Letizia Bianchi: Per una società migliore anche quando le madri non ci saranno più

| 4 Agosto 2014 | Comments (5)

 

 

 

 

Pubblichiamo, con il permesso dell’autrice (nella foto con Hebe de Bonafini) la sua introduzione al libro di Riccardo Verrocchi, Le utopie sono possibili. Le Madres de Plaza de Mayo nell’argentina di ieri, oggi e domani, Casa editrice Sensibili alle foglie, Milano 2014

 

La storia delle Madres de Plaza de Mayo inizia negli anni ’70 del Novecento con la scomparsa repentina e violenta dei loro figli e delle loro figlie ad opera dei dittatori argentini. Prima – come dice Hebe de Bonafini, presidenta dell’Associazione Madres de Plaza de Mayo in un libro intervista[1] –  erano solo delle donne, delle semplici casalinghe. Ma non è sempre così? Non è l’azione delle proprie creature, le loro richieste e i loro bisogni a fare di una donna una madre? Nel caso delle Madri questa verità assume  la sua valenza più ampia e ne fa vedere tutte le potenzialità; esse diranno che sono stati i figli  e le figlie che avevano nutrito, amato, curato a “partorirle” alla lotta contro la dittatura, alla rivoluzione, all’impegno a far esistere nel mondo quegli ideali di giustizia per cui figli e  figlie stavano lavorando. In un continuo divenire ed allargamento, la fonte sorgiva della loro lotta e della loro politica – le vite e poi gli ideali di quei figli dei quali chiedevano ai militari la “aparición con vida” – le ha aperte ad altro, ad altri. Agli inizi della loro lotta contro la dittatura, quando videro che c’erano madri che non andavano come loro in piazza a reclamare i figli scomparsi – madri che non potevano, non sapevano, non volevano farlo – si fecero madri di tutti i trentamila desaparecidos, in un passaggio che più tardi chiamarono “socializzazione della maternità” e che preludeva ad un ulteriore allargamento del loro impegno. «Gli altri sono io» è divenuta una loro frase simbolo. Nel settembre 2013 questo motto campeggiava ancora sul manifesto della dodicesima edizione del Congresso internazionale di Salute mentale e Diritti umani, promosso dalle stesse Madri.  Al disotto le parole “coraje para proponer, coraje para decidir, coraje para hacer” (coraggio per proporre, coraggio per decidere, coraggio per fare); parole che ben descrivono lo spirito con cui, anche in questi primi decenni del Duemila, le Madri partecipano alla vita politica argentina: in assoluta fedeltà alla loro storia e in un movimento continuo di creatività.

In Italia non sono moltissimi  i libri  che si sono occupati delle vicende relative agli anni della dittatura argentina o alla vicenda dei desaparecidos; ancora meno quelli che si sono occupati in specifico della lotta delle Madres de Plaza de Mayo, soprattutto se paragonati alla produzione di lavori dedicati alle gesta di altri personaggi e ad altri episodi della lotta politica in Argentina e nel Continente Sudamericano. Assente poi in quasi tutte le pubblicazioni una trattazione delle loro lotte che faccia vedere la rilevanza delle loro azioni per tutta la storia del paese, la novità costituita dalle loro invenzioni politiche. La trattazione della storia e delle vicende delle Madri patisce di una sorta di “confinamento”.

