Nicola Sellitti: La strategia ultras, il calcio è nel caos

| 11 Ottobre 2013 | Comments (0)

 

 

 

 

 

Su segnalazione di Tiziano Rinaldini pubblichiamo gli ultimi quattro articoli di Nicola Sellitti che ha uno sguardo complesso sul mondo del calcio e degli sport

1. [da Il Manifesto 10 ottobre 2013] Le frange estreme del tifo si coalizzano e minacciano le società:  «Facciamo chiudere tutti gli stadi»

Tra curve vuote e stadi (il Milan, per volere del giudice sportivo federale, Gianpaolo Tosel) con il lucchetto e società inerti. Il calcio italiano è ormai un asset del tifo organizzato. Poco importa la fede: Juventus, Napoli, Verona, Milan. Conta la mission. Gli altri tifosi che pagano l’abbonamento in estate perdendo 2-3 partite casalinghe l’anno, i calciatori, gli amanti del pallone che vorrebbero gustarsi le partite dal divano di casa senza sentirsi discriminati da cori indegni, devono rassegnarsi. La Lega di serie A l’ha già fatto. Con lettera spedita alla Federcalcio: la norma sulla discriminazione territoriale, che ha portato alla squalifica di San Siro per il Milan, va rivista. Con limiti alla chiusura dell’impianto e sanzioni per il solo settore interessato. Subito. Altrimenti gli ultras delle squadre di serie A mettono sottosopra il campionato.

Niente dietrofront sulla norma antirazzismo voluta dall’Uefa, sarebbe una figuraccia con Platini. Sì invece ad apertura graduale verso i club, che dovrebbero «fare di più» nella battaglia contro la lingua violenta e razzista delle curve. Senza però spiegare come procedere. Anche perché una strategia non esiste. Insomma, andava fatto qualcosa per placare anche i dirigenti spaventati, accortisi solo ora dell’enorme peso degli ultrà. Questo, dopo la chiusura – e poi la squalifica – della tribuna milanista, per i cori, ripetuti in due circostanze, per i napoletani «colerosi». Con gli ultras del Napoli che durante l’ultima partita casalinga con il Livorno si auto insultavano, invitando la Federcalcio a punirli, offrendo comprensione e solidarietà ai pari grado rossoneri.

Che a loro volta, attraverso un comunicato – perché le curve curano al dettaglio la comunicazione, esprimendosi via comunicati – hanno sentitamente ringraziato i partenopei, scrivendo che «goliardia e sfottò sono motivo di sanzioni che limitano la libertà». Quella libertà che, vale la pena ricordarlo, è tale anche per gli idioti, come ricorda Vittorio Zambardino su Il Napolista, blog d’informazione d’informazione e analisi politico-calcistica. Tratto comune: la passione azzurra. Dunque, ultrà uniti. Il messaggio della curva interista a quella dei cugini «per far chiudere San Siro» contro le norme antirazzismo è una nitida polaroid del potere del tifo. Saldatura tra frange anche nemiche, un patto per la tutela della mentalità. Fabio Capello fotografava la condizione del calcio di casa nostra in un seminario a Coverciano, quattro anni fa, subito ripreso dai vertici istituzionali del calcio italiano: «Purtroppo gli ultrà fanno tutto quello che vogliono. Allo stadio si può insultare tutto e tutti. Bisogna prendere una decisione da parte delle autorità e da parte dei club affinché la gente torni allo stadio e affinché gli stadi siano più accoglienti» spiegava l’attuale tecnico della Nazionale russa.

Ora, dopo anni di ingiustificati silenzi, i provvedimenti sono arrivati. A pioggia. E niente più multe. Chiuse curve delle due squadre di Roma e Milano. Con l’immagine di un Paese ormai considerato razzista all’estero. Quindi, Milan, recidivo, senza tifosi contro l’Udinese alla ripresa del campionato. E la dirigenza rossonera, sotto scacco di un gruppo non qualificato di imbecilli, cosa fa? Assieme ad altri dirigenti di serie A e alla Lega Calcio, subito chiede lo stop al principio della discriminazione territoriale, articolo 14 del Codice di disciplina dell’Uefa. Prendendosela con la Uefa. Adriano Galliani due giorni fa spiegava di capire la norma sul razzismo. Ma la discriminazione territoriale, no. Non ha udito i cori contro i napoletani durante Juventus-Milan, Galliani. E se pure ci fossero stati, l’applicazione di queste norme darebbe eccessivo potere agli ultrà.

