Giorgio Lunghini: Conflitto, crisi e incertezza
Nel suo ultimo saggio Conflitto crisi incertezza. La teoria economica dominante e le teorie alternative, Bollati Boringhieri,Torino 2012), Lunghini scrive che l’economia «è diventata davvero triste: non si occupa più dell’influenza della ricchezza sulla popolazione e la felicità». Al contrario, questi temi fondamentali costituivano l’oggetto dell’indagine economica nell’epoca in cui David Ricardo e Karl Marx mettevano a punto le loro analisi sulle leggi che regolavano la produzione della ricchezza e ne sottolineavano le implicazioni per la sua distribuzione sociale.
Per Lunghini sono classici quegli autori che promuovono e sviluppano una riflessione critica sulle grandi questioni dell’economia, senza fermarsi alla superficie dei suoi fenomeni e senza accreditare il carattere naturale del capitalismo e delle relazioni di mercato. Ecco perché inserisce nel filone delle alternative al pensiero dominante economisti del Novecento come John Maynard Keynes e Piero Sraffa. Lunghini riscatta soprattutto la teoria keynesiana, ponendone in evidenza le istanze più radicali e la visione, in grado di prefigurare un nuovo ordine della società, finalmente emancipato dall’assillo economico.
Giorgio Lunghini insegna Economia politica all’Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. È stato presidente della Società Italiana degli Economisti ed è socio nazionale dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Presso Bollati Boringhieri ha pubblicato Equilibrio (1993), L’età dello spreco. Disoccupazione e bisogni sociali (1995) e Sul capitalismo contemporaneo (con Michel Aglietta, 2001), e ha curato il Dizionario di economia politica (con la collaborazione di Mariano D’Antonio, 1982-90, 16 voll.)
2. Giuseppe Berta: Recensione al libro di Giorgio Lunghini, Conflltto crisi e incertezza
L’Espresso 31 agosto 2012
Secondo un noto aneddoto la regina Elisabetta, in visita nel 2009 alla London School of Economics, avrebbe candidamente chiesto come mai gli economisti non fossero stati capaci di prevedere la grande crisi economica che stava ormai imperversando. La domanda suona ingenua, ma via via che gli anni trascorrono e la crisi incancrenisce, sono sempre più numerosi coloro che si interrogano sui limiti della scienza economica. Perché la teoria non sembra essere stata di alcun aiuto a fronteggiare le conseguenze di una deriva economica e finanziaria fuori controllo? Giorgio Lunghini, un economista eterodosso che da anni concentra la sua appassionata attenzione sulla critica dei paradigmi dominanti, risponde indicando la ragione dell’insufficienza del pensiero economico contemporaneo nello specialismo matematico che da decenni lo pervade e nell’abbandono dell’approccio dei classici.
Nel suo ultimo saggio (“Conflitto crisi incertezza. La teoria economica dominante e le teorie alternative“, Bollati Boringhieri, pp. 132, euro 14,00), Lunghini scrive che l’economia «è diventata davvero triste: non si occupa più dell’influenza della ricchezza sulla popolazione e la felicità». Al contrario, questi temi fondamentali costituivano l’oggetto dell’indagine economica nell’epoca in cui David Ricardo e Karl Marx mettevano a punto le loro analisi sulle leggi che regolavano la produzione della ricchezza e ne sottolineavano le implicazioni per la sua distribuzione sociale.
Per Lunghini sono classici quegli autori che promuovono e sviluppano una riflessione critica sulle grandi questioni dell’economia, senza fermarsi alla superficie dei suoi fenomeni e senza accreditare il carattere naturale del capitalismo e delle relazioni di mercato. Ecco perché inserisce nel filone delle alternative al pensiero dominante economisti del Novecento come John Maynard Keynes e Piero Sraffa. Lunghini riscatta soprattutto la teoria keynesiana, ponendone in evidenza le istanze più radicali e la visione, in grado di prefigurare un nuovo ordine della società, finalmente emancipato dall’assillo economico.
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