Maria Pace Nemola: La misericordia, il perdono: Papa Francesco, Papa Benedetto XVI e … la tigre

| 20 Febbraio 2022 | Comments (0)

 

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Maria Pace Nemola: La misericordia, il perdono: Papa Francesco, Papa Benedetto XVI e … la tigre

Misericordia, perdono non sono parole strane, né neologismi venuti alla ribalta per qualche recente avvenimento, ma … MA sono parole consuete e anche che ricorrono come ricorrevano in passato spesso nei nostri discorsi, per così dire di tutti i giorni.

“Perdono” fu anche il titolo di una canzonetta di quando ero ragazzina, di tanti anni fa, anche se non all’epoca del Congresso di Vienna, ma degli anni Sessanta.

Non per screditare il ricordo di quella canzonetta, però nell’oggi, nei giorni appena passati è parola che assieme all’altra, cioè “misericordia”, è stata pronunciata e riportata nei media e anche nei social con una valenza e un significato molto profondi, come molto profondo e toccante è stato indubbiamente il sentimento di chi le ha pronunciate.

E sono parole ricorse ovviamente in passato, ma un po’ più “ad alta voce” di recente anche dai due Papi: l’ ”emerito” e quello per così dire attualmente “in servizio”.

“Dio che ha operato in voi il prodigio della misericordia …”: ecco alcune parole di Federico Borromeo rivolte all’Innominato dopo che questi gli aveva chiesto perché mai rimanesse lì con lui e non andasse da tutte le persone che si erano radunate per incontrarlo.

Papa Francesco in particolare ci ha abituati o, per così dire ri-abituati alla parola “misericordia” non solo nei suoi discorsi per così dire abituali (Angelus e udienze del mercoledì) ma anche nei documenti ufficiali. Già prima dell’inizio del Giubileo Straordinario della Misericordia e proprio in preparazione di questo aveva promulgato la Lettera Apostolica Motu Proprio “Misericordiae vultus” e poco dopo questa aveva redatto un’altra Lettera Apostolica nell’agosto del 2015 con il titolo “Mitis Judex Dominus Jesus” in occasione della revisione del diritto canonico in materia di nullità del matrimonio, dove quindi si vede che dai principi alti passa ad argomenti pur teologico-religiosi comunque a livelli di vita umana quotidiana.

La parola “Misericordia” deriva dall’unione delle parole latine “miserere + cor (cordis gen.)” quindi è avere empatia e comprensione verso problemi e/o situazioni di altri, non solo a livello razionale, ma appunto col cuore, cioè con sentimenti positivi.

Misericordia è empatia e comprensione e non è quella che in senso negativo è detta “compassione” ma … MA invece al contrario è qualcosa di completamente positivo che non ha nulla di edulcorato o di sentimentalistico, ma anzi è un sentimento forte. E poi … E POI se vista in relazione a Dio la misericordia è l’espressione più completa dell’essenza di Dio, di ciò che Dio è in quanto tale e che quindi non può non avere misericordia verso le sue creature umane; non può Egli non essere misericordioso verso di loro quindi e forse anche di più verso quelle che agiscono nel peccato. L’amore e la misericordia di Dio sono per così dire l’espressione più alta di Lui perché, se misericordioso non fosse, Dio non potrebbe essere Dio e non è un gioco di parole, cioè il Bene che proprio con la misericordia e con il perdono vince ogni male, vince anche il peccato umano e tutto il Male.

E ora è comparsa anche la parola “perdono”.

Ed ecco che risuonano di nuovo le parole del Manzoni: “Beato voi! Questo è pegno del perdono di Dio! far che possiate diventare strumento di salvezza a chi volevate esser di rovina. Dio vi benedica! Dio v’ha benedetto! …”.

Etimologicamente “perdonare” deriva dal latino “per-donare” dove il prefisso “per” è intensivo e “donare” significa naturalmente fare un dono; quindi il perdono è per così dire un dono speciale, molto grande e molto importante.

E se è difficile ed arduo parlare e ragionare di “misericordia”, ancor più complesso e problematico è ragionare e parlare sul “perdono”.

