Gianni Sofri: Pier Cesare Bori a un anno dalla sua morte
Un segno della sua serietà è dato dalla precocegno della sua serietà è dato dalla precoce simpatia per lo studio delle lingue che lo accompagnerà tu la vita e che sarà re altre, sempre cercate nella loro originaria espressione linguistica. Pier Cesare comincia a 16 anni andando a Londra adio delle lingue che lo accompagnerà tutta la vita e che sarà una parte indissolubile
della sua curiosità per le culture altre, sempre cercate nella loro originaria espressione linguistica. Pier Cesare comincia a 16 anni andando a Londra aUn segno della sua serietà è dato dalla precoce simpatia per lo studio delle lingue che lo accompagnerà tutta la vita e che sarà una parte indi 1. Il 4 novembre del 1912 è morto a Bologna, all’età di 75 anni, Pier Cesare Bori. Era nato a Casale Monferrato nel 1937 e vi aveva vissuto quasi per intero i suoi primi vent’anni. Dopo di allora, salvo brevi ritorni a Casale per ragioni soprattutto famigliari, aveva vissuto in varie città d’Italia, prevalentemente a Roma e poi, definitivamente, a Bologna. Ma i più di cinquant’anni in cui aveva vissuto lontano da Casale non erano stati sufficienti a proteggerlo. A Casale, come tutti sanno, c’era (e c’è) l’Eternit, e c’è l’amianto. Due anni e mezzo fa, anche Pier Cesare, come centinaia e centinaia di persone, è stato colpito dal mesotelioma pleurico, che lo ha condotto alla morte dopo lunghe sofferenze affrontate con vero stoicismo. Ho voluto ricordarlo perché non si tratta di un problema risolto. In un paese della Liguria, quest’estate, ho visto una fabbrica di amianto e un magazzino dal quale partono nelle varie direzioni grandi carichi di questo materiale che continua ad uccidere.
2. Chi era Pier Cesare Bori? Impareremo a conoscerlo nell’ambito di questa chiacchierata, e non sarà facile, perché è stato un uomo di grandi e numerose esperienze. Provvisoriamente, possiamo cominciare dicendo che era un uomo di religione, non solo in quanto studioso delle religioni, ma in quanto curioso ricercatore di ogni esperienza religiosa che avesse qualcosa da insegnare alla vita degli uomini. Era un cultore della tolleranza e del pacifismo, amava stare con gli umili, si trattasse dei carcerati o dei più poveri della terra. Era un uomo dalle molte facce, tenute insieme, peraltro, da una grande coerenza. Era, non si potrebbe mai negarlo, uno studioso accademico, molto colto, abile lettore, curatore, traduttore. Ma era anche, come studioso, il contrario di un freddo raccoglitore di testi: tanto era, invece, l’entusiasmo con cui si gettava in ogni ricerca. Poco prima che morisse, un amico gli aveva scritto, parlando dei suoi molti studi pubblicati: “a rivederli tutti insieme fa impressione come tu ti sia tuffato con l’entusiasmo di un primo amore su ogni stimolo culturale incontrato per strada. Per te, veramente, le mezze stagioni non sono scomparse da poco, come nelle chiacchiere da bar: semplicemente, non sono mai esistite.”
Già, i suoi scritti. Una bibliografia che è difficile considerare assolutamente completa, gliene assegna 195, su una grande quantità di temi e in più lingue.Difficile decidere, in un luogo come questo, di quali di essi parlare. Ma Pier Cesare ci ha voluti aiutare. Quando era già gravemente malato e ricoverato in un hospice, negli ultimi mesi e giorni della sua vita, ha sentito il bisogno di raccontarla agli amici in un prezioso libretto, molto emozionante, che si intitola “CV”, e cioè “Curriculum Vitae” quasi a voler sottolineare la volontà di raccontare velocemente, alludendo alla brevità schematica dei curricula, ma anche all’ironia e alla dolcezza con cui aveva voluto temperare la serietà del suo racconto (che era poi la sua serietà di sempre).