Gli stessi che si sono presentati a Milanello pretendendo colloqui con allenatore e società per il deludente momento della squadra. Gli stessi che a Brescia costringevano alle dimissioni prima Fabio Gallo, vice di Marco Gianpaolo, poi, pochi giorni fa, lo stesso tecnico abruzzese, che ha dovuto rendere conto a ultrà inferociti, che si aggirano negli spogliatoi (con l’ok della Digos, come ha ricordato lo stesso Giampaolo) del club lombardo come fossero nel tinello di casa. Gli stessi che a Benevento, Lega Pro, hanno portato alle lacrime il capitano dei sanniti, Felice Evacuo, minacciato dopo Benevento-Nocerina, sempre via comunicato, di non farsi rivedere in città dopo aver osato salutare allo stadio i suoi ex sostenitori salernitani, poi costretto a scusarsi via video).

Insomma, per il dirigente milanista ora qualcosa va fatto per depotenziare il potere delle curve. Arriva tardi, Galliani. In attesa della modifica alle norme contro la discriminazione territoriale, le curve eserciteranno tutto il potere a disposizione contro le società. Che dovranno scendere a patti con questi scalmanati. Soluzioni, nel prossimo-medio futuro, non ce ne sono, senza cadere nella sociologia da due soldi. Se non puntando sull’educazione civica nelle scuole, per il rispetto delle regole di convivenza sociale. Troppo poco, troppo tardi per fronteggiare l’emergenza.

 

 

 

2.  Nicola Sellitti: Gli italiani dello sport russo

[11 settembre 2013, edizione cartacea di Russia Oggi]

Non solo calcio. Se Fabio Capello e Luciano Spalletti sono i più celebri tra gli allenatori del Belpaese in Russia, non mancano le esperienze di successo anche in altre discipline, come pallavolo e nuoto

 

Ferdinando De Giorgi (allenatore di una squadra di pallavolo in Russia, nella foto)

Un biglietto. Un pezzo di carta che inforca i meridiani, unendo la Puglia, per la precisione la terra del Salento, con la Siberia. Settemila chilometri e più, per fiutare la scia vincente dei tecnici italiani in Russia. “In realtà, la scia del freddo, anzi del gelo… l’anno scorso si è arrivati a meno 42 gradi. Dopo un minuto all’aria aperta, viene il mal di testa”, dice Ferdinando De Giorgi. Fefè per il microcosmo del volley, uno degli ultimi mister a essere saliti sull’aereo per l’Est.

Per lui è il secondo anno al Fakel Novyj Urengoy, club siberiano della Superliga (massima serie, al via il 26 ottobre 2013). Perché in Russia “italians do it better”, almeno in panchina.

L’Eroe dei tre mondi”. Ferdinando De Giorgi, detto Fefè, prima di sedersi in panchina, era parte della generazione dei fenomeni della pallavolo italiana che con la Nazionale vinceva tre titoli mondiali in tre continenti diversi, dal 1990 al 1998. In maglia azzurra, 330 presenze, nonostante la concorrenza di grandi palleggiatori come Fabio Vullo, Paolo Tofoli, Marco Meoni. Da allenatore, un ciclo d’oro alla guida della Lube Macerata: scudetto nel 2005/2006, poi una Coppa Cev, una Coppa Italia, una Supercoppa Italiana. Nel 2012 è chiamato a dirigere il Fakel di Novij Urengoje

Da Ezio Gamba ed Ettore Messina, a Luciano Spalletti e Fabio Capello e Daniele Bagnoli, ex commissario tecnico della Nazionale di volley russa. Una lista che comprende anche Andrea Di Nino, membro dello staff tecnico della Nazionale di nuoto della Federazione ai Giochi di Londra 2012. Ma, soprattutto, capo allenatore del progetto Adn Swim Project, primo programma europeo di allenamento per nuotatori internazionali, che comprende sette russi.

De Giorgi arriva da Lecce, Di Nino ha avviato il percorso Adn a Caserta. Il primo, quando giocava era un folletto geniale (178 cm) nel mondo dei giganti. Ha vinto tre mondiali con la Nazionale italiana tra il ’90 e il ’98. Poi, dalla rete alla panchina, scudetto in Italia con la Lube Macerata. E il grande salto russo.

“Ho vissuto sugli aerei, ma 140mila chilometri di viaggio, 210 ore in volo in pochi mesi non li avevo mai fatti”. Allena a un battito di ciglia dal Circolo Polare Artico. Nella città che ospita una delle centrali di Gazprom – proprietaria del club -, il colosso nazionale del gas. “Noi siamo l’attività ricreativa degli operai. Che non sempre vediamo al palazzetto. Qui ci sono turni trimestrali, non si può uscire per strada un anno intero, troppo freddo”.

