Lucia Annunziata: Cirinnà si, Colonia no? Quante madamine in Parlamento

| 9 Gennaio 2016 | Comments (0)

 

Diffondiamo da www.huffingtonpost.it del 9 gennaio 2016

Cirinnà sì, Colonia no? Quante madamine in Parlamento. Dalle tante donne che ormai affollano gli scranni di Camera e Senato, soprattutto da sinistra o dai 5 Stelle, non abbiamo udito ancora una voce, una sola, che possa avviare una discussione sul caso delle aggressioni di massa alle donne in tante città dell’Europa centrale. In compenso tutto pare si stia preparando per una nuova tornata di infinite discussioni sul disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili.

Non che non sia necessaria quest’ultima. Ma uguale sensibilità a temi di gender implicherebbe un’idea qualunque, o anche solo una qualunque dichiarazione su quello che sta succedendo nelle maggiori città europee. Dopo tutto non è di tutti i giorni ascoltare Angela Merkel fare autocritica e parlare commossa “come donna” delle violenze subite dalle cittadine tedesche per mano degli immigrati. Ma tant’è. Le nostre deputate e senatrici non colgono o, possiamo dirlo, forse non hanno ancora avuto l’input dei loro partiti a dire qualcosa?

Capisco la difficoltà. In Germania, in Svizzera e in Finlandia la notte di Capodanno è successo qualcosa che sfida la legge di gravità di ogni politica. Branchi di giovani uomini immigrati, arabi e nordafricani, hanno circondato tutte le donne su cui potevano letteralmente mettere le mani. Le hanno molestate pesantemente, alcune violentate, e altre ancora anche derubate. Nel complesso migliaia di donne inseguite, spaventate e disprezzate. Un incubo. Personale, ma anche politico: uno scenario di sfida senza precedenti, un terreno nuovo di scontro che ha faticato non a caso ad essere compreso, dalla polizia e dalla stessa informazione. Non a caso scrivo, perché quando si parla di violenza sulle donne c’è sempre la riserva mentale di temere l’esagerazione.

Chi voleva capire, tuttavia, poteva capire. Bastava leggere le prime testimonianze. Il nostro HuffPost ha tenuto in prima pagina la storia sempre. Io stessa ho scritto tre giorni fa un blog in cui affermavo che “il pericolo dell’episodio di Colonia si nasconde proprio nelle pieghe della normalità di chi ne è stato protagonista. La verità di cui dobbiamo discutere è proprio questa: il rapporto dell’Islam con le donne è un tema devastante, intriso di violenza e di politica, e non è tale solo nelle forme più estreme, nelle terre più bruciate del Medio Oriente, nelle esperienze più allucinate e militanti delle guerre dell’Isis o del terrorismo“.

A dispetto delle molte battute e, soprattutto, a dispetto dei tanti dubbiosi (“ma sarà vero?”) lo scenario che le ricostruzioni ufficiali oggi ci forniscono è ancora più serio di quello che si era prospettato. Non si è trattato solo di una città o di una nazione, ma di tante città; si tratterebbe di un piano, con dietro una mente unica, e i nuovi arrivati, siriani, sono stati partecipi. La Merkel ha fatto autocritica, e rischia di cadere su questo incidente. La prima reazione è stata la sospensione del capo della polizia di Colonia. Ma il punto non è il destino del leader europeo: il punto appare piuttosto l’enorme emozione, il turbamento che questa nuova pagina di mala-integrazione ha suscitato nel nostro Continente. È evidente infatti che questa storia risolleva il tema della incompatibilità degli immigrati con uno dei valori più intimi e fondamentali dei nostri paesi – la libertà e parità delle donne. Dopo il sospetto serpeggiante che ha lasciato negli animi di tutti il terrorismo per mano di gruppi di musulmani di casa, ora l’odio reciproco rischia di essere rafforzato, potenzialmente, da questi comportamenti di aggressività di massa. L’Unità europea, delle sue politiche, dei suoi intenti, e della sua umanità, in giorni come questi sembra sempre più appesa a un filo.

Cosa fare a questo punto dell’accoglienza? Come declinare il nostro rapporto con i musulmani? Come gestire la politica dell’immigrazione? Fermare o meno Schengen? E, viceversa, come difendere i nostri diritti, le nostre libertà, oggi e domani?

Temi, come si vede, non da poco. Molti, non solo la Merkel, parlano oggi di rivedere le regole delle ammissioni. Ma la revisione delle regole richiede anche una dolorosa revisione di quello che pensiamo del mondo musulmano. Personalmente ho dato la mia opinione, tanto per non essere accusata di non metterci la faccia. Per chi non abbia voglia di rileggerla, ripeto in sintesi che la radicalizzazione sul tema delle donne in una parte del mondo musulmano è diventata la cifra di una radicalizzazione politica che attraversa l’intero mondo islamico, e che lo sta spaccando. Non a caso, vittime di questa radicalizzazione sono, ben prima delle donne occidentali, le stesse donne musulmane. Voglio dire con chiarezza che l’attacco alla dignità delle donne, in tutte le sue implicazioni, non è patrimonio solo di esperienze estreme come quelle dell’Isis o dei Talebani. Al contrario, in una parte dell’Islam, soprattutto nelle giovani generazioni, è un manifesto identitario di dominio, è parte di quell’odio dei valori occidentali che nutre l’attacco allo stile di vita occidentale tutto, come a Parigi nell’ultimo devastante attentato.