Non è il caso di Le pazze[2], il libro di Daniela Padoan, che a partire dalle parole delle Madri, da lei a lungo intervistate, ricostruisce una vicenda umana e politica di cui mette in luce tutta la grandezza, la novità e la creatività. Tuttavia la maggior parte degli autori e delle autrici circoscrivono la loro narrazione all’azione delle Madri negli anni della dittatura, tendono a far coincidere il senso del loro operato con l’azione di pura opposizione alla stessa che quindi non ha più una sua valenza politica una volta che il regime dei militari è caduto.  Quasi nessun libro si spinge ad analizzare le ragioni del loro persistere  nella lotta dopo l’avvento della “democrazia” o il loro operato durante i governi liberisti degli anni ’90 del Novecento e di inizio 2000. Poca o nulla si scrive delle loro invenzioni di lotta, della loro capacità di creare parole d’ordine che hanno restituito verità a ciò che stava avvenendo in una Argentina obnubilata dalla propaganda dei dittatori e di chi li sosteneva, di pratiche che hanno inaugurato un modo nuovo di pensare ed agire il conflitto politico, di un fare costante che nel tempo ha portato alla costruzione di una rivista, una radio, una Università popolare, di un centro culturale e ancora altro. Un esempio – estremo ma significativo – di questo confinamento è il libro La dittatura argentina, dove l’azione delle Madri viene esaminata nel contesto delle organizzazioni dei familiari delle vittime; il senso della loro azione è racchiuso e limitato con l’etichetta «protesta nata dalla violazione degli affetti familiari». Alle azioni degli organismi di difesa dei diritti umani, «sopratutto quelli che riunivano i familiari delle vittime tra i quali spiccavano le Madri»[3], l’autore dedica complessivamente una pagina, mentre tratta in maniera diffusa, il ruolo – non sempre attivo o positivo –  svolto in quegli anni dai partiti, dai sindacati, dalle organizzazioni della lotta armata. È questa una visione della lotta politica e della storia che difficilmente riesce a comprendere la novità di cui le Madri sono portatrici ed anticipatrici. D’altronde l’autore del libro dichiara che il suo vuole essere un libro che racconta «la storia di una dittatura feroce e complessa […] di uomini terribili e delle loro azioni aberranti»[4]. Un intento che non è certamente quello perseguito dalle Madri in tutti questi anni, che anzi si sono sempre rifiutate di dare risalto e grandezza, sia pure come eroi del male, agli assassini.

Il libro di Riccardo Verrocchi ripercorre tutta la storia umana e politica delle Madres de Plaza de Mayo argentine, dagli anni Settanta del Novecento fino ad oggi e ci mostra gli intrecci tra il loro operato e le vicende dell’intero paese. In questo modo non solo viene dato alla lotta di queste donne il posto che spetta loro nella storia argentina – un posto che si sono duramente conquistate e che continuano ad agire da protagoniste – ma si rende possibile seguire i cambiamenti che hanno interessato l’Argentina e l’hanno portata a ripensare e riformulare i fondamenti stessi della propria nascita come nazione. Un processo che si accompagna alla partecipazione dell’Argentina ai nuovi organismi internazionali – Mercosur, Unasur, Celac – che ridisegnano la posizione delle nazioni del sud America rispetto al resto del continente americano e testimoniano della volontà di questo continente di farsi portatore di una idea di economia non disgiunta dalla giustizia sociale.