Gli allenamenti si tengono a Mosca, poi quattro ore di volo per le gare casalinghe in Siberia. Dove De Giorgi ha trovato condizioni tecnico-economiche ideali per vincere trofei. “Il livello della pallavolo russa sale. Sono aperti a nuove conoscenze, ma custodiscono la loro tradizione. Anzi, si è guardati con sospetto se non si tiene conto del loro passato”.

 

Andrea Di Nino (allenatore di una squadra di nuoto in Russia)

Andrea Di Nino, 41 anni, è capo allenatore e direttore tecnico di Adn Swim Project, primo programma europeo di allenamento per nuotatori internazionali. Con i suoi metodi (perfezionati grazie alla collaborazione con la federazione statunitense, italiana e greca), ha portato il serbo Milorad Cavic al titolo iridato ai Mondiali di Roma 2009. E, soprattutto, il campione russo Evgeny Korotyshkin all’argento olimpico (Londra 2012) nei 100 metri farfalla, dopo il primato mondiale in vasca corta e il successo ai Mondiali di Dubai 2010. Di Nino al momento allena sette nuotatori russi

Gli inizi sono stati duri. “I russi ci chiamano perché vogliono qualcosa di diverso. Dovevo prendere le misure al ritmo aereo-partita-aereo. Saltavano gli allenamenti, così come i tempi di recupero. Ma ho provato subito a capire le potenzialità, anche umane, degli atleti”. La nostalgia sa bussare alla hall d’albergo. “Basta un salto al supermercato – ride Fefè -, dove ho trovato cibi da ogni angolo del mondo. Anche la burrata, 25 euro a vasetto”.

Per Di Nino , il filo rosso con gli atleti della Federazione si annoda nel 2008, quando inizia ad allenare il campione a rana Roman Sloudnov. A seguire, potenziali fuoriclasse delle piscine, tra cui Evgeny Korotyshkin, medaglia d’argento nei 100 metri farfalla alle Olimpiadi di Londra 2012. Per i risultati olimpici è stato premiato allenatore del 2012.

Ora assiste sette nuotatori della Federazione. “C’è attenzione dei media russi sugli italiani. Ma la differenza è segnata dai risultati”. Per lui, la Russia è toccata e fuga, tra stage in Europa e in Sudamerica. Lo zapping sulla cultura dell’Est avviene attraverso i romanzi di Nikolai Lilin (“Mi servono per provare a comprendere la psicologia dei russi”).

Ma la Russia non è solo vasca, aeroporti e alberghi. “È anche la fotografia di un Paese che alterna progetti d’eccellenza ad aree povere, specie nelle periferie suburbane. Ma apprezzo molto la volontà di far emergere attraverso lo sport (come dimostrano le Universiadi 2013 di Kazan e i Giochi invernali di Sochi 2014) un nuovo modello sociale, culturale, educativo per emancipare la popolazione”.

 

 

 

3. Nicola Sellitti: Bakunin a Napoli rifletteva sull’Unità italica

[11 luglio 2013 , edizione cartacea di Russia d’Oggi]

Nel libro Viaggio in Italia (Elèuthera), lo storico Lorenzo Pezzica raccoglie gli scritti del rivoluzionario russo che nella città partenopea trovò la sua seconda casa. Mikhail Bakunin (sopra in una foto di Nadar) è l’anarchico dissidente che amava Napoli. Seme naturale della rivoluzione, tra caffè, mare, scugnizzi. Della plebe “schiacciata dalla miseria, dalla fame, dalla malattia e dalla denutrizione”, che si sarebbe ribellata a re, padroni, borghesi e sfruttatori, preti. Una casta unita dagli interessi. A Napoli si compiva il disegno di Mikhail Bakunin con il suo anarchismo, movimento e pensiero politico, mostrato da Viaggio in Italia (Elèuthera, euro 12), raccolta di scritti sul mistico rivoluzionario russo, curata dallo storico e archivista Lorenzo Pezzica.

Al centro, la capitale del Mezzogiorno incastonata nel post Risorgimento. Bakunin raggiunse l’Italia dopo aver concordato a Londra, reduce da anni di esilio in Siberia, da dove scappò, con Marx, ancora suo alleato della Prima Internazionale, di trascinare sul fronte rivoluzionario i repubblicani compromessi con la monarchia.

Prima ancora, era scappato dall’esilio siberiano dove lo aveva spedito lo zar, percorrendo mezza Europa con la moglie Antonia Kwiatkowska. E a Napoli l’anarchico russo avrebbe voluto pure morire (invece ci resterà la sua famiglia).

