Perchè il 25 novembre non sia solo una ricorrenza

| 14 Novembre 2011 | Comments (0)

VIOLENZA DI GENERE: DAL PRIVATO ALLA SFERA PUBBLICA

Il problema della violenza maschile sulle donne – in particolare quella che avviene in ambito domestico(maltrattamenti, stupri, persecuzioni, omicidi, ecc.) – è stato, negli ultimi sei anni, al centro di grandi manifestazioni nazionali, oggetto di dibattiti, appelli, documenti, ricerche, iniziative cittadine, da parte delle componenti più varie dell’impegno femminile. Il fenomeno, come apprendiamo purtroppo dalle cronache quotidiane, non è diminuito,  anzi, è aumentato sommandosi alla violenza omofobica contro la libertà di scelta sessuale, mentre  è invece inspiegabilmente scomparso dall’agenda del movimento delle donne nel momento stesso in cui stanno per essere chiusi, per mancanza di finanziamenti, alcuni centri antiviolenza.
Senza aspettare che sia la ricorrenza del 25 novembre a ricordarcelo, è perciò necessario che il tema venga ripreso  e affrontato per la gravità che riveste e l’ampiezza delle implicazioni,  private e pubbliche, che vi sono connesse.
Nella speranza che il movimento nato dalle piazze del 13 febbraio  non voglia attestarsi soltanto su posizioni rivendicative, cancellando il mutamento profondo che  dagli anni ’70 in avanti il femminismo ha portato alla concezione tradizionale della politica, è importante perciò che, prima di definire un’agenda fatta di obiettivi, proposte specifiche,  articolate su diversi piani, si faccia chiarezza sulle interpretazioni che hanno impedito finora di affrontare in tutta la sua complessità e ambiguità una violenza che sembra legata fatalmente alle vicende più intime del rapporto tra i sessi (sessualità, amore, maternità, affetti famigliari):

1. la lettura in chiave di devianza o patologia individuale, e non come residuo dell’antico potere patriarcale di vita e di morte su donne, schiavi e figli;

2. l’uso in chiave sicurezza pubblica e di conflitto di civiltà, cioè contro i costumi barbarici di questo o di quello ‘straniero’;

3. l’idea che si possa arginarla con politiche di tutela familiare, senza tener conto che sono proprio i vincoli familiari a tenere ambiguamente confuse protezione e aggressività.

Un altro passaggio importante è non isolare la violenza nelle sue forme manifeste da quella che passa e si perpetua invisibile attraverso la cultura maschile dominante – istituzioni, saperi, linguaggi, habitus mentali, norme morali, mezzi di comunicazione, ecc. -, una rappresentazione del mondo che le donne stesse hanno, loro malgrado, interiorizzata e fatta propria. Rientra nella violenza simbolica o culturale anche la difficoltà a vedere il rapporto di potere tra uomo e donna per la valenza politica che ha in sé, per cui persiste la tendenza a porlo come “questione femminile”: le donne viste come un gruppo sociale omogeneo, portatore di uno “svantaggio” storico da colmare, o di un “talento” da valorizzare quanto merita. In altre parole: un sesso debole da tutelare, o una risorsa salvifica, una visione tutta interna alle “differenze di genere” così come sono arrivate fino a noi, le stesse sulla base delle quali è avvenuta la divisione tra privato e pubblico, la complementarizzazione e la subordinazione del ruolo femminile a quello maschile.

L’identificazione della donna con il corpo, la funzione sessuale e riproduttiva, e quindi la sua cancellazione come persona, è la ragione prima della sua esclusione dalla polis, ma a sua volta, è la violenza implicita in questa privazione di spazi essenziali di spazi di libertà e di potere decisionale ad avere pesanti ricadute negative sulla vita delle donne: dai gesti quotidiani di disvalore alla persecuzione violenta di quelle che tentano gesti di autonomia.

