Relazione di apertura del Comitato di Bologna al convegno “Vite, lavoro, non lavoro di Bologna”

| 14 Aprile 2012 | Comments (1)

Benvenute e benvenuti.

Grazie per aver deciso di essere con noi oggi.

Desideriamo aprire i lavori con alcune riflessioni, frutto del confronto e dell’elaborazione del Comitato Se non ora quando? di Bologna.

Nel luglio 2011, dopo la storica manifestazione del 13 febbraio, ci siamo ritrovate a Siena per dare inizio all’elaborazione di un’agenda politica nazionale di donne.

In quella sede, il comitato di Bologna si è candidato per organizzare e ospitare un incontro a carattere nazionale sul tema del lavoro e non lavoro delle donne. La proposta è stata formulata soprattutto su iniziativa delle più giovani – fra le più esposte alle gravi conseguenze della crisi economica – e per le quali il lavoro appare oggi più che mai un “diritto negato”.

Allora, era difficile immaginare il contesto, i cambiamenti, le emergenze con cui oggi ci troviamo a dover fare i conti. Ma forse, proprio la difficile situazione che stiamo vivendo, rende questo nostro incontro ancora più importante e ricco di significato. Nel momento in cui il governo Monti sta mettendo a punto una nuova riforma del mercato del lavoro è fondamentale che la nostra voce di donne sia presente e forte, che i problemi e le possibili soluzioni da noi avanzate siano presi in esame. Abbiamo le competenze, la forza e la determinazione di incidere nelle scelte che riguardano la nostra vita.

Abbiamo deciso di intitolare questo appuntamento: “Vite, lavoro, non lavoro delle donne”.

La tensione tra vita e lavoro è nota alle donne. Ogni generazione sembra dovervi fare i conti in modi differenti. A partire dalle generazioni che hanno investito sul lavoro salariato e preteso servizi sociali per emanciparsi dal chiuso delle famiglie, pur erogando una massa invisibile di lavoro domestico e di cura. Passando alle generazioni dei femminismi che hanno messo al cuore della riflessione la tensione tra lavoro domestico non retribuito e lavoro conquistato fuori casa, cogliendo il nesso strutturale tra produzione e riproduzione, e la centralità del lavoro non pagato femminile nel sistema economico e nell’organizzazione del lavoro. Per venire, infine, alle generazioni che hanno imparato a riconoscere il proprio duplice desiderio di realizzazione nel lavoro e nella vita affettiva, si tratti o non si tratti di maternità, ma che si trovano davanti nuovi scenari dell’organizzazione e della concezione stessa del lavoro.

Oggi ci ritroviamo a Bologna a poco più di  un anno di distanza dalla manifestazione del 13 febbraio, non per festeggiare, non per protestare, ma per confrontarci e dialogare tra noi, donne diverse. Vogliamo  avanzare insieme a tutte voi delle proposte su un tema  sempre più cruciale per noi donne e strettamente connesso alla nostra dimensione politica ed esistenziale: il lavoro, vera e propria emergenza nazionale per le donne.

Ci troviamo a Bologna, città con il più alto tasso di partecipazione economica delle donne, in uno dei paesi europei a più bassa occupazione femminile. Ma qui, come in ogni altro contesto, la crisi mostra il suo volto  nell’impoverimento dei redditi e delle opportunità e, infine, nell’impossibilità di determinare il proprio progetto di vita.

La cruda fotografia scattata dall’ISTAT nel 2011 ci ricorda che:

Il nostro è un Paese in cui fra il 2008 e il 2009, circa 800.000 donne hanno dichiarato di essere state licenziate o messe in condizione di doversi dimettere nel corso della loro vita professionale, in seguito alla nascita di un figlio.

Il nostro è un Paese dove 7 milioni di donne non hanno un lavoro retribuito. Il tasso di occupazione femminile è appena il 46%, contro una media europea del 58%. Con ben 12 punti di scarto, l’Italia occupa  il penultimo posto nell’Europa a 27.

Il nostro è un Paese dove le donne sono più precarie degli uomini: il 14,3% delle lavoratrici ha un contratto atipico contro il 9,3% dei colleghi uomini.

Il nostro è un Paese dove le donne sono più disoccupate degli uomini, a anche dove una donna su quattro tra i 15 e i 29 anni è inattiva. Questo significa che non solo non ha un lavoro retribuito, ma che neppure più lo cerca, né sta studiando o seguendo percorsi di formazione. Queste giovani donne hanno semplicemente rinunciato, in molti casi esasperate dalle difficoltà: questo fenomeno è ancora più grave al Sud.

