“Se non ora quando”: il cambiamento nasce dalle donne

| 1 Agosto 2011 | Comments (0)

Il movimento  “Se non ora quando” rappresenta l’espressione di una stagione rinnovata di partecipazione e dialettica tra cittadini e politica, ma soprattutto l’emergere del bisogno di discutere nuovamente sulla condizione femminile, uscire dagli stereotipi per constatare il reale stato delle cose e riflettere sulla necessità di compiere ancora azioni politiche per arrivare a una reale equità di rappresentanza di genere.

Il 9 e il 10 luglio a Siena “Se non ora quando” ha aperto i suoi stati generali, cogliendo l’occasione per ragionare sulle possibilità di far rivivere un movimento politico che metta in discussione i rapporti di potere tra i sessi.

A Siena si è parlato molto di rappresentanza politica, denunciando apertamente la subordinazione del femminile e la persistenza di una scarsa rappresentanza femminile nei luoghi di potere, ma si è discusso anche di lavoro delle donne, precario e a continuo rischio di licenziamento per causa legate alla maternità, delle conseguenze della crisi economica globale sull’occupazione femminile e della necessità  di pensare  nuovi modelli di sostenibilità in relazione alla conciliazione tra famiglia e lavoro.

L’idea è di impegnarsi tutte su un progetto comune per un nuovo modello di politica e di lavoro, organizzati secondo principi di identità e rappresentanza del femminile.

Lo strumento è una rete territoriale che metta a sistema le oltre 200 piazze di “Se non ora quando” coinvolte nella manifestazione del 13 febbraio. L’orizzonte che abbiamo prospettato insieme sarà un complesso lavoro di relazione tra donne che metta in campo le competenze conciliando le differenze, in un progetto che ci ponga in relazione tutte alla pari all’insegna del concetto di “sorellanza femminile”. La sorellanza è stata vista da tutte come il punto di massima forza di questo movimento: l’elemento di comunanza tra identità e interessi, che è condizione necessaria per unire i singoli in qualsiasi forma di  mobilitazione politica e che, in questo caso, mostra la potenzialità di coinvolgere la maggioranza assoluta della popolazione italiana, il 52%, le donne in Italia. Una maggioranza che, a diritto democratico, può pretendere di decidere.

Sul palco a Siena si sono succedute le rappresentanze delle donne omosessuali, musulmane, delle donne del sud, del nord, delle giovani precarie e delle donne con cariche istituzionali: ognuna si è confrontata con le altre su un piano di uguaglianza e parità. Il risultato è stato uno straordinario esperimento di democrazia.

 

In due giorni di lavori a Siena si è tentato un modello di discussione pubblica teoricamente orizzontale, in cui ognuna delle presenti era libera di esprimere in tre minuti il proprio punto di vista. Una forma rivisitata delle pratiche di autoconvocazione e autolegittimazione del movimento femminile storico, che costituivano una delle modalità attraverso cui i principi di rappresentanza democratica delle donne si contrapponevano al  modello tradizionale cosiddetto “autoritario”, in cui la parola era assegnata per diritto di appartenenza e rappresentanza di un sistema di potere.

Tuttavia a Siena hanno avuto diritto di parola solo donne che avevano indicato al momento dell’iscrizione la propria appartenenza a un comitato o una associazione, a causa, si è detto, di una comprensibile esigenza di razionalizzazione di fronte al soprannumero di richieste. Questa scelta, che molte presenti hanno criticato, ha indotto a una riflessione sul bisogno naturale che questo movimento ha di contestualizzare  l’intervento e la pratica politica delle donne che lo compongono. Una risposta alla  necessità di una storicizzazione del movimento stesso, che è stata comune a molte donne che erano presenti, e che negli interventi e nelle relazioni introduttive è sostanzialmente mancata.

Dunque qualcosa è mancato a Siena, qualcosa di profondo, sentito: sono mancate le voci delle altre, di  quelle coinvolte, coloro che c’erano e ci sono state sempre sin dall’inizio, tranne quella di Lidia Menapace che ha parlato ed è stata la più applaudita di tutte. Una mancanza che più gravemente persiste anche nelle coscienze individuali e collettive della società.

Ciò che è mancato e che ci aspettavamo è stato un atto di assunzione definitivo e consapevole del movimento di essere parte di un fenomeno storico, che ha radici molto profonde e rispetto al quale è necessaria una riflessione e un confronto sul piano dell’identità. Non si tratta di fare i conti con il femminismo degli anni Settanta e Ottanta, lo stesso di cui buona parte delle donne promotrici di “Se non ora quando”. Si tratta invece di assumere definitivamente la responsabilità dell’obiettivo di portare la cultura e la storia delle donne su un piano istituzionale. A Siena qualcuna di noi l’ha detto: le docenti universitarie, coloro che operano nel settore culturale. Hanno chiesto l’attenzione di tutte verso un tema che è alla base della mobilitazione politica delle donne e che è un tema culturale: l’acquisizione di una coscienza politica legata all’appartenenza di genere. Se le donne si sentono autorizzate a non assumersi  una responsabilità politica nella vita pubblica, con il risultato di  auto-escludersi o non dare credito alle candidate del proprio sesso, è a causa di una mancanza di cultura politica, di indifferenza nei confronti del proprio bisogno di partecipare a una azione politica che sia espressione di una storia che le rappresenti. Questa storia deve essere ancora raccontata, deve uscire dalla nicchia intellettuale degli studi di genere, e diventare patrimonio di tutti.

Il tema del lavoro, così tanto trattato a Siena e così sentito per le donne, è un esempio emblematico e offre l’opportunità per una riflessione importante: la precarizzazione, la disparità salariale, l’abbandono per causa di maternità, la tradizione delle mansioni di servizio e il mancato riconoscimento delle competenze nell’impiego femminile non sono temi nuovi. Sono semmai il proseguimento di una cultura e una pratica  legata al lavoro che progressivamente si è evoluta, che non si può negare abbia offerto possibilità tutto sommato crescenti alle donne che lavorano, ma che ancora non ha assorbito il cambiamento culturale in termini di parità che chiedono le donne e le istituzioni politiche europee, e che oggi in Italia non abbiamo più la possibilità di rimandare.

I giorni di Siena hanno offerto a tutti noi che eravamo presenti, e a coloro che c’erano con il cuore, la possibilità di immaginare una società diversa: come è sempre successo nella storia le donne sono disponibili ancora una volta a condurre questo cambiamento, perché sia una rivoluzione pacifica, come le rivoluzioni femminili sono sempre state capaci di essere.

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Category: Donne, lavoro, femminismi

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