I dati recenti del credito delle Monetary financial istitutions (MFI) europee al settore privato risultano in netta contrazione sia sul fronte delle società non finanziarie (non financial corporations )che sul fronte delle famiglie (households).
Tale flessione ha caratterizzato sia il 2011 nel suo complesso che i primi mesi del 2012 (v. tav. 3 sotto dati di fonte Monthly Bulletin di Aprile della BCE ).
Le ragioni di tale andamento, come osserva la BCE, possono essere ricondotte in primis a motivazioni congiunturali: l’intensificazione della crisi finanziaria nel corso del quarto trimestre del 2011 ha avuto un impatto sulla capacità di raccolta delle banche con un effetto di disordinato contenimento della leva finanziaria ( “deleveraging”) e quindi sulla capacità delle stesse di sostenere l’economia reale.
Come si nota in tav.3 si è registrata una stretta sia sul credito a medio termine che su quello al consumo sulla quale hanno pesato oltre alla restrizione prudenziale degli standards di credito anche i cambiamenti relativi agli indici di patrimonializzazione imposti alle banche dal nuovo normativa di Basilea III.
Non secondaria la contrazione sul fronte della domanda di credito a seguito del generalizzato appesantimento della condizione finanziaria di imprese e famiglie a livello europeo.
Il grafico (Chart B sempre di fonte Monthly Bulletin di Aprile della BCE) evidenzia il rapporto tra credito e Pil nominale nell’ultimo decennio, in forte ascesa sia per le imprese che le famiglie fino al 2009, successivamente in flessione per le imprese e in stabilizzazione per le famiglie.
Indubbiamente le banche europee hanno nella generalità dei casi messo in atto una strategia conservativa di intermediazione creditizia in una fase di ciclo economico recessivo.
Tale fenomeno ha riguardato la maggioranza dei paesi europei ma è divenuto particolarmente pericoloso sul piano economico per quei paesi (come l’Italia) che presentano un tessuto produttivo di piccole e medie imprese la cui necessità di credito è fortemente condizionata dalla fase recessiva e che hanno scarse alternative di finanziamento. Infatti le imprese di maggiori dimensioni hanno pur sempre un ricorso diretto al mercato finanziario, ad esempio tramite l’emissione di prestiti obbligazionari .
Tale scenario impone una riflessione circa il ruolo delle banche nell’economia, specie in presenza di una fase ciclica recessiva.
Troppo spesso gli istituti di credito svolgono una funzione pro-ciclica abbondando nei finanziamenti quando i settori economici (imprese e famiglie) sono liquidi e invece adottando comportamenti fortemente cautelativi quando le condizioni del mercato si fanno più difficili e gli operatori hanno maggior bisogno di sostegno finanziario.
Come noto i grandi gruppi finanziari obbediscono principalmente ai dettami imposti dal mercato per cui la funzione istituzionale di volano dell’economia – canalizzare denaro dai settori economici in surplus a quelli in deficit di liquidità – è spesso soppiantata dalla operatività di pura finanza, dove il rapporto rendimento /rischio risulta più elevato e ciò aggrada gli azionisti.
Viene da chiedersi se non siamo in presenza di un effetto spiazzamento (crowding out effect) da parte delle maggiori istituzioni finanziarie e cosa si può fare per rimediare a tale pericolosa involuzione .
Tale effetto è generalmente conosciuto come una riduzione nei consumi e investimenti privati a causa di un aumento della spesa pubblica. In pratica lo stato con la sua attività nell’economia porta fuori mercato gli altri operatori privati.
Ma oggi tale concetto a mio avviso è estendibile anche ai gruppi finanziari che sono divenuti troppo grandi non solo per poter essere lasciati fallire (“too big to be let fail”) ma anche per poter agire senza controllo alcuno. Tali organismi hanno assunto una fisonomia “semipubblica” pur essendo di natura nettamente privatistica. In altri termini quando un player di vaste dimensioni come una banca si posiziona sul mercato e si aggiudica la disponibilità di un fattore produttivo scarso (nella fattispecie capitale finanziario) gli altri operatori che necessitano di tale fattore per la produzione subiscono un effetto spiazzamento più o meno importante. Questa perdita di accesso “avviene a margine” rendendo il fattore produttivo (denaro) più caro di quanto sia giustificato dalle condizioni di efficienza e potenzialità economica del grosso player.
I rischi di tenuta del sistema economico e finanziario europeo impongono pertanto un nuovo orientamento da parte degli operatori creditizi e di chi svolge la funzione di regolamentazione e di controllo.
La normativa sul grado di patrimonializzazione delle banche (sancita dalle varie Basilea II e III) ha il pregio di voler garantire una maggiore stabilità dei sistemi finanziari. Ma oggi occorre uno sforzo ulteriore per evitare che tale ricerca di stabilità patrimoniale in ultima analisi ingessi il sistema economico e diventi un alibi per le banche per non rischiare sul fronte del credito.
Non credo che la soluzione possa essere quella della nazionalizzazione delle banche certo è che la sostenibilità dell’economia finanziaria dipende dalla solidità dell’economia reale e le banche devono tornare a svolgere la funzione per la quale sono nate.
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