jobs Act e la legge di stabilità ne sono la palese prova.  Persiste l’ortodossa ubbidienza ai diktat dell’europa, Renzi non è altro che un fedele esecutore della troika.

 

D. Non crede in repentine svolte in Europa e a strade alternative?

R. Siamo lontani dal contrastare le politiche imposte da bruxelles. la sinistra italiana come espressione di massa di fatto non esiste più. sono rimaste delle schegge, anche interessanti, ma politicamente ininfluenti soprattutto di fronte a quel che dovrebbe essere il domani di una sinistra in grado di rappresentare una valida opzione e un’opposizione solida in parlamento. in Europa podemos e syriza rappresentano segnali importanti, iniziano ad avere una valenza di massa. in generale, le recenti elezioni hanno confermato quasi ovunque governi di destra o, ad essere gentili, di centrodestra. Ciò significa che la maggioranza degli elettori dell’eurozona preferisce lo status quo, purtroppo. la Germania ha rivotato in massa la cancelliera Angela Merkel e il ministro Wolfgang Schäuble malgrado le politiche restrittive e del rigore.

 

D. Per l’Italia auspica la nascita di un forte soggetto a sinistra del renzismo?

R. Detesto le sfere di cristallo, il futuro non è prevedibile. bisogna costruirlo. e di certo nel paese esistono milioni di persone mosse da ideali e sensibilità di sinistra alla ricerca di una nuova modalità di aggregazione. Le varie schegge esistenti dovrebbero riformularsi, diventare un’unica forza per poter così rappresentare una reale alternativa. Ma c’è molta strada da percorrere, molta.

 

D. Lei ha firmato insieme agli economisti Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Enrico Grazzini e Stefano Sylos Labini un appello che propone la nascita di una moneta parallela all’euro per uscire dalla trappola della liquidità e del debito. in che consiste?

R. Qui non si tratta di uscire dall’euro ma di avere in italia dei titoli pubblici con la possibilità di poterli spendere e scambiare come se fossero una moneta. Nel manifesto si parla esplicitamente della fuoriuscita dall’euro come atto con conseguenze disastrose per la nostra economia. penso alla fuga dei capitali, alla possibile svalutazione della nuova moneta e alle complicazioni burocratiche. Ci sono milioni di contratti con soggetti esteri denominati in euro, che dovrebbero essere ritoccati e modificati. Un’assurdità. nell’euro ci siamo, consci che ci sono gravissimi problemi che andrebbero analizzati e discussi mentre Bruxelles e in primis la Germania lo vietano in maniera categorica. la nostra proposta è un modo per ovviare a livello nazionale alle rigidità dell’euro e far circolare contante a chi ne ha meno, compresi lavoratori e medie e piccole imprese.

 

D. Un modo di riottenere la sovranità perduta?

R. Certamente. il trasferimento di poteri da Roma a Bruxelles forse è andato oltre anche a quel che era previsto a Maastricht. viviamo in un’europa delle diseguaglianze che necessita di alcuni urgenti interventi, al momento non sembra ci siano le condizioni: la commissione non vuole modificare la propria linea economica con Junker sostenuto convintamente dalla Germania. L’euro sarà destinato a propagare guai ancora per molto tempo e l’emissione in Italia di certificati di credito fiscale (ccf) potrebbe mitigare i disastri della moneta unica, così pensata.

 

D. Pablo Iglesias, leader di podemos, parla esplicitamente di una Spagna “colonia della Germania”. Il discorso può valere per l’italia?

R. Il termine colonia è un po’ forte. però di fatto le politiche che stanno strangolando i paesi con tagli alla spesa pubblica, con l’ossessione dell’avanzo primario – quindi tartassare sempre maggiormente i cittadini e nello stesso momento diminuire servizi – sono procedimenti suicidi e insensati. E molte di queste imposizioni sono volute dalla Germania, dietro alla durezza del governo tedesco ci sono le banche tedesche che si erano esposte con l’acquisto di ti- toli internazionali. La Germania ha pensato di salvare le proprie banche. Forse non siamo una colonia, di certo soggetti ad una forma di imposizione esterna. Come noi anche gli altri paesi dell’Europa del sud e la Francia.

