Bruno Giorgini: Disperazione sociale. Biopotere. Coronavirus
Aristotele consigliava gli umani di vivere come se fossero immortali, onde non essere afflitti dal pensiero della morte. L’avvento di una epidemia, dalla violentissima peste che fa strage alla molto più leggera influenza da coronavirus oggi in atto, provoca l’impossibilità di aderire alla raccomandazione aristotelica perchè ci fa toccare con mano la nostra finitudine, nonchè fragilità.
La società italiana è disperata. A brandelli. Ogni persona sperimenta e misura ogni giorno la propria inutilità sociale. Mentre i cosidetti corpi intermedi, dalle bocciofile ai sindacati, appaiono svuotati di ogni potere, al meglio riducendosi a pure propaggini della macchina algoritmica globale. La società diventa disumana, qualcuno vorrebbe: transumana, e l’individuo si riduce a mero produttore di (plus)valore, sia egli un lavoratore, un precario, un disoccupato, o niente del tutto, un perdigiorno, ognuno ricettacolo di solitudine e alienazione.
Marx sottolineava che la nuda vita non ha valore, intendendo che, non producendo, non entra nel mercato, non diventa merce, a differenza della forza lavoro, produttiva per eccellenza. Oggi invece la nuda vita entra nel mercato del capitale assumendo un valore di scambio. Tanto è vero che a livello fenomenologico la sanità è uno degli affari più lucrativi e dei mercati più ambiti con un altissimo saggio di profitto. Non a caso tutti i tentativi di mettere in campo un servizio sanitario pubblico negli USA si sono sempre infranti contro l’azione e lo strapotere delle grandi multinazionali della salute. Da cui, en passant, anche da noi la pressione per privatizzare la sanità, riducendo tra l’altro sempre più i finanziamenti pubblici (negli ultimi anni questo ha significato una riduzione dei letti ospedalieri di 70.000 unità), nonchè con campagne di stampa e propaganda degne dell’ufficio di disinformazione ai tempi del regime totalitario sovietico.
Ma torniamo all’alienazione. Al tempo suo Marx ne classifica quattro.
L’alienazione dell’operaio rispetto al suo prodotto, l’alienazione rispetto alla macchina, l’alienazione rispetto al suo compagno di lavoro, infine l’alienazione rispetto a se stesso. Quando lavora.
Al di fuori del processo produttivo, l’operaio riacquista una certa autonomia di pensiero, di uso del tempo, di azione e di movimento. Si chiama: il tempo libero e/o liberato dalla schiavitù della lavoro salariato. In questo tempo nasce e si organizza la politica degli sfruttati, e la lotta per il comunismo altro non è che la lotta per abolire l’alienazione in tutti i suoi aspetti. Il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente.
Il capitalismo però è organico, ovvero tende a occupare tutti gli spazi, non solo nella fabbrica ma in tuttà la società. E’ una intuizione geniale per cui l’alienazione diventa sociale, un fenomeno autonomo dal processo di produzione delle merci, strictu senso. Per fermarci all’Italia, nascono i film sul’alienazione il cui maestro è Michelangelo Antonioni, e la nuova fase viene definita “neocapitalismo”. Oggi siamo più in là. Il liberismo non solo tende a sussumere ogni atto e gesto congruente con l’accumulazione di capitale, ma anche ogni corpo. E la natura intera. Dalle foreste amazzoniche al mare del Nord, dal deserto del Sahara alla Groenlandia. Ogni volta creando sconquassi e frantumazioni degli ecosistemi, da cui insorgono i virus a miliardi, nonchè i batteri. Che vanno alla conquista del mondo. Così, in nome del pofitto, due crisi planetarie, quella sanitaria e quella ecologica, convergono.