Attraverso le vicende delle Madri il libro ci fa assistere anche alla nascita di una “Argentina che guarda al futuro”, titolo della tesi di laurea di Riccardo Verrocchi di cui questo libro è una elaborazione. Risulta così con chiarezza che è la continuità nel tempo e l’impegno costante a marcare l’azione politica ed umana delle Madri, e che il passare degli anni non ha portato delle interruzioni. Le Madri hanno oggi tutte 80 anni o più e solo la morte riesce a fermarle. Da 37 anni non c’è stato giovedì che non le abbia viste marciare in Plaza de Mayo e una delle loro storiche parole d’ordine è: «L’unica lotta persa è quella che si abbandona». La loro non è però una continuità rigida, conservatrice; si tratta piuttosto di un sempre rinnovato impegno e di una sempre nuova scoperta delle implicazioni e degli sviluppi di un primo evento che è stato alla base di quello che esse sono diventate e sono. Il primo capitolo ripercorre gli avvenimenti che hanno interessato l’Argentina dal golpe militare del 1976 –  con i suoi antecedenti peronisti – fino all’andata alla presidenza del paese di Néstor Kichner prima e di Cristina Fernández de Kirchner poi. Degli anni della dittatura si racconta sia la coraggiosa opposizione di piazza delle Madri sia si mette in  risalto il processo che porta alla nascita di una aggregazione collettiva nuova, che nel fare quotidiano elabora un metodo ed un agire politico del tutto innovativo, che mette a punto un linguaggio ed originali invenzioni simboliche. A questi due ultimi punti, Verrocchi dedica due paragrafi molto illuminanti. Gli anni della così detta transizione democratica inaugurata con l’avvento alla presidenza di Alfonsín, gli anni delle amnistie e dei silenzi governativi circa l’operato dei militari golpisti sono per le Madri gli anni di una nuova invenzione, quella delle Marce di Resistenza, («Resistir es combatir») che proseguiranno anche durante gli anni in cui al governo sarà Carlos Menem e la sua politica economica improntata ad uno spietato liberismo. Una delle parole d’ordine delle prime Marce di Resistenza è stata «La falta de trabajo es genocidio» (La mancanza di lavoro è genocidio) e più tardi, in opposizione all’operato del governo Menem e del Fondo monetario internazionale «Il Gobierno paga la deuda estera con vida» (Il Governo paga il debito estero con vite umane); queste frasi svelavano la terribile continuità tra i metodi di governo di quegli anni e quelli della dittatura e denunciano come la povertà indotta, l’assenza di lavoro e la nessuna considerazione dei minimi principi di giustizia sociale, oltre alla sistematica violazione dei diritti umani, fossero  gli elementi che avevano caratterizzato in continuità i governi argentini dagli anni ’70 fino al 2003, interrotti soltanto dal cambiamento inaugurato in quell’anno dai coniugi Kirchner. Un cambiamento che poco dopo le Madri registrano cessando – non di lottare – ma di inscenare Marce di Resistenza contro il governo,  perché dichiarano  «Il nemico non abita più qui»[5].

Le frasi di lotta sopra citate testimoniano anche , come Verrocchi sottolinea, l’interesse sempre maggiore che, dagli anni ’90 del Novecento in poi, le Madri dimostrano nei confronti dei conflitti sociali e delle lotte di  tutti i lavoratori. Cruciali e ben documentate sono poi le pagine dedicate ai progetti sociali e culturali delle Madri oggi, in particolare su tre di questi: l’Università popolare, lo Spazio culturale “Nostri Figli” (Ecunhi) e la Missione Sueños Compartidos.

La storia della nascita e ideazione dell’Ecunhi permette all’autore di affrontare alcune questioni di attualità e di grande significato non solo per l’Argentina ma anche per noi tutti. Uno dei primi atti da presidente di Néstor Kirckner fu assegnare i grandi padiglioni che formavano l’enorme complesso della Esma (Scuola di Meccanica della Marina), dove i desaparecidos erano stati imprigionati e torturati, alle varie organizzazioni dei diritti umani. Un fabbricato venne affidato alla Associazione delle Madri e da loro trasformato in  un Centro cultuale, l’Ecunhi appunto. Inaugurato nell’aprile 2008, è diventato sede di laboratori ed iniziative culturali ed artistiche di ogni tipo. Le Madri non hanno  fatto di quell’edificio di così sinistra memoria, un luogo di rievocazione di torture, orrore, genocidio. Solo un piccolo corridoio è dedicato alla memoria dei figli desaparecidos: le fotografie  dei loro volti sorridenti pendono dal soffitto, illuminati dalla luce che proviene dalle finestre situate sulla parete; sulla destra del corridoio una ancor più piccola “camera nigra”, uno spazio buio che si illumina quando uno spettatore vi entra, contiene le foto e le biografie degli assassini dell’Esma. Il Centro è «la concretizzazione dell’idea delle Madri di “memoria fertile”» scrive Verrocchi. Le Madri non intendono fare di quanto è successo ai loro figli un  monumento, vogliono che la storia dei loro figli sia storia vivente. E uno spazio culturale, continua ancora Verrocchi, citando la direttrice del Centro è «naturalmente uno spazio di vita, di vita condivisa, abbracciata, in movimento […] dove una comunità ritrova e rinnova i propri legami, crea e costruisce»[6]. Molto originale  ed attuale l’idea che sottende uno dei laboratori che vengono fatti al Centro; a “Cocinando politica”  i partecipanti discutono tra di loro e con esperti di libri, politica, storia ed attualità mentre Hebe de Bonafini prepara piatti poveri della cucina argentina con ingredienti della loro tradizione. Su questo laboratorio è uscito un libro Cocinando política. Sin que se queme[7] (Cucinando politica, senza bruciarsi), – un libro molto bello anche graficamente, purtroppo non tradotto e non circolante in Italia – da cui appare chiara la consapevolezza delle Madri del valore politico di aspetti apparentemente solo quotidiani e privati e di una politica centrata sul ben vivere e sul non sfruttare nessuno, neppure la terra. Di più: esse ritengono che la cucina possa essere un bastione rivoluzionario – così è scritto nel volantino pubblicitario del laboratorio, citato nel libro – sia per i suoi aspetti di socializzazione e di costruzione di legami sia di opposizione ad una industria del cibo costosa, poco sana ed omologante.

