Il progetto “Yellow Submarine” coordinato da Ilaria Capua (One Healt Center) e Fabiola Gianotti (Cern)
1.Il sottomarino giallo porta fortuna.
Mia figlia Saveria, docente di sociologia della cultura a Bologna, mi ha segnalato questa iniziativa “Yellow submarin” tutta al femminile. Nel 1967 ero a New York per studiare modelli matematici con Lazarsfeld alla Columbia University e partecipai alla più importante marcia per la pace di quella città. la marcia andava da Central Park al Palazzo dell’ONU ed era aperta da Martin Luther King [sarà ucciso l’anno successivo] e dai docenti in toga della Columbia. Davanti a me, mentre sfilava la lunga marcia di 300.000 persone, c’era un piccolo carro allegorico su di un’auto: l’inconfondibile Sottomarino giallo con relativa musica dei Beatles che usciva dall’ altoparlante. Ho un bellissimo ricordo del Sottomarino giallo e sono sicuro che porterà fortuna a Ilaria Capua e Fabiola Gianotti.
2. Viviana Kasam : Controvento. Ripartire dall’intelligenza delle donne
Le donne sono state escluse dalle task force per la ricostruzione post-Covid?
Senza lamentarsi pubblicamente, senza inviare petizioni, senza rilasciare interviste polemiche, le due più note scienziate italiane, Ilaria Capua, direttrice del One Health Center of Excellence dell’Università della Florida, e Fabiola Gianotti, direttrice generale del Cern di Ginevra, hanno deciso di crearselo da sé un comitato prestigioso e autorevole, scegliendo fior da fiore le migliori esperte internazionali – ma nel gruppo c’è anche un 30 % di uomini: “guardiamo alla competenza, non al genere” spiega Capua. E in questa fase le competenze prioritarie sono l’ottica e l’esperienza femminile fatta di buon senso, partecipazione, interconnessione, pragmatismo: fattori fondamentali per trovare soluzioni innovative.
L’hanno battezzato Yellow Submarine, il loro progetto, con l’ironia e la leggerezza che è la cifra delle donne intelligenti. “Durante il Covid ci siamo sentite come dentro un sottomarino, ci incontravamo su Zoom, strette in una stanza virtuale, parlando lingue differenti e analizzando i problemi da prospettive diverse” ha raccontato Ilaria Capua a Giulia Belardelli del Huffington Post.
Yellow Submarine parte da un’idea pragmatica ma innovativa. Quella di “fotografare” il virus in tutte le sue manifestazioni per comprenderne il meccanismo d’azione, prima di proporre soluzioni che, al momento, non possono essere basate sulle conoscenze concrete, che sono troppo frammentarie e scoordinate. E dunque, raccogliere, standardizzare e analizzare le montagne di dati generati in tutto il mondo durante la pandemia, con la straordinaria potenza di calcolo del Cern, che ha messo a disposizione la piattaforma Zenobo, un archivio open access al cui interno verrà sviluppata un’area dedicata al Covid. Qui sarà possibile caricare vari tipi di dati: sia quelli raccolti in modo specifico da ospedali, istituzioni e persone, sia quelli raccolti con altre finalità, per esempio relativi a inquinamento, piogge, mobilità, per correlare i tracciamenti ai dati epidemiologici.
“Ma in questo mare di dati si rischia di annegare, soprattutto perché non sono stati definiti degli standard condivisi per il rilevamento” spiega Antonietta Mira, direttore del laboratorio di Data Science dell’Università della Svizzera italiana e professore di statistica all’Università dell’Insubria, coinvolta nel progetto Yellow Submarine. “Per esempio, i protocolli di somministrazione dei tamponi e il conteggio dei positivi varia da Paese a Paese e persino da ospedale a ospedale, e quindi i risultati non sono confrontabili; i decessi per Covid non sempre sono stati distinti dai decessi con Covid e ci sono distorsioni legate ai tempi di raccolta dei dati”. Insomma, la foto è sfocata: milioni di pixel ma non armonizzati.