L’immigrazione di massa forse non porta da noi migliaia di terroristi, ma certo porta in Occidente questo antagonismo, questa rabbia. E nella notte di Capodanno tutto questo, in maniera innovativa, è diventato anche manifestazione, avvertimento, sfida politica organizzata, contro quell’intera società che pure i profughi ha accolto.

L’immigrazione non va bloccata. L’accoglienza è un valore inalienabile.Ma la legalità e il diritto dei cittadini, a partire dalle donne, non sono negoziabili.

Questo è il punto in cui ci troviamo. Se ne discute nei maggiori paesi europei. Ma qui da noi non si sente nemmeno un pigolio. E non sarebbe invece necessario che proprio le donne diventassero il perno di questa riflessione? O forse è meno rilevante delle unioni civili? Delle quote? O delle rivendicazioni di parità salariale?

Queste domande dovrebbero essere ancora più pressanti per le donne/politiche dello schieramento di sinistra. In assenza della loro voce la risposta a queste domande sarà inevitabilmente tutta e solo nelle mani della destra. È questo che si vuole?

Certo, questa discussione implica il superamento delle banalità in cui spesso ci si rifugia: le migliori che ricordo in questo momento si riassumono nella classica “non si può fare di ogni erba un fascio. Così si rischia di offendere tutti i musulmani”, oppure ancora “di maschilisti è pieno il mondo: anche gli italiani picchiano le donne”. Il superamento di questi luoghi comuni è difficile, certo. Ma metterci la faccia è il bello e il brutto di chi vuole essere parte del discorso pubblico, in particolare per le donne che ci hanno chiesto di essere elette, e che troppo spesso invece si lamentano di non essere prese sul serio da una cultura politica maschilista.

Mi piacerebbe ascoltare dunque, lo ripeto, l’opinione di queste elette. A partire da Laura Boldrini che è giustamente la campionessa dell’impegno sulla solidarietà sociale e che ha commentato senza tuttavia entrare nel merito della vicenda. Continuando con le donne che governano, le tante ministre che affollano il banco principale delle nostre istituzioni. Come Maria Elena Boschi che seguirà in prima persona il ddl Cirinnà in Parlamento, come Marianna Madia che nella sua precedente vita è stata campionessa delle discriminazioni nei confronti dei giovani precari, o ancora come Roberta Pinotti, che ha dovere di parola anche in quanto ministro della Difesa. E continuando ancora con le donne del Movimento 5 Stelle che urlano quasi su tutto – anche se comprendo che per loro è più difficile vista la facilità con cui vengono amministrate dalle loro parti le espulsioni.

 

Category: Donne, lavoro, femminismi, Osservatorio Europa, Politica

About Lucia Annunziata: Lucia Annunziata è nata a Sarno, nel 1950) è una scrittrice, giornalista e conduttrice televisiva italiana. Ha frequentato l'Università di Napoli prima e di Salerno poi, dove si è laureata in filosofia con una tesi sui contributi statali per il sud ed il movimento operaio. È stata insegnante presso le Scuole Medie di Teulada (in Sardegna) dal 1972 al 1974. Giornalista professionista dal 1976, corrispondente dagli Stati Uniti prima per il manifesto e poi per La Repubblica per cui segue dal 1981 al 1988 l'America centrale e latina - tra gli altri eventi: la rivoluzione in Nicaragua, la guerra civile del Salvador, l'invasione americana di Grenada, la caduta del regime di Baby Doc Duvalier in Haiti ed il terremoto del Messico. Per La Repubblica diventa corrispondente dal Medioriente, con base a Gerusalemme. Nel 1977 aveva 27 anni e lavorava a Il manifesto. Passa al Corriere della Sera nel 1993 e torna in USA. Nel corso del 1995 torna in Italia e arriva in televisione, su RAI 3, con il programma Linea tre. Dal 1996 al 1998 è direttore del Tg3. Nel 2000 fonda e dirige l'agenzia di stampa APBiscom, società che nasce dalla Associated Press ed Ebiscom. Il 13 marzo 2003 diventa Presidente della RAI, incarico che mantiene fino al 4 maggio 2004, data delle sue dimissioni. È stata la seconda donna presidente della RAI, dopo Letizia Moratti (nel 1994). Dal 2004 è editorialista de La Stampa. L'anno dopo torna in RAI per condurre su Rai 3 il programma In ½ h, che va in onda nel primo pomeriggio della domenica e prevede l'intervista ad un personaggio per parlare dell'argomento che ha avuto maggior risalto nelle cronache durante la settimana. È direttore responsabile di Aspenia, la rivista di Aspen Institute Italia, dove è membro dell'esecutivo. Ha scritto i libri: "Bassa intensità" (ed. Feltrinelli), sul Salvador; "La crepa" (ed. Rizzoli), sulla frana di Sarno nel 1998; "No" (ed. Donzelli), contro la seconda guerra in Iraq; "1977" (ed. Einaudi), sul movimento giovanile del 1977. Ha ricevuto vari premi giornalistici, tra cui il Premiolino (il più importante riconoscimento giornalistico italiano) ed il Saint Vincent. Tra le sue ultme pubblicazioni: Il potere in Italia, Venezia, Marsilio, 2011; L'Italia post-populista, con Ilvo Diamanti, Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky, Roma, la Repubblica, 2013.

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