Il libro di Verrocchi è corredato da una appendice che contiene, oltre a due documenti recentissimi, tre interviste fatte dall’autore durante un viaggio a Buenos Aires organizzato dall’Associazione Kabawil di Pescara, una associazione di sostegno alle attività delle Madri di cui l’autore ed io stessa facciamo parte. Ad essere intervistate in due di queste interviste sono due Madri: colpisce alla lettura la forza delle loro parole e la loro capacità di analisi. Concludo ricordando le parole contenute nella terza intervista, quella a Inés Vázquez, rectora dell’Università popolare delle Madres, che ricorda che l’Università delle Madri nasce dalla consapevolezza che una società nuova necessita di uomini e donne «con una formazione politica ed etica, sensibili e fantasiosi», uomini e donne  che potranno sviluppare nel tempo l’impegno e la lotta per una società migliore anche quando le Madri non ci saranno più.

 

 

 


[1] Bauducco, G.; de Bonafini, H., Hebe. La otra Mujer, Ediciones Madres de Plaza de Mayo, Buenos Aires, 2004.

[2] Padoan, D., Le pazze. Un incontro con le madri di Plaza de Mayo, Bompiani, Milano, 2005

[3] Novaro, M., La dittatura argentina (1976-1983), Carocci, Roma, 2005, p. 71.

[4] Ivi, p. 8

[5] Bianchi, L., Il nemico non abita più qui. Le Madres de Plaza de Mayo, in «Via Dogana», n. 102, 2012.

[6] Sito web dell’Ecunhi www.nuestroshijos.org.ar

[7] de Bonafini, H., Cocinando politica. Sin que se queme, Ediciones Madres de Plaza de Mayo, Buenos Aires, 2010.

 

Category: Donne, lavoro, femminismi, Osservatorio America Latina

About Letizia Bianchi: Letizia Bianchi ha insegnato Sociologia della famiglia all’Università di Bologna. è soprattutto una maestra: il suo pensiero si articola nello scambio con le donne e gli uomini con cui insegna. Ha pubblicato articoli e saggi sul tema della relazione di cura. Tra questi ricordiamo A casa con sostegno, Franco Angeli, Milano 2001; Cura familiare, cura professionale, in G. Colombo, E. Cocever, L. Bianchi, Il lavoro di cura, Roma 2004. Più recentemente ha lavorato sulla questione della socializzazione della maternità e ha pubblicato: intervista con Giannina Longobardi a “Una città” n. 183, aprile 2011 Le tombe vuote. Sulle madri di Plaza de Mayo ha scritto anche un articolo per “Via Dogana”, n. 202, settembre 2012, Il nemico non abita più qua. Le madri di Piazza di Maggio. In un testo del 2001 in un covegno dal titolo "Le maestre e il professore" a cura di Vito Cosentino e Guido Armellini ha scritto di se" Io sono un professore ma è tutta la vita che tento di essere una docente e da sempre sono alla ricerca di maestre da cui imparare"

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  1. […] comparsa sul quotidiano il manifesto lo scorso 2 luglio a firma di Alessandra Pigliaru e la prefazione al libro comparsa il 4 agosto sull’edizione web dello storico periodico Inchiesta a firma di Letizia […]

  2. […] libro a firma di Alessandra Pigliaru comparsa sul quotidiano il manifesto del 2 luglio scorso e la prefazione al testo di Letizia […]

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