Ma non ci si inganni: Bori non era soltanto un accademico importante, né soltanto un ricercatore appassionato. Era anche un uomo capace di divertimento e soprattutto di ironia. Lo è stato anche, in più punti, in questo libro che pure doveva essere una sorta di addio, o di racconto finale. Nel quale aveva anche trovato lo spirito e il coraggio di raccontare che per tutta la sua vita aveva amato due grandi musical come Un americano a Parigi e Cantando sotto la pioggia.
Aveva anche lasciato indicazioni sul suo funerale, che si è svolto, sì, nella cappella un cui vengono celebrati in genere i professori universitari, ma in un’atmosfera assai diversa: poche parole, dette soprattutto dai famigliari per ricordare Casale Monferrato e l’amianto, e poi dieci minuti di silenzio, che non significavano solo, né tanto, il rifiuto della retorica e del rumore di fondo che accompagna le nostre vite, quanto volevano essere, nella bellezza del silenzio, un’ultima affettuosa cerimonia quacchera (e tuttavia Bori aveva anche ringraziato a priori chiunque avesse voluto pregare per lui secondo la propria religione).
La Società degli Amici, o più popolarmente i Quaccheri, erano stati la religione che più aveva affascinato Bori negli ultimi anni. E tuttavia, egli non aveva mai negato a una religione sinceramente vissuta, curiosità e interesse e rispetto: quasi volesse mettere in pratica una vecchia idea di Gandhi secondo cui le religioni sono tutti rami di uno stesso albero. Gli studi di Bori lo avevano portato a interessarsi, oltre che del cristianesimo, su cui tornerò, di una parte almeno della cultura cinese (non tanto Confucio, quanto il Taoismo e Mencio), molto dell’Islam dei secoli suoi migliori, del mondo evangelico e protestante, delle Upanisad e della Bhagavadgita e del buddismo. Ma è probabile che nella sua formazione avessero giocato anche alcuni “eretici” italiani moderni come Piero Martinetti.
Chi ha conosciuto Bori negli ultimi anni tende a identificarlo totalmente (e questo giudizio non può definirsi ingiusto) con un mondo fatto di attraversamenti e incontri fra culture, religioni, etiche diverse. Un mondo tuttavia non assimilabile ai molti e spesso velleitari tentativi di ecumenismo e di sintesi. Bori si muoveva nel totale rispetto dei punti di partenza. “Non si può parlare – ha scritto ancora di recente – se non in base alla propria cultura”. Un segno della sua serietà è dato dalla precoce simpatia per lo studio delle lingue che lo accompagnerà tutta la vita e che sarà una parte indissolubile della sua curiosità per le culture altre, sempre cercate nella loro originaria espressione linguistica. Pier Cesare comincia a 16 anni andando a Londra a seguire un corso di inglese. Studierà poi (oltre al greco e al latino) il tedesco e l’ebraico, il russo, infine l’arabo e il cinese. E nel suo desiderio di proporre scambi “sapienziali” tra culture diverse, tradurrà moltissimo dalle e nelle varie lingue. Uno dei suoi ultimi sforzi sarà la traduzione in arabo e in cinese di Pico della Mirandola sulla dignità dell’uomo.
3. Un capitolo fondamentale della vita di Bori è quello che riguarda il suo rapporto con il cattolicesimo e con la Chiesa. Dopo una giovinezza, da questo punto di vista, complessa e combattuta, a 21 anni viene chiamato a Roma a lavorare alla FUCI. In questi anni già “vagheggia di farsi prete” e presto comincia a frequentare la Gregoriana e il Russicum. Ma quando viene ordinato sacerdote, nel 1965, le ragioni di disagio, già presenti, si mescolano a un crescente impegno pastorale e religioso. Il Concilio, dopo l’entusiasmo dei primi anni, non si mostra in grado di soddisfare, nei giovani sacerdoti che aspirano a un autentico rinnovamento, la soluzione di drammi interiori. Nel 1969 Bori riceve la dispensa dal celibato e la riduzione allo stato laicale. Nello stesso anno viene invitato da Alberigo come ricercatore a Bologna nell’Istituto, poi fondazione, per le Scienze religiose. Nel 1970, sposa Elena, sua straordinaria compagna di sempre, da cui avrà tre figli. Questa parte della sua autobiografia in extremis è una delle più ricche e sorprendenti del libro, anche perché parla di vicende che raramente Bori aveva raccontato con tanta ricchezza di particolari. Qui può farlo utilizzando un ricchissimo archivio che testimonia fra l’altro di molte cose. Innanzitutto le sue letture, che vanno da Bultman e Cullmann a Maritain, e più tardi a de Lubac, Daniélou, Congar, e a riviste come “Esprit” e “Il Gallo”. Chiunque sia stato cattolico in quegli anni e abbia seguito le discussioni che in esso si svolgevano, non potrà che trovarne emozionante il ricordo e il racconto.