Durante il suo soggiorno Bakunin analizzò le condizioni dell’Italia post-unitaria appena disegnata, tra speranze e fermenti risorgimentali. E del Mezzogiorno, segnato dal brigantaggio, tra contraddizioni sociali e divisioni.

A svelarci ogni segreto è proprio l’autore del libro, Lorenzo Pezzica.

 

D. Bakunin e Napoli. Un rapporto quasi familiare, il padre era stato in città?

R. Il padre aveva ricevuto un incarico dal governo russo, quindi venne in Italia e a Napoli. Invece lui arrivava nel 1864. L’Italia era al centro dei suoi pensieri, considerata terreno fertile per la rivoluzione. Rimase però molto deluso da Firenze. Quindi, si recò a Napoli. Una delle capitali d’Europa, dove si compirà il suo pensiero anarchico.


D. Quale fu il rapporto con Napoli?

R. Si integrò subito, come ci abitasse da anni. Con la famiglia trascorse prima del tempo a Sorrento, poi in una casa con vista sul Golfo. Voleva morire lì. Non fece in tempo, nella primavera 1876, perché era distrutto, consumato dalla sua attività, “metteva assieme pensiero e azione” come diceva Giuseppe Mazzini. A Napoli rimasero invece la moglie Antonia, che poi sposò l’internazionalista napoletano Carlo Giambuzzi, le sue figlie, tra cui Giulia Sofia, che sarebbe diventata la madre del matematico Renato Caccioppoli, e Maria, detta Marussia, studiosa di chimica, una delle prime docenti donna dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. E a Napoli fu piantato anche il seme del socialismo libertario. Tra circoli dell’Internazionale, riviste sovversive e la propaganda della rivoluzione.

 

D.Controverso il suo rapporto con Marx..

R. Si stimavano ma la rottura era dovuta alla natura del pensiero di Bakunin. Per lui la rivoluzione non doveva avvenire attraverso la dittatura del proletariato, come sosteneva Marx. Non poteva essere un’altra forma di Stato, una dittatura, a sostituire lo Stato.

 

D. Cosa apprezzava Bakunin di Napoli?

R.Innanzitutto il caffè, che doveva essere “nero come la notte, dolce come l’amore, caldo come l’inferno”. Poi adorava il cibo, il buon cibo di Napoli, il mare, gli scugnizzi. Ma il suo stile di vita non era lussuoso. Era, certo, aiutato, sostenuto dalle famiglie più ricche della città, come avveniva per altri intellettuali.

 

D. Dalla raccolta emerge un’analisi sociale del brigantaggio nell’era post-unitaria.

R.Un rivoluzionario che diventa osservatore sociale. Bakunin non analizza il fenomeno in se stesso, ma le cause. Non è un pensatore sistematico, scrive molti saggi, si sofferma sul malessere delle masse contadine. Sulla mancanza di attenzione nei loro confronti.

 

D. Nel suo scritto “La situation” (1868) invita gli italiani, per bancarotta dello Stato e l’avanzare della rivoluzione, alla giustizia, ovvero all’uguaglianza, ovvero alla libertà. Ma anche alla vendetta..

R. Non era un’incitazione alla violenza, ma una segnalazione sui problemi dell’Italia dopo l’unificazione di sette anni prima. Per esempio, se non ascoltati, soffocati dal brigantaggio, i contadini potevano prodursi in una vendetta sociale. Invece, secondo Bakunin, avrebbero dovuto essere guidati dal proletariato urbano e organizzati dalla gioventù socialista.

 

 

 

4. Nicola Sellitti: L’allenatore di basket Ettore Masina a Mosca non rimpiange l’Nba

[3 luglio 2013 Russia Oggi]

Ettore Messina, nella foto, uno dei tecnici italiani più vincenti di sempre, con campionati ed Eurolega vinti sulla panchina della Virtus Bologna e del Cska Mosca, ha redatto il diario di bordo, assieme al giornalista dell’emittente televisiva SkySport, Flavio Tranquillo, della sua esperienza americana nello staff tecnico della franchigia più famosa e glamour della Nba.


Il libro, Basket, uomini e altri pianeti (Add editore, 16 euro), racconta, tra regular season (mutilata dallo sciopero degli atleti) e i playoffs 2011/2012, sei mesi ad alta intensità ai Lakers. Con Messina consulente del capo allenatore, e amico, Mike Brown, per portare frammenti della cultura cestistica europea al servizio di Bryant e gli altri campioni losangelini. E con Mosca nel cuore.