Il coronavirus e il cambiamento climatico si alimentano e sostengono a vicenda. Generando insicurezza e paura. Tutti possiamo essere infettati, tutti possiamo trovarci nel mezzo di un evento meteorologico estremo. Sul versante epidemico l’azione dei governi organizza la disciplina dei corpi sottomessi alla quarantena e all’isolamento. Dobbiamo stare lontani l’uno dall’altro, per l’attuale coronavirus almeno un paio di metri, e in isolamento per almeno due settimane, è una necessità oggettiva per la nostra e altrui salute dettata dalla scienza. Si tratta di misure di salute individuale e pubblica. Chi mai può opporsi al comandamento supremo anche delle mamme: prima viene la salute! Oppure in termini più colti: primum vivere, deinde philosophare. Così tuonano dai più diversi media gli imbonitori pubblici e privati.
Questa è la vulgata dell’intero popolo dei sudditi, sottomessi al potere in parte misterioso, dei coronavirus. In nome della scienza medico biologica è lecito, anzi doveroso, limitare le libertà di movimento, o qualunque altra sia d’intralcio all’ordinato svolgersi delle operazioni di salure pubblica, e individuale. Inibendo così la libertà e il pensiero critico, perchè che critica può esserci di fronte alla potenza della necessità scientifica, postulata sempre oggettiva e quindi vera. Siamo nel campo del biopotere, il più forte dei poteri perchè si pone e propone come paradigma della salute e della salvezza, algoritmo supremo del ben – essere. Che poi muoiano i vecchi è un corollario necessario di eugenetica, così ci liberiamo dei parassiti. Persino nelle cronache dei TG Rai gli “anziani” vengono evocati come la carne da cannone da sacrificare in questa guerra tra il virus e il sapiens.
Ma la scienza è animata dal dubito ergo sum. Non detta, tantomeno ordina o comanda un bel nulla. Le sue verità sono sempre parziali e rivedibili, quasi sempre probabilistiche, la scienza delle epidemie in modo sommo, perchè si applica a due entità, i virus e/o batteri, e gli umani, entrambe spesso imprevedibili (quasi sempre).
Le limitazioni e i divieti li impongono i governi, ovvero la politica, che altro non è se non scienza del potere, politica di cui anche le scienze della natura sono permeate.
La libertà è una qualità dello star bene al mondo. Una vita senza libertà è povera e triste, desertica. Basti pensare sull’estremo fino al Kampo, di concentramento, di lavoro, il Gulag e si arriva presto all’interrogazione di Primo Levi, se questo è un uomo.
Nel contempo è pur vero che una strategia di contenimento nella diffusione del virus va pensata e attuata, onde impedire il collasso delle strutture sanitarie sotto il peso di una folla di persone contagiate che s’accalca negli ospedali, dai pronto soccorso ai reparti di terapia intensiva. Un virus molto infettivo e poco letale (salvo i soliti anziani di cui sopra).
A questo proposito mi chiedo come mai nel profluvio di informazioni e propaganda sul covid-19 non compaiano mai quelle riferite alle possibili terapie. Eppure esistono farmaci, come la clorochina – e il remdesivir – efficaci come cura della malattia, e di facile reperimento. La notizia sulla clorochina è stata data da Giorgio Parisi, accademico dei Lincei e fisico teorico insigne, che l’ha avuta dal suo amico Enrico Bucci biologo che lavora alla Temple University di Philadelphia. Nessuno l’ha ripresa ma neppure smentita e/o falsificata. Mentre il remdesivir è il farmaco utilizzato per la guarigione dei due pazienti cinesi e di un giovane italiano, tutti e tre infetti dal covid-19, allo Spallanzani di Roma. Non sono nominate queste medicine forse perchè nell’epidemia il singolo paziente scompare, viene annichilito dall’ideologia epidemiologica che tutto configura come numeri globali, quanti infetti, quanti quiescenti, quanti contaminabili. Il biopotere o è globale e totalitario, o non è. La cura del singolo malato inceppa questo meccanismo perverso e rimette l’essere umano al centro, relegando ai margini la numerica dei contagi e via dicendo.
Infine l’antico sapiente ci ricorda che biòs in greco antico significa arco, e dell’arco invero il nome è la vita, l’opera la morte.
Category: Ambiente, Culture e Religioni, Economia, Ricerca e Innovazione