Come arrivare a una immagine nitida e ben definita? Cinque le linee di ricerca stabilite con l’obiettivo di affrontare future crisi sanitarie con conoscenza di causa. 1. Cambiamento climatico e il rapporto tra inquinamento e diffusione del Covid. 2. Natura e resilienza, ovvero come la natura ha reagito al lockdown -lo abbiamo visto tutti, i mari di nuovo azzurri, i delfini nei porti, il cielo pulito, persino le lucciole a Roma. 3. Le differenze di genere -perché la malattia ha colpito uomini e donne con percentuali e manifestazioni diverse (finalmente se ne parla: la medicina di precisione e in particolare la medicina di genere è la bussola verso il futuro); 4. Sorveglianza degli animali sia per il loro ruolo nella diffusione del virus sia come possibili alleati e sentinelle delle malattie; 5. il ruolo della vaccinazione antiinfluenzale nel decorso dei pazienti che l’avevano fatta rispetto ai non vaccinati -un altro indizio importante di cui poco si è sentito parlare.
Del team fanno parte esperte ed esperti in matematica, fisica, economia, statistica, ingegneria, medicina, veterinaria, agronomia, climatologia: è un gruppo molto eterogeneo che si è creato spontaneamente, perché il Covid-19 sta fungendo da acceleratore di interdisciplinarietà. È la fine della scienza settorializzata e si sta tornando finalmente a una visione leonardesca della conoscenza, che è umanistica e scientifica insieme, tiene conto non solo della persona nella sua interezza psicofisica, ma anche dell’ambiente e delle sue interazioni con l’umanità. Il Covid, come ho già scritto su queste pagine, è stato un hacker, che ha scardinato il sistema per mostrarne le debolezze e non si può ricostruire senza tenerne conto.
Yellow Submarine è un progetto rivoluzionario perché inserisce in un problema soprattutto sanitario la capacità computazionale, ovvero l’organizzazione e la strutturazione dei dati.
Un’altra novità è che sia il gruppo che la piattaforma di lavoro sono open, ovvero chiunque può collaborare, a differenza dei comitati chiusi sui quali si appoggiano le istituzioni. Finalmente una modalità da Terzo Millennio, a rete, orizzontale e non gestita dall’alto: la modernità tecnologica e intelligente contro i vecchi sistemi che hanno prodotto il degrado che ha aperto la strada al Covid, lo sguardo femminile dell’interdipendenza contro il culto maschile della piramide.
È una visione aperta a tutte le componenti positive della società. Il gruppo, per fare un esempio, sta predisponendo un progetto con Ilaria Borletti Buitoni e il Fondo Ambiente Italiano, per studiare in alcune proprietà del Fai come la natura si stia risvegliando proprio grazie alla diminuzione dell’inquinamento. Insetti, piante, animali selvatici possono essere indicatori preziosi, se si è consapevoli del ruolo che l’ambiente gioca sul benessere e sulla salute e anche sul sistema immunitario, che è la prima barriera contro i virus. Interdipendenza, potrebbe essere la parola chiave del progetto Yellow Submarine: dell’umanità con la natura, con le foreste che stiamo distruggendo, con gli animali selvatici che privati del loro habitat naturale vengono in contatto con noi diffondendo nuove malattie, dei mari che sono la fonte della nostra vita e che invece di amare e rispettare utilizziamo come discariche.
