Duccio Campagnoli: Una riforma per i diritti comuni del lavoro resiliente

| 14 Ottobre 2021 | Comments (0)

 

 

PER IL PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA SERVE UNA RIFORMA PER DIRITTI COMUNI DEL LAVORO RESILIENTE .

E’ certamente vero che dopo la lunga crisi precipitata in realtà dal 2008/2009, che ha interrotto le magnifiche sorti e progressive della globalizzazione e tutte le credenze connesse; e ora nella drammatica esperienza della Pandemia divenuta Sindemia, dunque crisi non solo sanitaria, e anch’essa globale, siamo entrati in un tempo nuovo; e che altrettanto vera è e deve essere la consapevolezza di dover costruire una nuova prospettiva, nella quale la politica, addirittura la geopolitica deve parlare sopra l’economia, deve saper vedere e indirizzare un cambiamento profondo. Qui si colloca allora la nuova e inusitata visione europea che si sente chiamata a costruire più autonomamente e in modo più integrato il suo futuro e da qui sono arrivati il grande Piano europeo di salvaguardia finanziaria e poi il “Next Generation UE”, la visione di un Nuovo Sviluppo da realizzare in comune tra e nei Paesi Membri e con la Transizione Digitale ed Ecologica . Commetterebbe serio errore chi considerasse questo nuovo Discorso europeo, troppo criticamente solo o soprattutto nuova retorica e della stessa ideologia economica precedente, liberal liberista, coperta da “salsa verde”; e non invece, almeno in parte, la percezione della effettiva necessità reale di una nuova visione. Piuttosto cruciale sarà una considerazione essa si rigorosa del se e del come questo possibile nuovo paradigma sarà svolto all’altezza adeguata, e innanzitutto come un processo che deve davvero innovare non solo un modello di sviluppo ma innanzitutto la società produttiva che dovrebbe realizzarlo. Così certo deve essere  questa la  sfida che è calata e si offre anche all’Italia, che vi arriva di nuovo con tutte le sue contraddizioni e fragilità, sociali culturali e politiche. E proprio qui da noi in Italia occorre veder bene che questa prospettiva di cambiamento va realizzata prima ancora che con i capitali con un cambiamento e una innovazione appunto della società produttiva. Poichè siamo ancora il paese; tra quelli europei più avanzati, con il tasso di attività più basso, con la scolarizzazione e l’impegno in ricerca avanzata più bassi, e pure invece con le disparità di genere e il ritmo di invecchiamento più alti. Per questo forse , nella sua visione, quell’alto rappresentante della classe dirigente europea che è certamente il Presidente Draghi, ha messo ora in campo a fianco del PNRR, l’ idea di un Patto sociale italiano, come forma politica e sociale necessaria a questa enorme e ineludibile sfida. Ma allora questo Patto deve significare Innovazione non solo economica, ma sociale coerente, anche quando deve essere radicale. E questa innovazione allora deve cominciare anche dal lato del Lavoro.

Altrettanto evidente deve essere, allora, che una giusta visione del Progetto-Piano Nazionale di Ripresa e Rilancio dovrebbe considerare, in un tempo che è e sarà ancora per non poco di incertezza anche nella “Sicurezza pubblica”, una Reimpostazione e Riorganizzazione delle attività rispetto a tutte le problematiche e necessità emerse, appunto, di una nuova “Resilienza” da costruire e assicurare nella produzione e quindi nella organizzazione del lavoro, come nel rapporto con i mercati, e nella stessa organizzazione sociale (salute pubblica, orari sociali, mobilità,etc,). Si tratta quindi di promuovere una Ri-Progettazione non solo delle imprese, ma anche di un Lavoro che deve divenire più pronto verso le necessità di rapido cambiamento organizzativo, che peraltro l’emergenza sanitaria ci ha solo anticipatamente e bruscamente mostrato. Si deve pensare dunque, come ormai tanti osservatori hanno affermato, per il Rilancio e la Resilienza anche ad un Lavoro più “Resiliente“; ma tale, allora, innanzitutto perché più Sicuro; più Sicuro perché più Tutelato e Formato; più Flessibile perché meno Precario. Così come si deve pensare ad una Società anch’essa più Resiliente e sicura perché piu’ coesa e inclusiva. Si ripropongono dunque, per un paradigma di rinnovamento e di Riforme legislative, in tutta la loro concretezza, e come Interesse generale, il Principio e il Fine scritti nella Costituzione di realizzazione di una Cittadinanza e di una Sicurezza Sociale basate anche sul Diritto ad un Lavoro, ad un Reddito e a una Condizione di Vita Dignitosa.