Un secondo punto è rappresentato dal fatto che emerge qui molto bene la simpatia di Bori per la parola e il concetto di “rete”: simpatia non minore di quelle da lui riservate (e già ricordate) per “sapienza” e “sapienziale”.
In ogni momento della sua vita Bori ha cercato di costruire “reti” di amicizie e di comunità: si trattasse di giovani sacerdoti, degli appassionati militanti di Amnesty, di studiosi stranieri o italiani. Alcuni dei quali gli sono rimasti vicini in ogni momento: Michele Ranchetti e Mauro Pesce, Giancarlo Gaeta e Gianfranco Bonola, Paolo Bettiolo, Lisa e Carlo Ginzburg. E prima ancora Elisa Bianchi e Renata Ilari, Valerio Onida, Enrico Peyretti, Carlo Caffarra ora cardinale, ma l’elenco sarebbe assai lungo.
4.Dopo la morte di Bori, c’è chi ha cercato di tirarne l’anima in una direzione o nell’altra, come in certi dipinti medievali nei quali Angeli e Diavoli si contendono l’anima del defunto. C’è chi ha tentato di riportarlo trionfalmente nell’alveo della Chiesa. E c’è chi ha voluto invece negare ogni suo rapporto con la Chiesa stessa. Io trovo queste due tesi fortemente ingiuste e per certi aspetti vergognose. Bori rientra nella categoria dei protagonisti della vita religiosa del secolo conservando tutta intera la sua autonomia. E tuttavia c’è un particolare che mi fa piacere segnalare, anche se non può in alcun modo modificare il giudizio appena espresso.
Un aspetto che colpisce il lettore di “CV” è la quantità di spazio, 52 pagine su 90, che Bori riserva a una fase della sua vita che non è certo la più nota, quella che riguarda il suo rapporto molto intenso con il cattolicesimo. Questa impressione è confermata da un libro del 2005, “Incipit”, nel quale Bori parla di cinquanta libri per lui importanti. Tra questi, il primo a presentare una cultura e una religione non europee è il “Maometto” di Rodinson, che arriva per ventesimo. Solo dopo di lui ci saranno Lao-zi, Corbin, la Bhagavadgita e altri testi. Ma c’è ancora un’ulteriore conferma in uno degli ultimi volumi curati da Pier Cesare, subito prima di “CV”. Si tratta di un’antologia di 120 autori che vanno dalla Genesi alla Costituzione Gaudium et Spes. Qui, i brani riconducibili al altre culture e religioni sono soltanto 8, se si eccettuano le molte citazioni che Bori usa nella sua introduzione scritta in forma epistolare a due studenti cinesi, non a caso riportando brani dallo Zhuang-zi, dalle Upanisad e da altri classici orientali (Dall’immagine alla somiglianza. L’umano come progetto nella tradizione cristiana, Marietti 1820, 2012).
Questa scelta mi fa pensare che nel momento più drammatico e decisivo della sua vita Pier Cesare abbia sentito un forte bisogno di tornare alle sue radici, agli inizi casalesi, alla famiglia, alle origini prime della sua cultura e del suo impegno religioso. E anche che abbia visto nei dibattiti pur così dolorosi per lui di quegli anni una parte importante di un patrimonio dal quale non si è mai staccato del tutto.