Ciò che noi sperimentiamo tutti i giorni è che il nostro è:

un Paese in cui nella maggior parte delle case e delle famiglie le donne sono ancora le uniche interpreti del lavoro di cura, con margini di tempo per loro stesse estremamente ristretti, e con minori possibilità di crescita professionale e di carriera. La cura è il sostegno a una vita buona. L’attività che include ciò che  facciamo per conservare, continuare e riparare il nostro “mondo”, vale a dire i nostri corpi, noi stesse e il nostro ambiente per poterci vivere nel modo migliore possibile. Possiamo riconoscere non solo che molte donne mostrano l’attenzione, la responsabilità, le competenza che la cura richiede, ma che la cura in quanto opzione e scelta può offrire un terreno importante per prefigurare un lavoro al servizio della vita, in luogo di un lavoro che esaurisce la vita. A ciò consegue  una visione più complessa del “lavoro”, capace di integrare in una vera conciliazione sistemi differenti: famiglie, imprese e politiche del governo centrale e locale.

Un Paese in cui le donne non hanno mai potuto contare su una rete  sufficiente di protezione del welfare state, in termini di sostegno reale nella complicata gestione del lavoro di cura e della vita professionale. La drammaticità e la pervasività della crisi, a cui si è risposto con maggiori tagli, ha acuito ancor più queste difficoltà, portando all’esplosione di contraddizioni sopite ed arretramenti nei diritti e nelle opportunità.

Un Paese in cui le donne, oggi, sono spinte da politiche sociali conservatrici a rinunciare al proprio lavoro per tornare al loro ruolo domestico. Le basse retribuzioni delle donne rappresentano – o vengono ritenute – meri contributi residuali al bilancio familiare. Spesso conviene farne a meno. La rinuncia delle donne al lavoro retribuito rappresenta paradossalmente un risparmio per le fragili finanze familiari. E’ questo che avviene quando i nidi per l’infanzia e le scuole materne non garantiscono sufficienti posti per tutti i bambini e tutte le bambine, ugualmente le case protette per le anziane e gli anziani, disabili o persone non autosufficienti. Le famiglie sono nell’impossibilità di garantire la cura dei propri congiunti e di fare fronte agli esorbitanti costi di asili nido privati e baby-sitter, badanti e sostegni di varia natura. Di fatto sempre più donne sopperiscono alle strutturali carenze del nostro welfare, ormai ridotto all’osso.

Un Paese in cui a parità di condizioni, le donne sono più precarie, meno pagate e inquadrate per lo più a livelli inferiori rispetto ai loro colleghi uomini. La precarietà a cui le donne sono sottoposte non è solo una condizione contrattuale, ma una vera e propria condizione esistenziale in cui viene meno la possibilità stessa di disegnare il proprio futuro: costruire una professionalità, avviare un percorso lavorativo e al contempo avere una propria indipendenza economica, una propria casa in cui abitare…essere messe in condizione di poter realizzare un progetto di vita.

Un Paese in cui le donne dichiarano, in media, che darebbero volentieri alla luce almeno due figli. Peccato che in media, a mala pena, riescono a farne uno, perché non c’è un reale investimento da parte dello Stato sulla maternità come valore sociale e per la collettività. Oggi, la stessa possibilità delle donne di scegliere liberamente e consapevolmente la maternità è messa in discussione dalle condizioni economico-sociali che le donne sperimentano quotidianamente.

Un Paese in cui le donne migranti sperimentano le condizioni peggiori e i ricatti più infami del mercato del lavoro. Le cui figlie e i cui figli nati e cresciuti in Italia, non hanno diritto alla cittadinanza. Giovani italiane e giovani italiani in terra straniera.

Un Paese in cui le collaboratrici domestiche sono più di un milione. Sono solo 700.000, però, i datori di lavoro che hanno regolarizzato le posizioni di queste donne, per la stragrande maggioranza straniere e in buona misura giovani e con un elevato livello di istruzione. Molte lavorano, quindi, in condizioni non pienamente legali o in nero. La crisi economica le ha definitivamente condannate a svolgere attività non qualificate con orari di lavoro massacranti e redditi da fame.

Le donne in questo Paese non sono solo soffocate da una drammatica emergenza sociale. Sono oggetto di una vera e propria emergenza antropologica: ciò che viene a mancare è l’autodeterminazione delle donne nelle diverse sfere della vita. Il lavoro o la sua assenza nella nostra società sembrano costituire, ancor più per le donne che per gli uomini, il discrimine tra una vita libera e dignitosa e una vita di povertà, emarginazione e subordinazione.