Non si può non osservare allora, qui sì criticamente, che nel gran dibattito sul Piano di Rilancio che il Paese attende non sembra, francamente, che si sia affermata ancora adeguatamente tale necessaria centralità del tema Lavoro: che avrebbe dovuto essere concretizzata con maggiore attenzione nella stesso PNRR, come Piano anche per l’Occupazione, e per un Lavoro certo da rilanciare anch’esso “nella Resilienza”, ma allora più Resiliente perché più sicuro, tutelato e qualificato. Dovrebbe comunque essere recuperata ora nella sua attuazione, e non solo negli strumenti già indicati ( Centri per l’impiego, formazione, priorità a giovani e donne ), ma innanzitutto nei concreti progetti di politica industriale ( Transizione digitale ed ecologica, riconversione di settori, sviluppo di filiere,) e di riorganizzazione dei grandi Servizi Pubblici ( Amministrazioni, Sanità ) da realizzare, certo non riducibili ad una gran batteria di bandi. A maggior ragione, quella che appunto è stata chiamata nei tanti anni già passati ad attenderla, “Riforma degli ammortizzatori sociali “ deve essere vista ora come una delle Riforme indispensabili e prioritarie connesse al PNRR, al pari di quelle già “ richieste “ e indicate, pure spesso francamente un po’ più eccentriche. Per tale Riforma allora si dovrebbero considerare non solo le tecnicalità da introdurre, ma innanzitutto le questioni nuove e strategiche sulle quali intervenire, per utilizzare appieno l’occasione irripetibile che si presenta di determinare un processo di vera riunificazione di diritti basilari comuni di tutte le parti del lavoro, (ora divise, come si è drammaticamente visto nell’emergenza, da tante diverse condizioni). Sarebbe giusto pure e innanzitutto pensare di cambiare persino la dizione, riduttiva, di “ Ammortizzatori Sociali “, che mantiene l’idea – d’altro tempo – di interventi di previdenza e assistenza “ ex post “ per accompagnare e attutire “ colpi” imprevisti e circoscritti di riduzioni d’attività per problemi di mercato e crisi d’azienda. Saremo di fronte invece, verosimilmente, non ad una prossima facile “Rinascita”, ma ad una condizione nella quale convivranno per lungo tempo crisi e rilancio, e soprattutto si svolgeranno a tutte le scale scelte e processi di Grandi Riconversioni e Riorganizzazioni, spinte ancor più dalle radicali innovazioni tecnologiche che caleranno e in modo ancor più accelerato, per rincorrere competitività e spazi di mercati più ristretti, nella manifattura come nei servizi, nella distribuzione commerciale e nella logistica. E’ questo, in tutta chiarezza, lo scenario concreto nel quale si inserisce la stessa visione europea di “ Next Generation “, che sarà dunque non un albero di cuccagna ma un grande e ben difficile banco di prova anche e soprattutto per l’Italia. Per questo del resto Draghi, lucidamente, mette l’accento sulle necessità di un “salto di produttività”.

Ma allora si dovrà affrontare non tanto il problema di “ non poter mantenere posti di lavoro in aziende decotte”- come recita di nuovo la vulgata padronale – ma soprattutto la necessità di governare processi di ristrutturazione, per aggiornamento all’innovazione. Si richiede quindi un Mix Inedito di interventi pubblici, con incentivi e sostegni finanziari per investimenti ma anche per nuova organizzazione del lavoro. E d’altra parte occorre assicurare finalmente una eguale tutela e protezione del lavoro nelle micro e piccole imprese e nei settori cresciuti tanto tumultuosamente quanto spesso precariamente ( turismo, commercio, logistica, intrattenimento, servizi alla persona ) che ora possono essere i principali ambiti, di un’onda lunga di ulteriore precarizzazione del lavoro, quello più debole e innanzitutto femminile. Occorre quindi una Riforma Generale, “Universalista”, per unire il Lavoro con Diritti Comuni; e qui di seguito proviamo allora a ripercorrere l’Agenda di tale Riforma, evidenziando le soluzioni innovative che sembrano indispensabili, non per disegnare una astratta Riforma Ideale, ma quella concretamente necessaria alla luce delle considerazioni sin qui svolte.