L’obiettivo delle scienziate non è quello di fornire una ricetta universale per risolvere i problemi sanitari, economici e sociali causati dal Covid. Ma di mettere a disposizione dati strutturati e modelli per analizzarli, che consentano via via di elaborare nuove soluzioni basate su informazioni reali e conoscenze interdisciplinari, non su supposizioni. Ilaria Capua lo chiama un “progetto trasformazionale”, flessibile, perché continuerà a cambiare mano a mano che nuovi dati si renderanno disponibili, dalla fase 2 e forse dalla 3 e poi ancora dalle successive. Perché la soluzione non può essere statica, ma deve adattarsi al decorso della pandemia, alle incognite che ancora presenta e anche alle caratteristiche territoriali, climatiche e genetiche degli individui. Seguendo una nuova logica, quella che lo scrittore Alessandro Baricco definisce tipica dei giocatori di videogames, abituati a provare diverse strategie e pronti a modificarle in tempo reale nel caso non si dimostrino vincenti.
3. Un estratto del libro ” Il dopo” di Ilaria Capua (Mondadori 2020)
Diffondiamo da il corriere .it un estratto tratto dal nuovo libro di Ilaria Capua [nella foto] Il dopo. Secondo la scienziata la comparsa di questo coronavirus (Sars-CoV-2) si può considerare uno stress test in grado di misurare la fragilità del nostro sistema.
La vita ci cambia. Prima e dopo un viaggio non siamo le stesse persone. Prima e dopo una nascita, un lutto, un evento significativo nemmeno. È come se fossimo jeep che affrontano intemperie, guadano fiumi, si insabbiano, rischiano di rimanere bloccate dal fango. Il parabrezza subisce l’attacco di rami, sassi, del vento e della pioggia, le ruote si bucano, si sostituiscono, si rigonfiano: la jeep riparte, ma quando lo fa non è la stessa automobile. Quando noi ripartiamo, non siamo le stesse persone. Le pandemie sono eventi catastrofici, ma sono anche degli aggiustatori, dei rimodellatori sociali: obliterando il passato, offrono lo spazio e la flessibilità per far entrare il nuovo. Questo «nuovo» tanto decantato — e tanto spaventoso al contempo — è il futuro al quale stiamo andando incontro.
Resistere sarebbe assurdo, inutile: tanto quanto uscire senza ombrello sotto il temporale, aspettandosi di non bagnarsi.Dobbiamo acquisire l’atteggiamento inverso. Uno dei miei motti è «Every cloud has a silver lining»: ogni nuvola ha una cornice d’argento. Anche la pandemia. Forse perché è un nuvolone davvero gigantesco, dagli innumerevoli strati, di bordi d’argento ne vedo parecchi.
La potenza della biodiversità
All’inizio degli anni Venti del Novecento alcune aziende piemontesi di pellicceria importarono dal Sudamerica le nutrie, roditori vegetariani e amanti dell’acqua con una straordinaria capacità di adattamento e notevoli potenzialità riproduttive. Quando il mercato delle pellicce di nutria entrò in crisi, invece di sostenere i costi di abbattimento degli animali ancora presenti negli allevamenti, questi lungimiranti imprenditori decisero di liberarli. «Che bello, degli animali restituiti alla loro libertà!» penseranno i più. Sarebbe stato meglio, però, liberare le nutrie nel loro ambiente, ovvero in Sudamerica. In Italia la nutria non era prevista dalla natura. Senza predatori, ha colonizzato numerosi ambienti naturali e si è diffusa in tutto il Centro e il Nord. Essendo molto vorace, è tuttora una minaccia per i pesci e le coltivazioni, oltre che un potenziale diffusore di leptospirosi. Abbiamo capito sulla nostra pelle cosa può accadere se si mescolano specie provenienti da continenti diversi. Mi piacerebbe che questa consapevolezza non ci portasse solo a finanziare una delle varie associazioni per la tutela del pangolino in estinzione: immagino che da domani i loro siti Internet saranno impallati da richieste di informazioni! Il trovarci faccia a faccia con un virus nuovo, proveniente da una foresta asiatica, passato per due animali che non avrebbero mai dovuto trovarsi nello stesso posto, e diffusosi su scala globale a una velocità insostenibile anche per l’uomo, ci costringe a fare i conti con il nostro ruolo sulla Terra. Che deve necessariamente evolversi da quello di invasore a quello di custode del pianeta e dei suoi equilibri. Volenti o nolenti, infatti, siamo noi la specie che ha la capacità di comprendere i meccanismi che regolano la natura e, di conseguenza, ne ha la responsabilità. Conoscere e, quindi, tutelare la biodiversità deve essere uno dei nostri compiti primari, per almeno due ragioni: innanzitutto per proteggerci dai «pericoli» che essa cela (ovvero i patogeni a noi sconosciuti che albergano in tutte le specie animali); in secondo luogo, perché la biodiversità è una ricchezza straordinaria anche in termini di soluzioni agli stessi pericoli che genera.
