Alberto Cini: La pedagogia del Dalai Lama
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La Pedagogia del Dalai Lama
L’associazione Jamtse Ling Centro Rimé di Bologna, organizzerà un simposio per i
novant’anni del Dalai Lama, questo simposio si terrà a Bologna sabato 12 aprile col
patrocinio dell’Alma Mater Università di Bologna e della Regione Emilia-Romagna.
Ricordando che in occasione del Nono Centenario dell’Alma Mater Studiorum – Università
di Bologna, il 30 maggio 1990 fu conferita a S.S. il XIV Dalai Lama, Premio Nobel per la
Pace 1989, la Laurea Honoris Causa in Pedagogia.
Successivamente a questo evento l’ 11 agosto 1994, il Dalai Lama tornò a Bologna e
tenne una conferenza sui diritti umani nell’Aula Magna dell’Università di Santa Lucia.
Questo riconoscimento accademico è dovuto all’impegno costante del leader spirituale
tibetano per promuovere la pace e la comprensione reciproca, testimone diretto delle
ingiustizie perpetrate dal governo cinese contro il Tibet e il suo popolo.
La sua filosofia di vita e il suo insegnamento sono radicati nei principi buddisti, ma si
estendono a una visione globale di tolleranza, compassione e comprensione reciproca.
La scelta di una laurea in pedagogia come conferimento, non rappresenta solo un
coerente ma formale riconoscimento, in una delle varie e possibili possibile discipline
accademiche. Questa laurea sottolinea come la pedagogia sia il punto di partenza di un
pensiero/azione legato alla pace.
Sappiamo, per chi si intende di questa disciplina, come esistano nei modelli educativi
della cultura occidentale, le meno conosciute ma molto utilizzate “pedagogie nere”. La
pedagogia nera è stata introdotta come concetto culturale dalla studiosa della relazione
educativa, Alice Miller.
La quale attraverso l’analisi della realtà concreta del mondo infantile parla delle
contraddizioni insite nel processo educativo e dei tanti pericoli sottesi ad un’educazione
non rispettosa della personalità. La “Pedagogia nera” è dunque mascheramento
dell’indifferenza rispetto ai bisogni del bambino e dell’abuso di potere che l’adulto compie
sul bambino. Una proto guerra dell’infanzia che poi svilupperà adulti pronti alla bellicosità
sociopolitica. Attribuire quindi attenzione all’infanzia e all’adolescenza, creare condizioni
che incidano sullo sviluppo della personalità in formazione, attraverso la costruzione dello
spirito critico, mettere in campo una formazione interpretata in modo dinamico e radicale,
complesso, dialettico e utopico.
Tale educazione emancipativa è resa possibile dall’affermazione di una pedagogia
scientifica e critica, che ha saputo sottoporsi, nel corso del Novecento, a forti tensioni
costruttive e decostruttive.
Ora, a mio avviso una laurea in pedagogia al Dalai Lama è anche andare oltre ai valori del
risultato atteso di un pensiero esperienziale che porti al “bene” e alla pace. Significa anche
dare rilevanza antropologicamente ad una pedagogia che si apra oltre la cultura
occidentale se pur scientifica e critica ma anche “di maniera”, per utilizzare un termine
della storia dell’arte, che cade a mio avviso nel pericolo di creare modelli idealtipici
weberiani di ciò che si intende come “critica” e “scienza”. Il modello idealtipico diviene una
cristallizzazione concettuale quasi di facciata che non cura l’adattamento ma solo la
rappresentazione culturale di un fenomeno, una durezza quindi che non sostiene il
bisogno della “morbidezza” e dell’elasticità di cui una pedagogia antropologica interculturale
necessita. Forse proprio in base a quel principio dialettico della pedagogia “bianca” si annuncia il
“dialettico e l’utopico” come un’apertura alla “spiritualità”. Parola che sembra scorrere
notevolmente e impetuosamente nel fiume culturale degli ambiti religiosi ed anche negli
sviluppi attualizzati della derivazione new age, ma ancora temuta accademicamente da
una cultura che scambia ancora lo scientismo con lo scientifico. Fortunatamente oggi gli
studi neuroscientifici stanno avvicinando le discipline e filosofie orientali (le quali sono
basate sulla scientificità empirica di una infinita annotazione temporale dei fenomeni ) con
la nostrana storicizzata cultura occidentale. Questa integrazione lava sempre di più il
modello educativo e pedagogico per renderlo sempre “più bianco che più bianco non si
può” come diceva un vecchio slogan pubblicitario di una nota marca di detersivo.
Per tornare al Buddismo Tibetano in ambito pedagogico possiamo affermare che
nel buddismo tibetano, l’educazione è vista come un mezzo per raggiungere la saggezza
e la liberazione, cioè uno stato culmine del processo di crescita dell’umano. I monaci e i
lama (maestri) insegnano non solo dottrine religiose, ma anche pratiche di meditazione e
sviluppo personale. Nell’olismo didattico tibetano ci si chiede fortemente di fare
esperienza e conoscenza del relativismo della rappresentazione di sé e dei fenomeni.
Questo approccio educativo mira a trasformare la mente e il cuore degli studenti, affinché
possano affrontare la vita con maggiore consapevolezza e compassione.
L’educazione e la spiritualità sono profondamente interconnesse nel pensiero del Dalai
Lama. Egli sostiene che un’educazione che ignora la dimensione spirituale dell’essere
umano è incompleta. La crescita spirituale e l’educazione devono andare di pari passo
per formare individui equilibrati e felici, capaci di affrontare le sfide della vita con serenità
e integrità morale. Ovviamente è complesso parlare di spiritualità scientifica, anche se
attualmente la visione sia scientifica che trascendente potrebbero solo essere disgiunte da
un’aberrazione “cromatica” o di rappresentazione nello spazio, dell’oggetto osservato ma
sottoposto alla relatività di quello che si rappresenta come un “parallasse” percettivo dei
punti di vista della realtà. Una delle metodologie didattiche del buddismo tibetano verte
proprio sul confronto e verifica dei “punti di vista” soggettivi e culturali.
L’occidente resta ancora figlio di quell’approccio della ricerca di tipo speculativo e
specialistico che permette di portare in primo piano il “ricercare” un fattore tecnico, nel
senso galimbertiano del termine, più che rifarsi ad un processo umanistico che tenda
all’universale. In una intervista sul tema “ Esperienza corporea tra filosofia e
neuroscienza”, il neuroscienziato Vittorio Gallese ( neuroni specchio) ha affermato: “Io
chiedo sempre e ricordo ai miei giovani studenti e ricercatori il “Perchè” stiamo lavorando,
altrimenti rischiamo di analizzare sempre più il fenomeno biologico ma di dimenticarcene la
ragione!”
Il Dalai Lama promuove attivamente l’idea che l’educazione possa essere un potente
strumento per la pace. Ha sottolineato l’importanza di insegnare ai giovani non solo le
materie accademiche, ma anche competenze socio-emotive e valori come la
compassione, la tolleranza e il dialogo. Crede che una formazione di questo tipo possa
contribuire a costruire una società più pacifica e armoniosa.
Quindi possiamo annoverare tra i vari conosciuti pedagogisti anche la persona storica,
politica, scientifica e spirituale, del Dott. Tenzin Gyatso, conosciuto come S.S. il XIV Dalai
Lama.
Category: Culture e Religioni