Dovrei dire ancora qualcosa sui miei rapporti con Pier. Sono stati molto intensi in alcuni momenti. Per esempio quando lo aiutai a curare due volumi che raccoglievano i testi di altrettanti convegni di Amnesty: uno sulla pena di morte e uno sull’intolleranza. Più tardi pubblicammo insieme un carteggio tra Gandhi e Tolstoy, ampiamente commentato. In tutti questi casi, grazie al suo entusiasmo, Pier era il play-maker.
Eravamo molto diversi, ma per tanto tempo abbiamo collaborato. Io ero più vecchio di un anno: per questa piccola differenza non ci siamo conosciuti quando venne a lavorare a Roma, alla Fuci (io me ne stavo già andando). Solo molti anni dopo scoprimmo quanti amici in comune avremmo avuto. E solo leggendo “CV” ho scoperto che a distanza di pochi mesi avevamo entrambi polemizzato con Baget Bozzo, non ancora prete né socialista, bensì fedele discepolo integralista del cardinal Siri. Io avevo intitolato il mio articolo (scritto con Francesco Traniello): Tra Gedda e Machiavelli, l’”Ordine civile”, lui scelse soluzioni più moderate.
Questo testo è stato presentato durante il Festivaletteratura di Mantova del 6 settembre 2013 in cui Gianni Sofri e don Giovanni Nicolini hanno parlato di “CV” (ed. Il Mulino) l’ultimo libro scritto da Pier Cesare Bori.
Un segno della sua serietà è dato dalla precoce simpatia per lo stuUn segno della sua serietà è dato dalla precoce simpatia per lo studio delle lingue che lo accompagnerà tutta la vita e che sarà una parte indissolubile della sua curiosità per le culture altre, sempre cercate nella loro originaria espressione linguistica. Pier Cesare comincia a 16 anni andando a Londra adio delle lingue che lo accompagnerà tutta la vita e che sarà una parte indissolubile della sua curiosità per le culture altre, sempre cercate nella loro originaria espressione linguistica. Pier Cesare comincia a 16 anni andando a Londra aUn segno della sua serietà è dato dalla precoce simpatia per lo studio delle lingue che lo accompagnerà tutta la vita e che sarà una parte indissolubile della sua curiosità per le culture altre, sempre cercate nella loro originaria espressione linguistica. Pier Cesare comincia a 16 anni andando a Londra aUUn segno della sua serietà è dato dalla precoce simpatia per lo studio delle lingue che lo accompagnerà tutta la vita e che sarà una parte indissolubile della sua curiosità per le culture altre, sempre cercate nella loro originaria espressione linguistica. Pier Cesare comincia a 16 anni andando a Londra an segno della sua serietà è dato dalla precoce simpatia per lo Un segno della sua serietà è dato dalla precoce simpatia per lo studio delle lingue che lo accompagnerà tutta la vita e che sarà una parte indissolubile della sua curiosità per le culture altre, sempre cercate nella loro originaria espressione linguistica. Pier Cesare comincia a 16 anni andando a Londra astudio delle lingue che lo accompagnerà tutta la vita e che sarà una parte indissolubile della sua curiosità per le culture altre, sempre cercate nella loro originaria espressione linguistica. Pier Cesare comincia a 16 anni andando a Londra a Già, i suoi scritti. Una bibliografia che è difficile considerare assolutamente completa, gliene assegna 195, su una gran quantità di temi e in più lingue. Difficile decidere, in un luogo come questo, di quale di essi parlare. Ma Pier Cesare ci ha voluti aiutare. Quando era già gravemente malato e ricoverato in un hospice, negli ultimi mesi e giorni della sua vita, ha sentito il bisogno di raccontarla agli amici in un prezioso libretto, molto emozionante, che si intitola “CV”, e cioè “Curriculum Vitae” quasi a voler sottolineare la volontà di raccontare velocemente, alludendo alla brevità schematica dei curricula, ma
Category: Culture e Religioni, Pier Cesare Bori e la rivista "Inchiesta"