Rosanna Marcodoppido: Non Una di Meno: un nuovo movimento o un movimento nuovo
Intorno a questo movimento si è sviluppato un dibattito che ha rimesso al centro anche alcuni nodi da sempre presenti nelle pratiche discorsive del femminismo e che ha assunto non di rado toni particolarmente aspri, a mio avviso poco utili per la costruzione di un serio contrasto al tanto che resta del patriarcato. Nell’intento di fornire alcuni elementi di conoscenza di cui penso ci sia bisogno, provo a dare una mia parziale lettura di questa esperienza come soggetto da sempre attento ai mutamenti della realtà delle donne, con un sapere politico accumulato dentro l’UDI in tanti anni di femminismo. E’ opportuno cominciare dalle radici politiche forse meno note.
Nei primi mesi del 2014 a Roma vari collettivi femministi provenienti dall’esperienza delle occupazioni decisero di costituirsi in rete e assunsero il nome “Io Decido” mutuandolo dalle Spagnole che in quei giorni lottavano per la libertà di scelta in materia di procreazione. Alle prime assemblee costitutive andai anch’io, convinta che una frammentazione senza interlocuzione, da troppo tempo caratteristica del movimento delle donne, rappresenti una debolezza politica che non possiamo permetterci. Erano quasi tutte giovani donne per le quali la classe era chiave di lettura consolidata mentre il genere restava sì ancorato al vissuto personale, ma con deboli radici teoriche e storiche: la scuola, dalla primaria all’università, continua a fornire infatti una cultura apparentemente neutra, ma di fatto costruita solo da uomini e dalla loro evidente misoginia. Segnate da esperienze di vita caratterizzate da precarietà ed esclusioni, queste giovani avevano comunque memoria delle donne venute prima, visto che si definivano femministe in controtendenza rispetto a molte loro coetanee. Quello che in modo esplicito veniva messo al centro, come irrinunciabile riferimento al femminismo, era la pratica del partire da sé e la relazione tra donne fuori da meccanismi di potere; da qui l’importanza data ai momenti assembleari, unici luoghi delle decisioni. Un elemento assolutamente nuovo era la volontà di costruire un soggetto collettivo intersezionale, capace cioè di posizionarsi negli intrecci tra i molteplici aspetti della soggettività, al di fuori perciò dell’impianto binario proprio del pensiero maschile. Una critica serrata era rivolta in particolare al binarismo sessuale con il rifiuto dell’eterosessualità come norma, in raccordo con le lotte di lesbiche, gay, transessuali, bisessuali consolidatesi attorno al movimento LGTB. Altro dato rilevante era la consapevolezza che per cambiare la realtà occorra necessariamente occupare gli spazi pubblici con i propri corpi, la propria intelligenza, la propria creatività; nel corso di due anni sono stati organizzati cortei, performance, sit-in, flash-mob contro l’obiezione di coscienza di medici e farmacisti, per l’applicazione della 194 e il rilancio dei consultori. Il Policlinico Umberto Primo e l’ospedale San Camillo sono stati più volte attraversati con striscioni, volantini, slogans. Nessuna occasione è stata tralasciata per contrastare gli attacchi all’autodeterminazione provenienti da più parti e alcuni risultati si sono ottenuti, come la riapertura del “repartino” del Policlinico, chiuso da tempo perché l’unico medico non obiettore era andato in pensione. Sono rimasta con loro, sempre, nonostante la differenza di età e di formazione politica, perché credo fermamente nella fecondità di uno scambio intergenerazionale senza gerarchie e stupide genuflessioni, dove il di più è da una parte ma anche dall’altra in quanto ogni vissuto ha in sé saperi preziosi. Sono rimasta perché ho visto finalmente riconnesse le parti scisse della mia storia politica di donna dell’UDI e femminista: emancipazione e libertà femminile, lotta per i diritti in nome dell’uguaglianza di opportunità e affermazione del valore della differenza risignificata al di fuori degli steccati patriarcali. La lotta al patriarcato è a ben vedere un rifiuto netto del suo fondamento dualistico, che stravolge la realtà, rende impossibile la costruzione di alterità autentiche e finisce col generare inaccettabili forme di dominio. L’esistenza umana è al contrario luogo della molteplicità, dell’ambivalenza, della complessità, della contaminazione. Il femminismo per me è dentro questo scenario di verità: una ricerca faticosa sul senso libero della differenza sessuale nel mutare delle condizioni di vita, del contesto economico, sociale, politico e nelle nuove sfide aperte dalla ricerca scientifica e dall’innovazione tecnologica.
A Roma, come in altre città, il lavoro preparatorio si articolò in otto tavoli tematici con giuriste, filosofe, operatrici dei Centri antiviolenza, giornaliste, ginecologhe e donne delle associazioni attraverso incontri pubblici dislocati in alcuni quartieri, uno proprio davanti alla sede del Ministero della Salute in concomitanza col contestato fertility day. Si è in questo modo sviluppato un ampio confronto su forme e contenuti e alla fine si decise di non chiudere alla presenza di quei pochi uomini che erano stati agli incontri e, più in generale, a tutti quelli che si riconoscevano nell’appello e ne condividevano analisi e proposte; il corteo sarebbe stato comunque aperto dalle donne, le sole titolari dell’evento. Su questa presenza degli uomini si è aperto il primo conflitto dentro e fuori il movimento: da una parte c’era chi sosteneva che il separatismo sempre e ovunque è pratica femminista imprescindibile, dall’altra chi riteneva giusto e utile dare spazio ai mutamenti del maschile prodotti proprio dal femminismo.
L’8 marzo 2017 infatti è stata una giornata intensa dappertutto, dalla mattina alla sera, con la partecipazione in varie forme allo sciopero, dibattiti, performance, mostre, cortei. Nei giorni seguenti è poi ripreso il lavoro in vista dell’assemblea nazionale del 22 e 23 aprile durante la quale, nel corso di una riflessione molto articolata e complessa, sono emersi ulteriori elementi di differenziazione: sul rapporto con le istituzioni, viste da alcune come il male assoluto; sulla necessità espressa da una larga parte delle presenti ma non condivisa da tutte, di costruire forme flessibili di coordinamento tra una assemblea e l’altra per dare seguito alle decisioni condivise; sulla prostituzione rispetto alla quale tutte si sono dette contrarie a qualsiasi forma di sfruttamento ma secondo alcune essa è sempre una forma di schiavitù di stampo patriarcale da combattere e stigmatizzare e secondo altre può essere anche esito di una libera scelta che però non deve rappresentare motivo di discriminazioni e violenze; sull’obiezione di coscienza nei confronti della 194 tra chi propone che si debba abolire del tutto il diritto all’obiezione e chi è convinta che per far applicare la legge non è necessario abolire un diritto: esiste già da ora la possibilità concreta non solo di denunciare in quanto illegali le strutture pubbliche che non applicano le 194, ma anche di rendere operativo in tutte le Regioni, per il personale medico e infermieristico che obietta, il divieto di accesso alle strutture preposte alla applicazione della legge.
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