Mario Agostinelli: Carla Ravaioli se ne è andata..leggera
Vorremo sempre bene a Carla perché ci rimane dentro. In effetti, non le volevamo solo bene: ne coglievamo in ogni istante l’apporto irripetibile per capire più in profondo come stessero le cose, senza limitarsi a dire che tutto sta cambiando solo per disancorarsi dai principi, dai valori, dalla memoria. Magari creandosi l’alibi per non stare più su una frontiera sempre meno presidiata.
La incontravo spesso venendo a Roma e ne apprezzavo la ricchezza di attenzioni anche agli aspetti umani delle relazioni. Bruna, mia moglie, sorrideva quando mi passava le sue telefonate, immancabilmente in orari che ci coglievano negli spazi sereni del ritorno a casa, quasi fosse una di famiglia che, quando viene a trovarti, metti al tavolo con quello che c’è.
Ho scritto un libro con lei sulle 35 ore e la riduzione dell’orario di lavoro in cui c’era tutta l’esplosione di gioia per la possibilità di riappropriarsi di uno spazio di vita, di ambiente restituito alla riproduzione e alla rinnovabilità, di convivialità meritata. Carla era molto bella anche dopo gli ottant’anni: il che faceva sperare a tutti gli estimatori di non invecchiare mai. Non accomodante, ma gentile, non settaria, ma rigorosa, dialogante, ma irriducibile nelle sue convinzioni. Credo sia appartenuta ad una generazione che era in grado ancora di trasmettere a quelle successive: ora se ne va, leggera, senza vivere il dramma della mia generazione che viene “rottamata” perfino dagli amici, prima che dagli avversari. Carla mi ricorda Laura Conti, seppure nella profonda diversità di esperienze, carattere, rapporti con l’eresia in politica. Laura ci è rimasta compagna di viaggio, come lo sarà indubbiamente Carla.
Ti vediamo sorridente anche in questo momento triste. Ma, come per Bruna, a cui tu eri affezionata e di cui ti addolorava la morte, “la vita non finisce mai.
Inchiesta la ricorda pubblicando l’ultimo suo articolo scritto per Il Manifesto il 15 ottobre 2011 in occasione di una straordinaria giornata di protesta in vari paesi e un suo breve profilo
1. Carla Ravaioli : Una rivoluzione senza precedenti. E’ qui la sinistra
[Il Manifesto, 15 ottobre 2011]
Quanto è accaduto sabato scorso in novantacinque città del mondo (a prescindere dalle vicende italiane, soltanto italiane, che esigono un discorso specifico ad esse esclusivamente dedicato) parla di qualcosa come cinquanta e più milioni di persone in marcia contro il capitalismo. A negare clamorosamente la vulgata che con insistenza da tempo parla di neoliberismo incontrastato e vincente, dunque di “fine delle sinistre”. Ciò che peraltro in effetti risponde non solo quantitativamente alla debolezza delle sinistre, ma alla totale mancanza di una politica che possa in qualche misura distinguerle dalle logiche domFinanti; prescindendo ovviamente dall’impegno sostenuto soprattutto dai sindacati a favore dei lavoratori, nello specifico di situazioni di volta in volta in questione (salario, orari, mansioni, “difesa del posto di lavoro”); una lotta indubbiamente utile, anzi indispensabile, che però non rimette in alcun modo in causa l’organizzazione produttiva nelle sue logiche e nelle sue ricadute, né in alcun modo garantisce un’occupazione sempre più a rischio. Di fatto “ripresa”, “uscita dalla crisi”, “rilancio della produzione”, sono gli obiettivi che — non diversamente dall’intero mondo politico — le sinistre auspicano e perseguono, nel segno dell’accumulazione capitalistica. Di recente addirittura è stato recuperato il vecchio slogan “Creare posti di lavoro”: insensato invito alla promozione di attività destinate solo a occupare vite altrimenti ritenute inutili; di fatto capovolgimento del lavoro nella sua funzione di risposta a bisogni dati.
