L’iniqua manovra di Monti e l’incubo dello spread
La libertà di una democrazia non è salda se il suo sistema economico non fornisce occupazione e non produce e non distribuisce beni in modo tale da sostenere un livello di vita accettabile (…) Oggi tra noi sta crescendo una concentrazione di potere privato senza eguali nella storia. Tale concentrazione sta seriamente compromettendo l’efficacia dell’impresa privata come mezzo per fornire occupazione ai lavoratori e impiego del capitale, e come mezzo per assicurare una distribuzione più equa del reddito e dei guadagni tra il popolo della nazione tutta. ( Franklin D. Roosevelt).
Accade dunque che, nonostante la manovra lacrime (della ministra Fornero) e sangue (dei cittadini, specie pensionati e lavoratori dipendenti), la terza in pochi mesi, lo spread, il differenziale di rendimento tra i titoli di stato italici e quelli tedeschi, oscilli attorno a 500 (cinquecento) punti, cioè al 7% e più di interesse. Se così continuasse su base annua, fate un po’ voi il conto con un debito pubblico di circa 2000 (duemila) miliardi. Una montagna di soldi che “i mercati” si ingoiano. Diciamo, tra 75 (settantacinque) e 85-90 (ottantacinque, novanta) miliardi nei prossimi dodici mesi, in una ipotesi “ottimista”. Finora gli interessi sul debito sono stati pagati con nuovo debito, ma se si assume il pareggio di bilancio come obbligo costituzionale, allora gli 80-90 miliardi almeno bisognerà trovarli con nuovi tagli e/o nuove imposte. Col che un debito di 2000 (duemila) miliardi di euro non è estinguibile, basta dividere per 60 (sessanta) milioni di abitanti, scoprendo che ciascun cittadino, bambini, anziani e vecchi compresi, dovrebbe pagare 33.000 ( trentatremila) euro. Ma i cittadini, a differenza di quel che vogliono far credere lor signori, sono innocenti, non devono nulla, almeno nella loro grande maggioranza, e la favola che sia colpa dei pensionati è menzognera, una menzogna tanto volgare quanto gridata e di cui dovrebbero, dovranno, in molti vergognarsi.
Un debito che, per di più, sembra un mostro eruttato da chissà dove, una maledizione “mediterranea” forse, un evento naturale come un terremoto o un tornado, e che invece è umano, prodotto dagli uomini, vuoi vedere magari i “mercati”, e su cui giustamente un gruppo di cittadini ha deciso di proporre una inchiesta, un audit come si dice. Dovrebbe farlo il governo o, perché no, l’alfiere della nostra coesione nazionale, il Presidente della Repubblica, o persino un partito, ma tant’è, che lo faccia un gruppo di persone di buona volontà è già buona cosa, scoperchiando questo maleodorante accumulo. Leggiamo dall’appello pubblicato su « Il Manifesto»: «Noi vogliamo fare nostra la proposta che ha già raccolto decine di migliaia di adesioni in Francia (tra i promotori Susan George, Francois Chesnais, Etienne Balibar, consultabile su www.audit-citoyen.org, e rilanciata in Italia dalla campagna Rivolta il debito) di una commissione in grado di visionare il debito pubblico, come è contratto, a favore di chi e di quali interessi. Facciamo nostra la proposta per rivedere in profondità l’entità del debito pubblico italiano accumulato nel tempo per favorire rendite, profitti, interessi di casta e di una ristretta élite e non certo per favorire le spese sociali, l’istruzione, la cultura, il lavoro».
Detto in altri termini, il debito pubblico enorme non dipende dalle spese per lo stato sociale, scuola, sanità, previdenza e pensioni. Però ovviamente fare cassa prelevando danaro dalle pensioni è per lo Stato facile, e quasi indolore. Un modo un po’ vigliacco forse, ma chi se ne importa. Con il condimento di conflitti inventati, e amplificati dalla gran cassa dei media, tra i pensionati, anziani, e i precari, giovani, tra i nonni e i nipoti, secondo il vecchio motto divide et impera. Certo sarebbe stato più difficile aggredire l’evasione fiscale dell’ordine di 120 (centoventi) miliardi di euro l’anno, oppure prendersela con la corruzione, che vale 60 (sessanta) miliardi sempre l’anno, o magari praticare l’eresia del rifiuto di acquistare i famosi 130 (centotrenta) aerei da combattimento F 35 che costano 15 (quindici) miliardi.
Ma torniamo alla manovra di Monti. Se la si guarda dal punto di vista del mercato delle merci si vede chiaramente, senza bisogno di avere frequentato la Bocconi, come e quanto sia depressiva. Come è noto chi spende quasi tutto il suo denaro in consumi sono i ceti medi e medio bassi (i poveri si limitano a sopravvivere). Ora tagliare pensioni, mettere tasse sulla benzina e sulla prima casa, aumentare l’IVA, e quant’altro diminuisce drasticamente il potere d’acquisto proprio di questi ceti. Potere d’acquisto già fortemente incrinato. Per esempio gli stipendi e i salari da lavoro dipendente hanno perso in media nell’ultimo anno l’1.8%, e per i salari dell’ordine di mille euro si sale al 3.3%, e il 2012 sarà peggio, aumenteranno anche i disoccupati. A potere d’acquisto molto minore corrispondono consumi più bassi, e quindi depressione sia della produzione che della distribuzione. Mentre invece se si tassano i redditi alti e i patrimoni, i consumi non diminuiscono, i ricchi continuano a comprare più o meno quel che compravano prima, essendo il denaro investito in consumi una piccola parte del loro reddito. Né si dica che la patrimoniale è impossibile tecnicamente: essa esiste in Francia senza scandalo, tra l’1 e 2%, per patrimoni superiori a 730000 euro, con una forte tassa sulla successione, progressiva col valore stimato, e con una tassa aggiuntiva introdotta nell’autunno 2011 sulla ricchezza, del 3% oltre i 250000 (duecentocinquantamila) e del 4% oltre i 400000(quattrocentomila) euro. Viceversa per le famiglie il governo di destra francese ha decretato il blocco delle tariffe energetiche per un anno. Queste cose deve conoscerle anche l’ex-rettore della Bocconi Mario Monti, e quindi perché una manovra apertamente depressiva?
