Sergio Lo Giudice, Otello Ciavatti: Bartleby su L’Unità
13 Su l’Unità del 3 febbraio 2013 sono stati pubblicati due interventi sulle vicende bolognesi del circolo Bartleby che ripubblichiamo
Sergio Lo Giudice: Bartleby, meriti e regole democratiche
Da molti anni Bologna ha in campo politiche virtuose nella relazione tra realtà giovanili autogestite e amministrazione: un rapporto basato sul riconoscimento del valore di esperienze nate in modo spontaneo e sull’accettazione, da parte di queste realtà di un cambio di passo nel rapporto con le istituzioni per consolidare un’esperienza e farla durare. Così si sono strutturate nel tempo realtà come il Covo, il Link, il Tpo.
Bartleby rappresenta un’esperienza culturale e sociale interessante che meriterebbe di proseguire, ma sarebbe utile che si abbandonassero i toni guerreschi. Non si tratta di inoltrarsi in una casistica gesuitica sulle applicazioni del principio di legalità: se lo si fa, si tenga conto che siamo in stato di pace e in regime di democrazia. In una comunità che si fa carico, al di là dei metodi acquisiti, delle regole comuni, del rispetto degli interlocutori e della complessità delle questioni e delle loro soluzioni.
La pratica dei bandi per l’assegnazione degli spazi non è scolpita nella pietra come una legge universale e necessaria: serva a garantire il massimo di imparzialità e trasparenza nell’assegnazione di beni pubblici e può essere affiancata dall’assunzione di responsabilità da parte dell’amministrazione su un progetto culturale e sociale considerato prioritario. Ma questo non autorizza a darsi una patente di priorità per imporre il proprio progetto ad uno spazio destinato a servizi sociali ed educativi in attesa di partire.
Il dialogo con le istituzioni va costruito don la fierezza della propria storia ma anche con l’umiltà del confronto. Le parole e i gesti aggressivi rivolte al Rettore Dionigi hanno rappresentato un’offesa alla città. Parlare del sindaco di Bologna come di uno stalinista che vuole imporre la cultura dall’alto fa sorridere.
Le politiche culturali della giunta vanno in tutt’altra direzione e il contributo di tante associazioni alla definizione della scena culturale cittadina, col sostegno di spazi e contributi del Comune è innegabile. Alla proposta di una sede nella zona Roveri (uno spazio grande, già ristrutturato e pronto per l’uso, pensato come una casa comune di più associazioni per rivitalizzare la zona) si è reagito con eccessiva leggerezza.
Le periferie bolognesi non sono un ghetto in cui mandare chi deve stare ben lontano ma aree della città in cui questa questa amministrazione vuole costituire nuove centralità urbane.
Se Bartleby fiuta strumentalizzazioni elettorali fa bene a rifiutarle. Non sono i propri voti che il collettivo deve mettere sul piatto, ma un progetto culturale su cui cercare senza arroganza una condivisione delle istituzioni della città.Si potrebbe archiviare la questione come un’occasione fallità di dialogo ma preferirei di no.
(Sergio lo Giudice è candidato del PD al Senato).
Otello Ciavatti: Bartleby, la cultura che nasce dal basso
Il collettivo Bartleby ha realizzato un progetto culturale autogestito complesso e nuovo facendo convivere musica classica, letteratura, Jazz, corsi sul femminismo, colonialismo, storiografia e filosofia. Ha costruito un’emeroteca, dalla prima idea di “common library” nata in Via Capo di Lucca, al festival dedicato alle riviste indipendenti italiane e infine alla cura di parte del fondo delle riviste raccolte da Roberto Roversi e donate a Bartleby oramai nella sede di Via San Petronio vecchio concessa dall’Università. Sono partiti dal basso, si sono posti come alterità costruendo una nuova identità che saldava internet con Bach. In SanPetronio Vecchio ha potuto esprimersi l’ensemble Concordanze (giovani del Teatro comunale e conservatorio) che ha eseguito la Quarta di Mahler diretta da Mariotti, i brani di Shoenberg e Mozart, i lieder tedeschi. Lì sono passati i ragazzi dell’Accademia di Belle arti, scrittori come Wu Ming, Ermanno Cavazzoni, Carlo Lucarelli, Erri de Luca, Gianni Celati, Pino Cacucci, Giorgio Caproni, attori come Valerio Mastandrea. Questa è la sostanza di cui la città doveva prendere atto.
Tanti anni fa c’erano le occupazioni, i controcorsi, le manifestazioni contro la guerra del Vietnam, gli incontri con i grandi intellettuali, Pasolini, Scalia, Sartre, Melandri, Anceschi, Eco, rappresentanti dell’Sds o del Black power. Che scandalo, ma nacque una generazione del pensiero critico! Quando studenti, operai, cittadini organizzano cultura e concepiscono la politica scevra da obiettivi di immediato tornaconto, il pensiero torna vivo, una visione critica del mondo rifiorisce, con nuovi protagonisti, e nuovi linguaggi anche se non sempre accettati o accettabili. Il nome Bartleby, rinvia al Melville più metafisico ed è la forma giusta di rappresentazione di quel messaggio culturale.
Dispiace che tutto ciò sia passato in secondo piano e si sia creata una frattura che tuttavia è possibile ricomporre. C’è il problema degli spazi per le comunità che esprimono progetti culturali. Un tempo erano le botteghe di transizione. Meno pub e più atelier, meno consumismo (Pasolini) e più cura del cittadino (Socrate). Lo spazio inizialmente concesso doveva essere sostituito, tenendo conto dell’evoluzione, positiva e innovativa del collettivo, a seguito di una discussione e una condivisione.
Agire in periferia può avere un grande valore, ma serve un progetto e la costruzione delle condizioni perché sia credibile tenendo conto che le facoltà sono in centro, gli autobus non sempre arrivano, non si conosce la composizione sociale del territorio. Non sarebbe facile per nessuno, ma tutto si può fare se preparato con cura.
La rottura ha arroventato il clima facendo lievitare comportamenti esasperati e dannosi. La necessità di una scorta per il rettore rappresenta una sconfitta e un danno per tutti. Credo e spero che non vi sia alcuna vocazione violenta in Bartleby e che il linguaggio sia quello dada della provocazione e null’altro, ma ora è necessario fermarsi, riaprire un confronto perché il bello che è stato costruito non si disperda.
(Otello Ciavatti fa parte del Comitato Piazza Verdi, associazione attiva nella zona universitaria con attività culturali e proposte civiche)
Category: Bartleby a Bologna