Impossibile negarlo: il momento storico e politico è molto complicato perché i ritardi della società italiana si intrecciano con le dinamiche internazionali del liberismo finanziario e della globalizzazione. Le ricette indicate per la cura, sono molto amare. Tuttavia, non possiamo ignorare una realtà che ci riguarda direttamente. Il rischio politico in questa situazione è quello di chiedere lavoro senza porci le domande più strategiche: quale lavoro? A quali condizioni?

Dalle analisi della crisi attuale emergono specificità di genere che è bene rammentare. Le politiche restrittive colpiscono tutti, ma in maniera particolare le donne che partono da condizioni svantaggiate. Precarietà, insufficienza dei servizi di welfare essenziali, dimissioni in bianco, mancata tutela della maternità, assenza di politiche adeguate sulla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, e ancor prima l’assenza di una radicata cultura e pratica di condivisone dei compiti domestici e di cura con i propri compagni, la mancanza di congedi di paternità retribuiti, la liberalizzazione degli orari di apertura delle attività commerciali, da sempre grande bacino dell’occupazione femminile: questi sono solo alcuni dei temi che si pongono con drammatica urgenza alla nostra attenzione. Per questo crediamo che per invertire il ciclo della crisi la ricetta giusta sia quella di  tornare a creare lavoro, a ri-dare senso, remunerazione e dignità al lavoro; creare  nuovo lavoro per dare una prospettiva alle donne e al Paese stesso.

In questo contesto, abbiamo pensato che fosse utile ragionare insieme, intorno ad alcuni temi oggi in discussione per offrire delle chiavi di lettura ed individuare  le questioni più dirimenti. I temi da noi individuati sono: la crisi, il lavoro e non lavoro delle donne, il precariato, le discriminazioni e il welfare.

Intorno a questi temi si articoleranno le relazioni che seguiranno questo intervento. Studiose (economiste, sociologhe, giuriste, giornaliste) che si occupano di lavoro femminile e donne che nel loro lavoro di sindacaliste e consigliere di parità affrontano quotidianamente i problemi del lavoro femminile, ci aiuteranno a mettere a fuoco la situazione. A loro è affidato il compito di offrirci un’istantanea e un’analisi del contesto socio-economico e politico, ma anche di mettere a nostra disposizione una mappatura ragionata per ogni tema delle proposte in campo e fornirci esempi di modelli e pratiche positive attuate e in fase di sperimentazione.

Desideriamo che questo incontro rappresenti un momento di discussione, di riflessione e di elaborazione comune, in cui tutte possano essere protagoniste. L’azione partecipata permetterà a tutte di poter condividere il proprio punto di vista, le proprie esigenze e le proprie competenze. Non desideriamo, infatti, che le voci delle donne vengano rappresentate da poche. Per questa ragione – a partire dal primo pomeriggio -ci divideremo in gruppi di discussione ricalcando la struttura dei cinque temi che vi abbiamo presentato.

Al termine del pomeriggio, tireremo le fila all’interno dei gruppi tematici. I risultati saranno presentati in assemblea plenaria, domenica mattina. Questo patrimonio di idee e proposte desideriamo che rappresenti un utile apporto nella discussione fra i nodi territoriali, in vista della costruzione dell’agenda politica nazionale di donne. Per nuove forme di elaborazione ci daremo appuntamento al futuro tavolo creativo.

Vorremmo anche ricordarvi l’appuntamento di questa sera, presso il Centro di Documentazione delle donne di via del Piombo, alle ore 21.00, quando andrà in scena E sei anche fortunata, azione di resistenza artistica a cura di RosaRosae, per la regia di Donatella Allegro. Precariato, umiliazioni, sfruttamento, mancanza di riconoscimenti, ma anche passione, determinazione e consapevolezza. Vi racconteremo il mondo del lavoro attraverso gli occhi delle più giovani.

Confidiamo che questa occasione di incontro possa essere un momento di elaborazione concreta per: disegnare insieme delle politiche, elaborare delle risposte di uscita dalla crisi che siano a misura di donna: che rispettino e tengano conto delle esigenze e dei diritti delle donne; che valorizzino l’apporto positivo delle donne all’economia, che aprano a modelli di sviluppo alternativi proprio a partire da noi, dalle donne.

Grazie a tutte.

Il documento è stato redatto da Eloisa Betti, Federica Mazzoni e Maddalena Vianello con il contributo di Lorenza Maluccelli, Paola Bottoni, Raffaella Lamberti, Giorgia Campana, Milena Schiavina, Annamaria Tgaliavini, Katia Graziosi, Anna Salfi e di tante altre che hanno partecipato alla discussione.

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Category: Vite, lavoro, non lavoro delle donne

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