Anna Rossi Doria, la lunga marcia della storia delle donne
È morta il 15 febbraio 2017 a 79 anni la storica e femminista Anna Rossi Doria, poco tempo fa era scomparso suo marito Claudio Pavone con cui aveva formato un forte sodalizio di studiosi. Figlia di Manlio Rossi-Doria, Anna (classe 1938) ha insegnato storia contemporanea all’università romana di Tor Vergata. Come studiosa si era occupata del movimento contadino meridionale nel secondo dopoguerra e della storia politica delle donne nel XIX e XX secolo, in particolare aveva seguito il suffragismo anglosassone e il voto alle donne in Italia. Il direttore di questa rivista la ricorda quando, insieme ad Adele Pesce, la vedeva con Claudio Pavone a Formia nella casa di Vittorio Foa e Sesa Tatò. Un mondo di sinistra. Per ricordarla pubblichiamo questo suo ricordo scritto da Vinzia Fiorino su Il Manifesto del 16 febbraio 2017
C’è una foto sui social network che la ritrae allegra e informale in un corteo femminista a Roma negli anni Settanta; le sono accanto Alessandra Bocchetti, Rossana Rossanda e Maria Luisa Boccia. Sullo sfondo, mosso dal vento, uno striscione ci lascia intravedere le parole «coscienza femminista». Sarà quella una stagione cruciale nella vita di Anna Rossi-Doria, che più tardi, studiosa anche di Hannah Arendt, non esiterà a definire un periodo di «felicità pubblica». Di quella stagione amava ricordare in modo particolare il suo impegno nei corsi per e con le lavoratrici e i lavoratori – le celebri «150 ore» – e gli insegnamenti da lei tenuti al centro Culturale Virginia Woolf – Università delle donne, fondato a Roma nel 1979.
Nel tempo Anna Rossi-Doria consolida l’interesse e l’impegno nella ricerca scientifica: farà parte infatti delle redazioni di due importanti riviste di storia contemporanea- «Movimento operaio e socialista» e «Passato e Presente» – sarà poi attiva presso l’Istituto nazionale e romano di storia della Resistenza, quindi docente di storia delle donne e di storia contemporanea nelle Università della Calabria, di Bologna e infine di Roma Tor Vergata.
La transizione dall’impegno femminista alla ricerca scientifica nel campo della storia delle donne è certamente il capitolo principale e più interessante della sua biografia intellettuale. Come spesso è accaduto a chi per primo si è addentrato in ambiti storiografici inesplorati, la curiosità di restituire figure del passato altrimenti destinate all’oblio ha rappresentato anche per lei una spinta molto forte. Le donne dei movimenti suffragisti – le suffragiste e non già le suffragette, come amava ribadire perchè questo secondo termine restituiva il dileggio misogino di chi si era opposto al riconoscimento del diritto di voto alle donne – sarà il suo ambito di ricerca privilegiato. Sensibile ai temi della coscienza e dell’autonomia soggettiva, indagherà sui nessi tra rivendicazione del diritto alla rappresentanza politica e appropriazione di una nuova rappresentazione del sé, così come tra rivendicazione di un diritto universale (un universalismo a cui mai rinuncerà come orizzonte politico) e rivendicazione di una specificità di genere; prospettiva che le ha consentito di tematizzare i tanti significati che le donne hanno immesso nella costruzione della cittadinanza e della democrazia.
Negli anni ottanta, quando è forte il nesso tra femminismo e storia delle donne, Anna Rossi-Doria, oltre a far parte del Comitato di Redazione della rivista «Memoria» – prima e originalissima rivista di storia delle donne – e ad essere socia fondatrice della Società italiana delle Storiche, animerà a Modena un importante convegno (gli atti saranno pubblicati con il titolo La ricerca delle donne. Studi femministi in Italia da Rosenberg & Sellier nel 1987): vi prenderanno parte storiche, antropologhe e filosofe, ma anche psicoanaliste ed epistemologhe: la soggettività femminile è il tema centrale, lì però capace persino di rimettere in discussione l’oggettività delle scienze dure e di far intravedere una rottura epistemologica nella pratica storiografica.
Rossi-Doria, però, più incline alla letteratura che alla filosofia, non ha avuto un interesse particolare per le riflessioni teoriche; quando il dibattito internazionale sulla Gender History diviene sempre più sofisticato, teme che si sia smarrita l’antica adesione alle esperienze e alle scelte compiute dalle donne. Il suo è stato però un approccio concettualizzante: indagare sulla storia politica delle donne per lei ha significato interrogarsi su importanti nodi teorici riguardanti i sistemi giuridici, i discorsi scientifici (che hanno nella storia legittimato l’esclusione delle donne dai diritti politici), e da ultimo la possibilità di conciliare l’universalismo dei diritti umani con altre tradizioni culturali e con le specificità di genere. Questa resta la sua cifra, ben riconoscibile nella sua ultima fatica: Dare forma al silenzio. Scritti di storia politica delle donne (Viella, 2007).
Ci lascia un ultimo messaggio: attraverso il confronto con le riflessioni di Michel De Certeau e di Marc Bloch, in più luoghi ha ribadito il dovere morale di raccontare la storia di cui si è stati protagonisti: da qui alcuni suoi contributi sulla storia del femminismo, per lei ancora tutta da scrivere.
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