In relazione a Dio il perdono è l’atto conseguente alla sua misericordia; è la manifestazione più alta del suo Amore come ci dicono chiaramente le parole del Manzoni sopra citate.

Di recente durante la trasmissione televisiva “Che tempo che fa” Papa Francesco ha alluso a un “diritto al perdono”.

Non per contraddire, né tanto meno per correggere il Santo Padre, ma forse perché per me la parola “diritto” è sempre indissolubilmente legata e collegata alla parola “dovere” (e naturalmente vale anche viceversa) io preferisco parlare di un “diritto-dovere al perdono” e ora con umiltà dirò ciò che per me è il perdono.

A livello umano il perdono è prendersi amorevolmente per mano, chi dovrebbe dare il perdono con chi vorrebbe averlo. Prendersi amorevolmente per mano per percorrere un po’ o tanta strada insieme, la strada della vita.

Prendersi amorevolmente per mano come per dire “certo io ho fatto male” o ancora peggio “io ti ho fatto del male” ma spero che tu non per pietà ma per amore voglia fare l bene a me. E dall’altro lato “certo tu hai fatto male e mi hai fatto male, ma io non voglio farne altrettanto a te”.

E naturalmente per non cadere in un edulcorato e tanto insulso buonismo quelle parole non devono risuonare solo come parole al vento ma a loro da sottofondo e anzi ancor di più da alto rilievo devono esserci atti concreti che diano il senso a quelle stesse parole.

Tanti Papi di questi ultimi secoli hanno chiesto perdono a nome della Chiesa di volta in volta a persone o a gruppi di persone che hanno patito a causa della Chiesa e ci basti pensare a Giordano Bruno, a Galilei e … e… .

Benedetto XVI si è recato durante il suo pontificato ad Auschwitz e lì in totale silenzio ha percorso il viale che dall’ingresso del campo dove arrivavano i treni conduceva fino ai forni crematori.

Ricordo le riprese televisive che inquadravano la figura bianca del Pontefice avanzare quasi barcollante da solo con accanto neanche il suo amato segretario personale che invece camminava a distanza dietro di lui insieme con altri prelati.

In quel suo avanzare lento e quasi barcollante c’era tutta la sua angoscia di uomo anche tedesco e di Sommo Padre di tutta l’umanità o perlomeno dell’umanità credente. Nella pena di Benedetto XVI c’era più che mai tangibile quel senso del perdono come diritto-dovere o ancor più come dovere-diritto e anche se da solo sembrava, o almeno sembrava a me tenere per mano da un lato le vittime e dall’altro i carnefici in un atto supremo di amore per entrambi, naturalmente innanzitutto per le vittime, ma non di meno per gli altri non assolvendoli questi, ma considerandoli “sventurati” proprio come il grande Manzoni dice di Gertrude.

Certo ci sono differenze tra queste due persone-Papi e sono differenze non certo minime, ma anzi notevoli, che comunque non inficiano le due persone, ma anzi le valorizzano.

E questo capita perché ciascuno dei due, prima di essere Papa è persona che ha avuto un’infanzia, un’adolescenza, una giovinezza e in generale una vita “sua”. Nell’incontrare, per così dire queste due persone, non si può prescindere da quel concetto-verità.

Benedetto XVI bavarese con quella profondissima e piissima devozione religiosa caratteristica da sempre degli abitanti della Baviera, isola del cattolicesimo nella terra germanica patria e culla del luteranesimo. Infatti a parte “sforamenti” nel confinante Baden-Württemberg e in qualche altra isoletta strana un po’ più in là come la zona intorno a Dresda una gran parte della popolazione tedesca è di religione evangelico-luterana.