Il rapporto con il Cska è un filo rosso che tiene unito il suo instant book dalla California. Il club russo, i dirigenti, i successi, gli ex atleti diventati amici, tra partite (tante), allenamenti (pochi), hotel extralusso, aerei, polaroid “dell’America dei sogni” per un europeo che non ha mai visitato città come Los Angeles, New York, New Orleans e altre meno memorabili (Oklahoma City, Detroit, Cleveland).

Il suo ritorno sulla panchina del Cska, alla fine del viaggio ai Lakers, era solo la logica evoluzione di un amore mai finito (il tecnico ci concede l’intervista poco dopo aver vinto gara 2 della finale della Vtb League contro il Kuban Krasnodar).


D.Coach Messina, nel libro racconta che entrando nella sede del Cska Mosca si indossa la maglietta della squadra, vedendo le immagini di Belov e altri campioni russi che vi hanno giocato. Per citarla, “un capitale sociale”. Cosa è il Cska per lei e per i tifosi russi?

R. Assieme alla Virtus Bologna, è il posto migliore dove ho lavorato. Condizioni ideali, dentro e fuori dal campo. Il Cska è un modello sul come si debba fare sport. Con un’organizzazione al dettaglio che permette ad atleti, allenatori e dirigenti di dare il massimo per vincere. Si privilegia la logica di gruppo. Abbiamo vinto, perso, sempre insieme.

 

D. Il Cska forse è l’unica realtà europea con una struttura da franchigia Nba..

R. Funziona tutto come un orologio. Partendo, per esempio, dallo spogliatoio che sembra quello dei Los Angeles Lakers. E poi le strutture d’allenamento, l’aereo privato. Tenga conto che in Russia ogni trasferta è lunghissima, serve un charter perfetto, attrezzato, moderno. Non per il lusso ma per ridurre al minimo la fatica degli atleti, ottimizzando i tempi di recupero.

 

D.Nel libro c’è spazio per il concetto di leadership, con il tecnico che deve “sorprendere” la guida del gruppo sul parquet e fuori con sfide nuove, e con “la sudditanza involontaria” dei compagni verso il fuoriclasse. Esempi: Sasha Danilovic alla Virtus Bologna e Kobe Bryant ai Lakers. Nel suo Cska ha mai allenato un leader del genere?

R. Quando si sta assieme tanto tempo, serve proporre qualcosa di nuovo nel programma tecnico. Ripetere le stesse cose annoia, si recepisce meno. Al Cska ho avuto grandi atleti, non del livello tecnico di Kobe, ma con una grande personalità. J.R Holden, Vanterpool. Ma il leader non sempre è il più forte, anzi. Ho conosciuto e allenato atleti con un bagaglio tecnico non eccelso ma che nello spogliatoio erano ascoltatissimi. Questione di carisma, di personalità.

 

D. Dalla terrazza con vista Pacifico di LA, scriveva che in caso di ritorno in panca da head coach avrebbe preferito una città di mare. E poi è tornato a Mosca.

R.Merito del club. Sono tornato dove sono stato molto bene. Filosofia, modo di allenare, assistenti validi. Quando ho firmato, sapevo che perdevo solo Siskausas, che si ritirava. Poi sono partiti Kirilenko e Shved per la Nba. Ora abbiamo una squadra forte, abbiamo vinto il campionato e siamo messi bene nella Vtb League.


D. Più volte nel testo fa riferimento alla capitale russa, descrivendone grattacieli, ricchezza, il lusso che è diventato iperlusso. Davvero ha trovato la città così cambiata?

R. Ho visto dei picchi notevoli di ricchezza, si vede anche dallo sviluppo urbanistico della città. Certo, ci sono le contraddizioni delle megalopoli, come a New York. Solo il traffico è uguale, anzi peggiorato. Gli italiani però sono accolti davvero con calore. In giro si intravedono anche le contraddizioni dovute dalla crisi economica. Con tanta gente in difficoltà.


D.Come è stato per lei passare dal frullatore Nba, dalle tre gare in tre sere alla settimana tipo all’europea, tra campionato ed Eurolega?

R. Il ritmo delle partite è sostenuto anche in Europa. Nelle finali della Vtb League si giocano due partite in due sere, poi un giorno di riposo, altre due partite in fila, riposo ed eventuale gara 5. I ritmi serrati della Nba mi hanno aiutato molto a preparare gli atleti nei ritagli di tempo, ottimizzare il lavoro tecnico.

 

 

 

 

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Category: Culture e Religioni

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