Come sa chiunque sia andato per funghi, la flora produce sostanze estremamente potenti, nocive e psicotrope: pensiamo all’acido lisergico, per esempio, alla base dell’LSD, alle foglie di coca oppure alla Banisteriopsis caapi, le cui foglie, mescolate a quelle della Psychotria viridis, servono per preparare l’ayahuasca, un infuso psichedelico in uso presso i popoli amazzonici con scopi rituali. Ma le piante abbondano anche di sostanze benefiche e curative per l’uomo. Sono millenni che la farmacologia attinge da quel vivaio praticamente infinito che è la natura. Tuttora l’uomo si cura con farmaci derivati da erbe e radici: penso all’aspirina, che proviene originariamente dalla corteccia del salice, alla digitale, un farmaco per il cuore, che viene da un fiore, la Digitalis purpurea, o all’Eurartesim®, un farmaco di nuova generazione contro la malaria il cui principio attivo è tratto dalla Artemisia annua. Parte della ricerca di nuovi farmaci prende avvio proprio dall’analisi delle piante «parenti» di quelle in uso per la cura di determinate patologie: è anche questo uno sfruttamento della biodiversità, senza dubbio, ma può essere guidato, delicato, condotto con criterio, senza generare squilibri né alterazioni. Lo vedo, piuttosto, come un modo per apprendere dalla natura.
La natura c’è
Con il lockdown, è come se la natura si fosse risvegliata e ripresa i suoi spazi — spazi che, prima, le erano preclusi. A Odisha, in India, approfittando dell’assenza dei bagnanti, migliaia di tartarughe sono tornate a deporre uova sulla spiaggia. Grazie allo stop imposto a traghetti e imbarcazioni, nel porto di Cagliari sono tornati i delfini. A Madrid si sono avvistati pavoni, a Barcellona cinghiali selvatici, a Nara (Giappone) cervi selvatici, procioni a San Felipe (Panamá), tacchini selvatici a Oakland (California), scimmie selvatiche a Lopburi (Thailandia). Significherà pure qualcosa! Confinarci in casa, poi, pare avere effetti positivi non solo nella lotta al virus, ma anche in quella contro l’inquinamento. L’acqua di Venezia è pulita e trasparente. L’osservatorio della NASA ha sottolineato come sia bastata qualche settimana di ritiro della specie umana per ridurre in modo drastico il problema considerato praticamente irrisolvibile (oltre che gravissimo) dell’inquinamento cinese. La stessa cosa vale per la pianura padana: la missione Copernicus Sentinel-5P dell’Agenzia spaziale europea ha rivelato un significativo calo dell’inquinamento atmosferico, in particolare delle emissioni di diossido di azoto. Lo smog è calato anche in India, al punto che, dopo trent’anni, gli abitanti del Punjab sono tornati a vedere la catena himalayana, a duecento chilometri di distanza. La pandemia sta facendo prendere una boccata d’ossigeno al pianeta Terra. Questo lo trovo bellissimo. Madre Natura si sta risvegliando: è come se stesse sbadigliando e stiracchiandosi. Mi auguro che non lo dimenticheremo. È tempo, piuttosto, di lasciar andare ben altro: la nostra attitudine a colonizzare, infestare, inquinare e distruggere. Quella sì, che è controproducente.
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