Misure efficaci

Lo svantaggio sociale femminile cristallizzato nella famiglia tradizionale è all’origine della violenza maschile che alligna nel privato e si espande nel pubblico anche grazie alla mercificazione mediatica del corpo femminile, usato come elemento eccitante di promozione vendite in senso lato.
Lo svantaggio politico percepibile in una democrazia a-partecipata e monosessuata determina il quadro e lo completa. 
Ecco perché la violenza sessista, anche domestica, non può mai essere un fatto privato, ma è un’indecenza pubblica che le istituzioni non possono ignorare o mistificare attraverso la scorciatoia dell’utilizzo del diritto criminale come risposta esclusiva o preponderante.

A ben altri livelli occorre agire per sradicare questo grumo di violenza ancestrale, sedimentato nell’immaginario maschile, che va contrastato a partire dai primissimi messaggi che i bambini ricevono dalla famiglia, dalla scuola e dalla società. 
Le misure suggerite dall’esperienza ben più seriamente strutturata in altri Paesi europei (vedi Legge spagnola del 2004) partono appunto da un piano di acculturamento e sensibilizzazione fin dalla prima infanzia per il cambiamento delle relazioni fra donne e uomini, in ogni contesto del vivere associato. 

Si sviluppano attraverso piani scolastici multilivello e una legislazione onnicomprensiva che evidenzia l’origine sessista e discriminatoria della violenza contro le donne e la previene attivamente, contrastando esclusioni e pregiudizi .
Si concretano attraverso una vigilanza costante e un monitoraggio dei risultati, attivando interventi correttivi e provvidenze pubbliche adeguate.
Prevedono, oltre alla visibilità del problema, ritenuto di interesse generale, ruoli attivi delle istituzioni pubbliche centrali e locali,  gravate delle connesse responsabilità.

Proposte iniziali

In concreto, sull’esempio di ciò che si fa in altri Paesi, pensiamo si debba promuovere un piano nazionale di sensibilizzazione e prevenzione della violenza di genere, incentrato su specifiche iniziative, tra cui qui citiamo: 

• un programma di educazione/formazione sull’esercizio di diritti e obblighi uguali fra maschi e femmine nell’ambito sia privato che pubblico che si sviluppi fin dal livello scolastico elementare;

• il lancio di campagne pubbliche di sensibilizzazione contro gli stereotipi dei ruoli familiari femminili;

• la promozione di azioni positive per la eguaglianza di genere in tutti i campi del vivere associato (politico, economico, culturale), da rispettare rigorosamente (e la cui inosservanza venga sanzionata);

• il reintegro dei fondi incredibilmente sottratti ai Centri antiviolenza e alle Case delle donne, fondi che andrebbero al contrario  aumentati per rafforzare le équipe che vi operano con varie professionalità a collaborazione integrata;

• l’istituzione di un Osservatorio indipendente di monitoraggio sui diritti delle donne e di vigilanza sui mezzi di informazione e pubblicità, a garanzia di un trattamento conforme ai valori costituzionali e alla dignità personale delle donne. 

Riteniamo dovere principale di tutti gli schieramenti politici e dei singoli che si candidano per ruoli istituzionali in Italia e in Europa l’elaborazione e il perseguimento concreto di un piano integrato per la soluzione di questa incancrenita piaga sociale. Ma quel che ci preme di più è la presa di responsabilità da parte di tutte le donne impegnate in un ruolo istituzionale: a loro chiediamo esplicitamente di proporre, seguire e curare a ogni livello le misure necessarie a questa improrogabile svolta di civiltà. 
Anche su questa base,  che intendiamo verificare nelle fasi di ideazione e di realizzazione, si decideranno le nostre scelte politiche future.

L’intervento di Lea Melandri e Maria Grazia Campari dell’Associazione per una «Libera Università delle donne di Milano» è stato pubblicato sul sito zeroviolenzadonne.it

 

Category: Donne, lavoro, femminismi

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