 

D. Anche la Francia?

R. Di meno, è sempre la seconda economia dell’eurozona ed ha legami storici con la Germania dai tempi di Mitterrand. Ma ha subito forte pressioni ed è stato costretta a tagliare salari, pensioni e sanità. Lo stesso governo te- desco ha introdotto nel proprio paese le misure d’austerity, a partire dall’agenda 2010 del 2003, arrivando alla creazione del settore dei lavoratori poveri più ampio d’europa: 15 milioni di persone che guadagnano meno di 6 euro l’ora oppure occupati 15 ore alla settimana per 450 euro al mese. 15 milioni è circa un quarto della forza lavoro tedesca…

 

 

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Category: Economia, Lavoro e Sindacato, Luciano Gallino e la rivista "Inchiesta", Politica

About Luciano Gallino: Luciano Gallino (1927) nel 1956 viene chiamato dall'ingegnere Adriano Olivetti a collaborare all’Ufficio Studi Relazioni Sociali costituito presso la Olivetti - struttura di ricerca aziendale inedita in quel periodo in Italia - e successivamente, dal 1960 al 1971, ricopre la carica di direttore del Servizio di Ricerche Sociologiche e di Studi sull’organizzazione (SRSSO). Dopo aver ottenuto una Libera Docenza in Sociologia nel 1964, è diventato Fellow Research Scientist del Center for Advanced Study in the Behavioral Sciences di Stanford in California. Dal novembre 1965 al 1971 è stato professore incaricato presso la Facoltà di Magistero e la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Torino. Successivamente, dal 1971 al 2002, è stato professore ordinario di Sociologia nella Facoltà di Scienze della Formazione della stessa Università, nella quale attualmente è professore emerito. Tra il 1968 e il 1978 è stato direttore dell'Istituto di Sociologia di Torino, una delle prime strutture di ricerca in questo ambito disciplinare costituite nell'università italiana. Dal 1999 a fine 2002 è stato Direttore del Dipartimento di Scienze dell'Educazione e della Formazione. In tale ruolo ha promosso lo sviluppo di un Centro specializzato nello studio e nella realizzazione di corsi orientati alla "Formazione aperta/assistita in rete". Parallelamente alla sua attività di ricerca e d'insegnamento, ha ricoperto diverse e prestigiose cariche istituzionali. Dal 1979 al 1988 è stato presidente del Consiglio Italiano delle Scienze Sociali. Dal 1987 al 1992 ha rivestito la stessa carica nell'Associazione Italiana di Sociologia. È socio dell'Accademia delle Scienze di Torino, dell'Accademia Europea e dell'Accademia Nazionale dei Lincei. Dirige dal 1968 la rivista scientifica Quaderni di Sociologia. Ha collaborato inoltre con autorevoli quotidiani nazionali, in particolare tra il 1970 e il 1975 ha scritto su «Il Giorno», dal 1983 al 2001 ha collaborato con «La Stampa» e dal 2001 collabora con «La Repubblica». Fa parte del comitato scientifico della manifestazione "Biennale Democrazia". Dal 2007, è il responsabile scientifico del Centro on line «Storia e Cultura dell'Industria», progetto che promuove la conoscenza della storia industriale e del lavoro del Nord Ovest italiano dal 1850 a oggi, con finalità didattiche. Dal 2011 è Presidente Onorario e Presidente del Consiglio dei Saggi dell'AIS - Associazione Italiana di Sociologia. Tra i suoi ultimi libri: Globalizzazione e disuguaglianze (Laterza, 2000); Il costo umano della flessibilità (Laterza, 2001); L’impresa responsabile. Un'intervista su Adriano Olivetti (Comunità, 2001); La scomparsa dell'Italia industriale (Einaudi, 2003); Dizionario di Sociologia (UTET, 2005); L’impresa irresponsabile (Einaudi, 2005); Italia in frantumi, (Laterza, 2006); Tecnologia e democrazia. Conoscenze tecniche e scientifiche come beni pubblici (Einaudi, 2007); Il lavoro non è una merce. Contro la flessibilità, (Laterza, 2007); Con i soldi degli altri. Il capitalismo per procura contro l'economia (Einaudi, 2009); Finanzcapitalismo. La civiltà del denaro in crisi, (Einaudi, 2011).

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