Per ritornare ai Bavaresi, la loro religiosità è davvero profonda proprio perché profondamente RI-radicata appunto dai tempi lontani di Martin Luther; è una religiosità molto sentita e intrecciata nella vita quotidiana anche in tempi postmoderni, a differenza della religiosità dei vicini Austriaci nei quali è più pomposa (e chissà che non giochi ancora il ricordo degli Asburgo sovrani anche della Spagna) e come era sentita, in parte lo è ancora come “instrumentum regni”. Papa Benedetto ha portato questa sua “bavaresità” in Vaticano, anche quando, prima di essere Pontefice, era stato da cardinale Prefetto della Congregazione della Fede. Infatti in una sua biografia di parecchi anni fa parla dei sentimenti provati arrivando a Roma e cita una storia-leggenda bavarese riguardo a San Emmerano che dovendo andare a Roma per un pellegrinaggio, si portò dietro un orso (animale “di casa” nei boschi bavaresi) perché lo accompagnasse durante il lungo cammino e intanto lo aiutasse a portare il suo fardello di viaggiatore. Joseph Ratzinger ricorda che San Emmerano quando arrivò a Roma lasciò libero il suo amico orso e gli tolse dalla mano, pardon dalla zampa il fardello. “Io invece … “ e Ratzinger non va avanti nel discorso perché era chiaro che lui arrivando a Roma, non era più libero come l’orso nei boschi, né liberato come da San Emmerano ma avrebbe dovuto portare un fardello ben più pesante di quello del pellegrino Emmerano.

E Papa Francesco? Di origine italiana, si sa, ha vissuto in Argentina e dell’America Latina ne ha assorbito tutte le caratteristiche di pensiero e di sentimenti.

Una religiosità la sua molto diversa da quella bavarese, legata anche a una teatralità caratteristica di quella gente; un’umanità quella di Papa Francesco diversa da quella di Papa Benedetto, legata molto anche alle istanze sociali, perché è stato così a lungo a contatto con il mondo socialmente diseredato delle favelas, ben diverso dall’ambiente non solo economicamente, ma anche culturalmente di prim’ordine non solo della Hauptstadt Monaco, ma anche dei paesini bavaresi, quelli con le casette con i tetti spioventi come quelle che disegnano i bambini, dove la chiesa era per lo più posta nella parte più alta (e quindi più evidente alla vista) sì, perché la Baviera tranne nella parte verso nord (Hessen e Sachsen) dove ci sono abbastanza zone pianeggianti, ha ondulazioni più o meno evidenti.

Se vogliamo non solo come credenti, ma anche semplicemente (!) come esseri umani credere nel cosiddetto libero arbitrio, dobbiamo ovviamente rifiutare il concetto di una determinazione assoluta dei comportamenti umani in dipendenza dai luoghi, dai tempi, dagli ambienti in cui viviamo. Negare una determinazione assoluta però d’altro lato non significa ignorare d’emblée che quegli elementi appena citati non giochino un ruolo nella formazione della persona.

Determinati no e mai, ma in parte condizionati, questo sì e anche Papa Benedetto e Papa Francesco non si può negare che lo siano stati.

E ora … E ORA la tigre!

E perché mai la tigre?

Sì perché con un balzo degno di questo grande felino dalle Mura Vaticane “voliamo” alla Muraglia Cinese là dove pochi giorni fa in occasione del Capodanno ha avuto inizio l’anno dedicato alla Tigre.

Non conosco quasi nulla della civiltà, della filosofia, del pensiero religioso cinesi e scarse sono anche le mie conoscenze zootecniche del più grande felino, ma mi piace comunque concludere il mio scritto con questo appunto.

La sua nomea è di essere un animale feroce, ma, anche se mansueta non lo è, bisogna sottolineare piuttosto che è un “predatore alfa”, ovvero si colloca all’apice della “catena alimentare” non avendo predatori in natura, a parte l’uomo.

E se non sono giunte al mio orecchio notizie fasulle, nella passata cultura folkloristica asiatica è stata considerata animale sacro da ammirare e venerare e si riteneva anche che fosse uno spirito benigno che proteggesse gli uomini dai demoni. È stata immaginata anche come il dio dell’oltretomba e il custode dei morti per cui era usanza deporre statuette raffiguranti tigri nei mausolei dei nobili, ritenendo appunto che la tigre potesse vegliare sul loro riposo eterno.