 

1. Non più “casse integrazioni”, ma gestione flessibile contrattata dell’orario di lavoro

La Riforma potrebbe e dovrebbe innanzitutto non solo estendere ma reimpostare le attuali attempate “Casse integrazioni”, con una visione che non può ignorare anche il tema generale della riorganizzazione degli orari di lavoro. Cosa del resto richiama se non questa riorganizzazione di tempi di lavoro anche il tema già tanto attuale dello smart working che va dunque ora anch’esso regolato e contrattualizzato nei tanti aspetti che assume e nei temi che solleva ? Si dovrebbero formulare quindi Nuovi Istituti definibili “ Contributi di integrazione salariale per la salvaguardia dell’occupazione “, ponendosi esplicitamente come alternativi, in prima istanza, alle riduzioni di organico con licenziamenti collettivi “in tronco”. E mettendo a terra così pure lo “spirito” della “Raccomandazione” all’evitare i licenziamenti a cui si è giunti, al momento dello sblocco, (incomprensibilmente lasciato correre in assenza ancora della pur tanto annunziata nuova “ Legge sugli ammortizzatori “) per moral suasion del Presidente Draghi; ma che, non potendo essere codificata solo dalle parole di buona volontà, dovrebbe piuttosto ora trovare prosieguo e concretizzazione nella Legge. Da un lato quindi si dovrebbe ridefinire un Istituto, al posto della attuale Cassa Integrazione “ Ordinaria” (con il quale INPS potrebbe pure erogare le integrazioni ai lavoratori direttamente attraverso le imprese eliminando così i pericoli di ritardi che tanto sono pesati e ancora pesano), di compensazione alle riduzione di salari e stipendi per temporanee riduzioni di orario, definite con accordi sindacali, derivanti da riduzioni parziali di attività per motivi oggettivi di mercato o di ristrutturazione e riorganizzazione. E, d’altro lato, un Istituto che sostenga, in casi di crisi d’impresa strutturali, ove inevitabili e necessari, percorsi di riconversione professionale o di ricollocazione dei lavoratori. Percorsi quindi effettivamente organizzati in collaborazione tra un’impresa che così corrisponda al dovere di una sua “Responsabilità sociale” e gli Enti pubblici preposti alle politiche attive del lavoro; e che dunque assicurino per un tempo congruo, sia il salario/stipendio con il contributo pubblico, sia l’impegno formativo, se davvero non si vuole più lasciare il lavoratore nella solitudine della improvvisa disoccupazione e nell’affanno della ricerca solo individuale o tra le carte di mille Enti, di altre effettive opportunità. Non si tratta di chimere: esiste già da tempo l’esempio del “ Kurz Arbeit “ tedesco, il “ lavoro breve”, cioè con orario ridotto, con salari e stipendi compensati dall’intervento pubblico, esplicitamente rivolto ad evitare riduzioni d’organico, consolidato durante il lockdown e che si può adottare in tutte le imprese anche piccole e piccolissime ; così come proprio sul modello tedesco di intervento nei processi di ristrutturazione d’azienda con interventi di formazione per l’ adeguamento professionale o per la riconversione e ricollocazione è stato pensato l’altro Fondo europeo “Sure”, che quindi l’Italia, che già ne sta usufruendo, non dovrebbe utilizzare solo per finanziare le attuali casse integrazioni. D’altra parte ci sembra, francamente, che solo per questa via si può rendere prioritaria e generalizzare la soluzione dei Contratti di solidarietà, già presente nella nostra normativa, e che già Cgil Cisl Uil chiedono di allargare; ma che, lasciata solo all’esito della Contrattazione, è rimasta, e resterebbe, se pure irrobustita con qualche incentivo in più, circoscritta ai casi delle aziende ove vi sono migliori possibilità e maggior forza sindacale.

 