Ma riprendiamo la tagliola dello spread, che non solo non diminuisce, ma anzi inesorabile, giorno dopo giorno cresce e serra sempre più le sue mascelle dentate sul corpo dell’economia del Bel Paese. Eppure il Parlamento ha votato la manovra rigorista tutti insieme appassionatamente, come Merkel ordinava e anche un po’ di più, con soddisfazione di Napolitano. Eppure ci hanno accolto di nuovo nel salotto buono d’Europa con grandi strette di mano. Eppure il banchiere centrale europeo Mario Draghi ha appena elargito circa 500 (cinquecento) miliardi alle banche europee, che però invece di riaprire i cordoni della borsa per gli investimenti produttivi e/o di acquistare titoli di stato, per ora hanno preferito metterli in cassaforte in vista della ripartizione degli utili. «È il capitalismo finanziario, bellezza!» potrebbero scrivere sui loro biglietti d’auguri per l’anno nuovo. Gli stati europei e la UE invece di prenderli a schiaffi cotesti banchieri e maghi della finanza, si mettono supini, servili fino a doversi vergognare di esserne cittadini. Allora perché lo spread tra i titoli italiani e quelli tedeschi non diminuisce, mentre i titoli spagnoli si stabilizzano attorno a quota spread 360 (trecentosessanta). Si ascoltano parole come “mancanza di credibilità” o “di fiducia”, ovvero l’interpretazione psicologica per i movimenti della finanza mondiale, come dire: i fremiti dell’anima in un branco di coccodrilli! Una ipotesi potrebbe essere che il governo Monti, a differenza di quel che molti pensavano, non sia l’espressione della finanza internazionale o di autentici poteri forti, ma piuttosto un piccolo comitato d’affari della piccola piccola borghesia nostrana; alla fin fine, nonostante la presenza di Passera, esimio banchiere, un gruppo di travet e mezzemaniche, seppure professorali. Inoltre mentre il governo spagnolo è espressione di una maggioranza che ha vinto da poco le elezioni, quindi con qualche garanzia di consenso e durata, il governo Monti è appeso al filo di Napolitano col voto parlamentare di una maggioranza tutt’altro che coesa, mentre l’intero sistema politico della cosidetta seconda Repubblica, a partire dal meccanismo elettorale, traballa sempre sull’orlo del collasso. Personalmente però non sono convinto che questa ipotesi sia la principale, al massimo un contorno. Mi pare ci siano gli indizi, i segni, di una guerra monetaria che ha individuato l’Italia come il Paese decisivo da indebolire, forse da demolire, in funzione dell’attacco all’euro. Se poi questa azione brutale che vede come protagonisti un intrico di interessi finanziari, specie USA e anglosassoni, nonché tedeschi coagulati attorno a alcune grandi banche, a hedge found, a grandi speculatori, ecc.., andrà fino in fondo arrivando alla rottura del sistema monetario europeo, oppure si contenterà di raggiungere una parità tra euro e dollaro, è difficile dire. Certo l’attacco è in corso, e l’Italia è un ghiotto boccone, mentre l’UE appare incerta, con la Germania che s’arricchisce sul debito degli altri stati, prima la Grecia, oggi l’Italia, domani chissà la Francia.
Torniamo all’inizio, alla manovra depressiva sostenuta dall’ideologia del rigore, del debito di cui saremmo tutti colpevoli, quindi sacrificabili, i sacrifici umani sull’altare del dio denaro. Esse, ideologia e manovra insieme, sono l’espressione di una lotta di classe feroce scatenata da padroni e finanzieri, che mira a impoverire la grande maggioranza dei cittadini e dei lavoratori, privandoli dei diritti sociali, usando il precariato, licenziando a man bassa come e quando conviene a lor signori, amputando i diritti sindacali e di rappresentanza, fino a produrre un mercato della forza lavoro del tutto sottomesso a qualunque sfruttamento, e ciascun lavoratore piegato a qualunque ricatto, in linea di principio il mercato dei piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna), e infatti nel primo semestre del 2011 in Germania l’immigrazione dalla Grecia è aumentata dell’84%,e quella dalla Spagna del 49%, nuova manodopera a basso prezzo e nulli diritti. Da questo punto di vista l’azione del governo Monti e il contratto imposto da Marchionne, che vorrebbe escludere la FIOM, e chiunque altro non sia d’accordo, dalle fabbriche, con la riduzione se non annichilazione del diritto di sciopero, eccetera si danno la mano, sono le due facce della stessa medaglia. Sul versante dei lavoratori e dei cittadini, il 99% di Occupy Wall Street, il percorso di contrasto e di costruzione di una alternativa è appena cominciato. «Se una cosa non è giusta, non è che si accetta a capo chino e basta. Ma si continua a lottare».
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