L’origine di tutto ciò risale d’altronde a fatti lontani, da potersi sostanzialmente situare nel trentennio della grande ripresa postbellica, quando l’organizzazione produttiva che andava via via imponendo al mondo i modi e le logiche dell’ accumulazione capitalistica, e modellandolo di conseguenza, per più versi però parve oggettivamente migliorare le condizioni delle classi lavoratrici; e fu allora che le sinistre (pur senza mai negare quell’anticapitalismo nel cui nome erano nate) in qualche misura andarono rimodellando le proprie politiche, puntando (sovente d’altronde con apprezzabili risultati) sulle riforme piuttosto che sulla “rivoluzione”. La quale da allora, specie dopo la fine dell’Urss, di fatto venne “messa in sonno”.
Ma il “peccato” più grave delle sinistre è l’aver di fatto “regalato” il progresso scientifico e tecnologico al capitalismo. Di fronte alla più grande rivoluzione compiuta dal pensiero umano, che avrebbe potuto consentire quella “liberazione del lavoro e dal lavoro” auspicata da tutti i grandi utopisti, compreso Marx, le sinistre non hanno saputo che difendersi dal rischio della disoccupazione tecnologica, d’altronde con risultati non proprio entusiasmanti. Di fatto operando secondo la forma dell’ accumulazione capitalistica, accettandone logica e conseguenze, e solo di volta in volta, nello specifico delle singole situazioni, combattendo spesso valorosamente in difesa dei lavoratori.
Oggi, “ripresa”, “rilancio”, “crescita”, proprio come nei palazzi del potere, sono le parole d’ordine delle sinistre. Incuranti (o così parrebbe) della qualità del mondo che a questo modo si trovano a sostenere: un mondo in cui l’1% della popolazione detiene il 50% della ricchezza, 1/6 dell’umanità è sottoalimentato mentre in complesso si distrugge circa il 40% del cibo prodotto, un dirigente d’azienda guadagna fino a 640 volte il salario di un operaio, la produzione di armi rappresenta il 3,7% del Pil (cifra ufficiale secondo gli esperti assai inferiore alla verità).
Un mondo che continua a considerare la crisi ecologica planetaria come una sorta di variabile marginale, cui dedicare momenti di esclamativa attenzione quando si verificano le catastrofi più gravi, la grande industria (petrolifera, nucleare, che altro) viene pesantemente colpita, i mutamenti climatici distruggono raccolti agricoli di intere stagioni, ecc. Senza mai prestare adeguata attenzione alle voci della comunità scientifica mondiale. La quale parla di sempre più prossima e forse irrecuperabile rottura di equilibri millenari, e continua a ricordare i “limiti” del pianeta Terra: che è “una quantità” data, non dilatabile a richiesta, e pertanto incapace sia di alimentare una produzione in continua crescita, sia di neutralizzare i rifiuti, liquidi solidi gassosi, che ne derivano, e squilibrano l’ecosistema. Mentre imperterrito risuona il richiamo alla “crescita”, invocata come una sorta di dovere sociale, cui le sinistre si associano.
Ma dove sono le sinistre? Questa è l’obiezione di regola sollevata appena si accenna a posizioni e iniziative che, nella situazione data, alla sinistra appunto parrebbero appartenere. E tuttavia, i milioni di giovani e meno giovani che sabato scorso hanno manifestato in novecentocinquanta città del mondo, che altro sono se non sinistre? E i popoli della “primavera africana”? E i tantissimi che si battono per la pace, per i “beni comuni”, contro il nucleare, contro opere monumentali quanto inutili, che insomma, nei modi più diversi e per i più diversi obiettivi immediati, mettono in discussione le regole portanti del capitale? E le donne che, anch’esse, in folle sempre più vistose, manifestano il loro “sentire altro” dalla vulgata del sistema imperante, e che perfino nei paesi di più dura misoginia sempre più di frequente trasgrediscono la regola che le offende?