2.Riforma della legge sui licenziamenti collettivi

Il ricorso a tali nuovi strumenti dovrebbe diventare obbligatorio come è del tutto sostenibile anche in punta di diritto: è stato già argomentato infatti da autorevoli giuslavoristi, ( tra gli altri il Prof. Alleva), che una finalità di “prevenzione delle riduzioni d’organico”, è in effetti presente e fondante nel principio giuridico che a suo tempo ha ispirato l’attuale intervento pubblico con le “ Casse Integrazioni”, ed è questo stesso principio che è stato attuato nell’emergenza laddove i Decreti del Governo Conte a ben leggere hanno definito non un “ blocco dei licenziamenti”, ma “un divieto di comminarli senza prima aver attivato l’utilizzo degli ammortizzatori sociali esistenti.. “ . Su questa via già aperta e attuata, dunque, potrà e dovrà essere riargomentata anche una riforma (pur essa da tempo richiesta ed attesa) della Legge 223/93, che disciplina ancora i licenziamenti collettivi, affermando che “ il datore di lavoro deve esperire l’uso degli istituti alternativi ai licenziamenti o dimostrarne l’inattuabilità”. Del resto proprio un obbligo di assicurare quantomeno una preventiva informazione con congruo anticipo, subito accompagnata da una congrua copertura di cassa integrazione prima dei licenziamenti verrebbe, a quanto si sente, immaginata a fronte dei recenti eclatanti casi di licenziamento per delocalizzazione d’azienda da parte di aziende multinazionali operanti in Italia;e allora appare assai più giusto razionale e sostenibile poter affrontare anche questi casi con una norma generale,risultando invece meno comprensibile ( e forse anche più sostenibile alla luce di norme a tutela di concorrenza e mercato internazionale aperto) una condizione speciale connessa alla “nazionalità”.

Questi nuovi istituti infine,naturalmente, debbono divenire veramente eguali per tutti i lavoratori, quindi assorbendo sia pure progressivamente anche i tanti “Fondi bilaterali” sin qui creati e cogestiti da Associazioni imprenditoriali e Organizzazioni sindacali, per erogare succedanei ridotti di cassa integrazione.

 

3.Riforma e generalizzazione della indennità di disoccupazione e armonizzazione con il reddito di cittadinanza

Altro punto qualificante della Riforma dovrebbe poi essere il far diventare compiutamente Istituto generale le attuali Indennità di Disoccupazione, ( Naspi e contigue ), quindi allargandole in forme congrue – piuttosto che introdurre altre diverse previdenze – alla integrazione di redditi parziali e insufficienti rispetto ad una soglia minima, del lavoro parasubordinato o del lavoro autonomo, cosi come del lavoro a tempo determinato; ed estenderla a disoccupati di più lungo termine e inoccupati in cerca di lavoro, proprio per contrastare il fenomeno, invece in questi mesi cresciuto, dell’abbandono delle “tabulae” dell’offerta di lavoro, e dell’inabissamento nel lavoro sommerso e irregolare, Cosi pure la soluzione che sembra più lineare ed appropriata per consolidare, riformandolo, lo stesso Reddito di Cittadinanza e per farlo meglio intendere come diritto giusto e comune, pure a tutti gli altri lavoratori è connetterlo a questa stessa Indennità di disoccupazione della quale del resto, a ben vedere, è già, in sostanza soltanto un ‘applicazione a lavoratori con contributi assicurativi insufficienti o già disoccupati o inoccupati. Infine si potrà cosi prevedere inoltre per tutti i percettori di essa, opportunità e obblighi anche condizionali di formazione, ben più efficaci di qualsivoglia altra attività ispettiva. Sarebbe un altro grave errrore sul piano della cultura del lavoro, invece far arretrare ora, il Reddito di cittadinanza, a causa degli insuccessi per l’ avviamento al lavoro, a Sussidio di povertà, perché si finirebbe così per rinunciare all’intervento in tutto il variegato mondo del lavoro semi o del tutto irregolare che invece il reddito di cittadinanza ha colto, e che dovrebbe essere rafforzato e qualificato per promuovere l’emersione la regolarizzazione e la possibile qualificazione. Un vero e più forte intervento sulle povertà invece dovrebbe da un lato ed innanzitutto essere affidato ai Comuni, per connetterlo alla gestione complessiva, tramite tutti i servizi necessari delle condizioni bisognose di cura effettiva per uscire dall’ emarginazione e dal degrado; e dall’altro, proprio in coerenza e nell’ambito di una visione di Riforme riunificanti tutti gli istituti di protezione sociale dalla disoccupazione, appare la opportunità di una conclusiva iniziativa legislativa che dia corpo, finalmente, al Principio Costituzionale del diritto “ all’”esistenza dignitosa” dell’Art.36, nella forma di un Minimo Vitale concretizzato in una soglia di Reddito Minimo, che possa essere assunto così come base di riferimento unificata delle diverse previdenze sociali, e della stessa soglia dell’incapienza fiscale, oggi ancora incomprensibilmente diversificate.

 

Duccio Campagnoli è stato  Segretario generale della Camera del Lavoro di Bologna e Assessore allo Sviluppo Economico della Regione Emilia Romagna.

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