Indubbiamente la bellezza maestosa di questo grande animale non può non suscitare che stupore ed ammirazione e la sua forza ben incarna lo spirito per raggiungere e fare progressi.

Un’antica leggenda narra che una madre umana, avendo avuto il figlio divorato da una tigre, chiese a un mandarino di processare la tigre e che non solo non si oppose, ma accettò il giudizio-sentenza del mandarino che decretò che dovesse riparare, prendendo il posto del figlio deceduto e assistendo la donna. La tigre, narra la leggenda, cominciò allora a portare il cibo alla donna e anche altro di cui aveva bisogno, tanto che la donna cominciò ad amare la tigre come un nuovo figlio.

Ci sono tante altre leggende nelle quali spicca non solo la forza fisica e l’agilità di questo animale ma anche la sua intelligenza e la sua forza morale.

In questo momento, dopo tutti i giorni, tutti i mesi, gli anni e sono già due (!) di pandemia mi pare più che mai benaugurante anche per chi cinese non è che questo sia l’anno della Tigre perché per ridurre tutto quel negativo che ci ha dato la pandemia sarebbe bene che noi umani adottassimo quegli atteggiamenti di forza fisica e morale, di coraggio e di intelligenza caratteristici di questo bellissimo animale. E anche la sua eleganza e bellezza ci dovrebbero insegnare che bellezza ed eleganza sono valori più che positivi che ci possono far emergere dal pantano delle disgrazie.

Insomma accanto ai profondi insegnamenti del Papa emerito e del Papa “in servizio” non possiamo non pensare anche a dei valori “tigreschi” per noi.

E se il simbolo è qualcosa di astratto ma anche contemporaneamente di concreto (astratto perché è un concetto che rimanda a qualcos’altro però di tangibile) quanto mai la tigre è un simbolo grande e bello.

E così tra storia e leggende vada avanti la nostra vita!

Category: Arte e Poesia, Culture e Religioni, Papa Francesco

About Maria Pace Nemola: Nata a Torino nel 1949, dopo gli studi classici laurea in Filosofia con lode discutendo una tesi di filosofia teoretica sulla "Disputa dell'ateismo" di J.G. Fichte con il professor Luigi Pareyson, dopo soggiorni di studio in Germania. Insegnante di ruolo, si è occupata di orientamento scolastico come consulente della Fondazione Agnelli. Trasferitasi a Monaco di Baviera per il lavoro del marito, vi ha svolto attività politica nel Partito Cristiano-Sociale (CSU), culminata nell'elezione nel consiglio di circoscrizione di München-Bogenhausen. Dopo il rientro a Torino, attività politica nei Popolari-UDEUR, come consulente in alcune Commissioni del Consiglio Comunale, candidata nel 2005 per il Consiglio Regionale, nel 2006 per il Senato e per il Consiglio Comunale. Ha collaborato all’associazione “Altera – Generatore di pensieri in movimento”, (soci fondatori anche i professori Vattimo e Tranfaglia dell'Università di Torino). Fa parte del Centro Studi Filosofico-religiosi "Luigi Pareyson" di Torino, partecipandone alle attività. A Torino ha partecipato alle attività culturali della Comunità Ebraica e ora a Biella, a quelle della Comunità Ebraica di Vercelli; ha studiato anche i primi elementi dell’yddish. Master biennale in Bioetica presso la Facoltà Teologica di Torino discutendo due tesi: "L'uomo, corda tesa tra finito e infinito" e “Bioetica Animale. 3001, l’Arca di Noè nello spazio” valutate “magna cum laude”. Successivamente Master biennale “Scienza e Fede” e quattro Master di Bioetica Avanzata. Oltre che di filosofia, si interessa di psicologia, etologia e musica. Coltiva il suo amore per il cane inteso proprio come lo “dipinge” Omero in Argo, anche come allevatrice di Schnauzer con l’affisso “vom Silbernen Strahl”. Trasferitasi a Biella, è attiva nell' Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti, di cui il marito è socio, e nell'associazione Voci Di Donne, e fa ancora parte dell'associazione Donne Per La Difesa Della Società Civile di Torino.

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