Certo, non può stupire che le sinistre organizzate — quel poco che ne rimane — fuggano di fronte a una “rivoluzione” come questa, che per qualità e quantità non ha precedenti. E d’altronde, è pensabile che la situazione possa protrarsi così, indefinitamente? Dopotutto teste pensanti, convinte della insopportabilità sociale, culturale e fisica, della situazione attuale, a sinistra non mancano. E non mancano intelligenze capaci di una lettura adeguata della “globalizzazione”: un processo mondiale ormai interamente compiuto nella sua dimensione economico-finanziaria (ivi incluse devastanti conseguenze ecologiche); sempre più largamente impostosi dal punto di vista culturale (con la pubblicità a giocare in ciò un ruolo decisivo quanto stravolgente); ma di fatto tuttora inesistente sul piano politico (essendo la politica di fatto identificata con l’economia, e da essa sostituita).
Teste non solo pensanti, ma volonterose di “pensare contro”, e di avventurarsi sui rischiosi sentieri di una rivoluzione che non ha precedenti né modelli… io sono certa che non manchino. Forse si tratta solo di cominciare…
2. Carla Ravaioli: un breve profilo
Carla Ravaioli è nata a Rimini nel 1923 . Si è laureata a Bologna in Lettre con una tesi in Storia dell’arte su Guido Cagnacci discussa con Roberto Longhi. Dal 1954 al 1970 ha vissuto a Milano, si è poi trasferita a Roma.
La condizione della donna è il problema di cui maggiormente si è occupata nei primi decenni della sua attività. Come giornalista, ha lavorato per “Il Giorno”, “L’Europeo”, “Il Messaggero”, “La Repubblica”, “Il Manifesto” e Rai-tv.
Come saggista ha pubblicato: La donna contro se stessa (1969, 2^ edizione 1977), Maschio per obbligo (1973, 2^ edizione 1979), La questione femminile – Intervista col PCI (1976, tradotto in tedesco e in greco), e ha collaborato a diverse riviste quali “Tempi moderni”, “1a critica sociologica”, “Quaderni piacentini”, “Rinascita”, “Critica marxista”.
In seguito, pur sempre mantenendo presente e centrale il problema – donna, ha allargato la sua riflessione all’intero modello socioeconomico oggi attivo nel mondo, soprattutto in rapporto alle questioni ambientali. Su questi temi ha pubblicato: Il quanto e il quale – La cultura del mutamento (1982), Tempo da vendere, tempo da usare (1986 2^ edizione 1988, 3^ edizione 1994, tradotto in tedesco), Il pianeta degli economisti – Ovvero 1’economia contro il pianeta (1992, tradotto in inglese), La crescita fredda (1995), Le 35 ore, Dialogo con Mario Agostinelli (1998), Processo alla crescita, Dialogo con Bruno Trentin (2000), Un mondo diverso è necessario (2002).
Su queste tematiche ha scritto per “Il Manifesto”, “Liberazione”, “Critica Marxista”, “Carta”, “Rocca”, “Aprile”, “Decrescita”, ecc. e ha svolto seminari e corsi a contratto nelle università di Sassari, Cosenza, Ancona, Roma 3, Cassino.
NeIl’VIII legislatura è stata membro del Senato per la Sinistra Indipendente. Benché tuttora non iscritta ad alcun partito, è impegnata in diverse attività politiche, in particolare riguardanti la condizione femminile (è parte di “Controparola”, attivo gruppo femminista composto di note scrittrici e giornaliste), l’ambiente e il rapporto economia – ambiente, in collaborazione con “Ars” (Associazione per il Rinnovamento della Sinistra), con “Rosso -Verde” e con “SE” (Sinistra Europea)
E’ stata trovata morta giovedì mattina 16 gennaio 2014 nella sua abitazione di Via del Seminario nel centro di Roma. La giornalista e scrittrice aveva da poco compiuto 91 anni, viveva da sola, e non si esclude l’ipotesi di suicidio
Category: Donne, lavoro, femminismi