Maurizio Scarpari: Sulla presunta neutralità del governo cinese nella guerra russo-ucraina

| 17 Febbraio 2023 | Comments (0)

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Maurizio Scarpari

Sulla presunta neutralità del governo cinese nella guerra russo-ucraina

“La Cina elogia la posizione russa, che non ha mai escluso il ricorso a negoziati diplomatici per risolvere il conflitto” nella piena consapevolezza che “la strada dei colloqui di pace non sarà priva di asperità, ma che se le parti non molleranno, ci sarà sempre una prospettiva di pace. La Cina continuerà a mantenere una posizione obiettiva e giusta, lavorerà per costruire sinergie nella comunità internazionale e svolgerà un ruolo costruttivo nella risoluzione pacifica della crisi ucraina.” Queste parole, pronunciate da Xi Jinping il 31 dicembre 2022 nell’ormai tradizionale colloquio in videoconferenza di fine anno con Vladimir Putin e riportate con gran risalto dai media cinesi, sintetizzano la posizione di Pechino sulla guerra in corso nel cuore dell’Europa a oltre dieci mesi dal suo inizio. Non è chiaro cosa si intenda con “se le parti non molleranno, ci sarà sempre una prospettiva di pace” visto che, tranne un unico tentativo iniziale, abortito dopo alcuni inconcludenti incontri, non sono mai stati avviati negoziati di pace.

Alle parole di Xi Jinping, riportate dall’agenzia cinese Xinhua, fanno eco le parole del leader russo, diffuse dall’agenzia Tass: “Di fronte alle crescenti tensioni geopolitiche, l’importanza del partenariato russo-cinese sta crescendo come fattore stabilizzante… Mosca e Pechino condividono la stessa visione circa le cause e il corso della trasformazione del panorama geopolitico, in difesa delle proprie posizioni di principio a protezione non solo degli interessi nazionali di entrambi, ma anche di tutti coloro che sostengono un ordine mondiale veramente democratico e il diritto dei paesi all’autodeterminazione.” Per “ordine mondiale veramente democratico” si intende un ordine mondiale diverso dall’attuale e non più dominato dalle democrazie liberali di stampo occidentale. Cosa si intenda per “veramente democratico” se perseguito da Federazione Russa e Repubblica popolare cinese e a quali paesi si intenda garantire il diritto all’autodeterminazione non è dato sapere.

Ciò che il resoconto cinese tace è un corollario di non poco conto: le condizioni pregiudiziali ritenute non trattabili da entrambe le parti per avviare un negoziato. La disponibilità da parte russa è infatti sempre stata subordinata al riconoscimento preliminare dell’annessione alla Federazione Russa, Stato sovrano aggressore, dei territori del Donbass e della Crimea, condizione che per l’Ucraina, Stato sovrano aggredito, equivarrebbe a una vera e propria resa, con conseguente perdita della propria integrità territoriale. L’Ucraina si dichiara a sua volta disponibile ai negoziati di pace, ma a condizione che le truppe russe lascino preliminarmente il paese, Donbass e Crimea inclusi. Le due posizioni sono intransigenti e inconciliabili, creando una situazione di stallo da cui non si intravede una via d’uscita: nessuna delle due parti, infatti, crea i presupposti per l’avvio di un percorso di pace. Presentare la situazione nei termini riportati dall’agenzia Xinhua, arrivando a “elogiare” la disponibilità di Mosca senza però indicare la condizione che rende di fatto impraticabile l’avvio di ogni forma di dialogo, è mistificatorio e fuorviante; il comunicato serve solo a sostenere la narrazione russa (anti-americana, anti-europea, anti-Nato e, più in generale, anti-occidentale) fatta propria verbatim dal governo cinese fin dallo scoppio della guerra e rimbalzata a uso propagandistico non solo attraverso i media cinesi, ma anche quelli occidentali, grazie all’influenza esercitata dalle agenzie cinesi sulle tesate di mezzo mondo, anche italiane, come da più parti denunciato (ad esempio, dal rapporto dell’Istituto Affari Internazionali di Roma del 2021 curato da Francesca Ghiretti e Lorenzo Mariani, One Belt One Voice: i media cinesi in Italia).

Fin dall’inizio della guerra il governo cinese non ha preso una posizione critica sul conflitto se non, con un breve e unico accenno, nella primissima fase, quando ancora Pechino credeva che il blitz russo in Ucraina sarebbe stato di breve durata, com’era avvenuto nel 2014 in Crimea, e i seimila cittadini cinesi che vivevano nel paese non avevano ancora fatto ritorno a casa. La posizione cinese è da sempre definita, da governo e corpo diplomatico, “aperta, trasparente e coerente” oltre che “obiettiva e giusta”, volta a “svolgere un ruolo costruttivo per risolvere la crisi a modo nostro”, senza però mai spiegare in cosa consistesse quel “a modo nostro” e, soprattutto, senza che vi fosse mai un atto concreto che dimostrasse la reale volontà di impegnarsi in un ruolo di mediazione, come da più parti veniva chiesto. Quale candidato migliore si sarebbe potuto immaginare nel ruolo di Grande Mediatore se non Xi Jinping, in virtù dell’autorevolezza e del peso internazionale riconosciutigli, degli ottimi rapporti di amicizia che lo legano a Vladimir Putin (“il mio migliore amico” a livello internazionale) e dei consistenti interessi economici, commerciali e politici che la Cina ha tessuto sia con la Federazione Russa che con l’Ucraina, snodo di transito essenziale lungo la Via della Seta? Il solo passo significativo, la cui portata sarà tutta da verificare se la situazione dovesse precipitare, è stato compiuto in occasione del 22° summit del Council of Heads of State of the Shanghai Cooperation Organization (SCO) tenutosi a Samarcanda, nello Uzbekistan, a metà settembre 2022 quando Xi ha fissato la linea rossa, a suo giudizio, invalicabile: il ricorso alle armi nucleari, che peraltro l’Ucraina non possiede. La cosa sorprendente è che, al di là della retorica politica, nella realtà il governo cinese nulla ha fatto, sta facendo e, di questo passo, farà di concreto per cercare di favorire una situazione che possa fermare una guerra che sta distruggendo un paese sovrano, destabilizzando mezzo mondo e facendo soffrire milioni di esseri umani, direttamente o indirettamente vittime del conflitto e delle sue ricadute economiche. Evidentemente esistono delle ragioni per mantenere lo status quo, almeno per il momento.

Vantaggi economici-commerciali

È un fatto che in pochi mesi la Cina ha visto crescere l’interscambio commerciale con la Russia del 50%, e si prevede che esso aumenterà ancor più nel prossimo futuro, a dimostrazione dei grandi risultati ottenuti nell’ambito della nuova collaborazione, definita “la migliore di sempre”, che lega i due leader e i due paesi. La Russia è ormai per la Cina il secondo fornitore di metano via gasdotto e il quarto per quanto riguarda il gas liquefatto, nonché il principale esportatore di greggio, primato sottratto all’Arabia Saudita, penalizzata dal forte sconto concesso agli amici cinesi dai fornitori russi. È inoltre stato siglato un accordo per la realizzazione di un nuovo gasdotto, denominato Power of Siberia 2, che collegherà la Russia alla Cina attraverso la Mongolia e che, quando sarà pronto nel 2030, sarà in grado di trasportare fino a 50 miliardi di metri cubi di metano all’anno, ovvero 1,3 volte in più di quanto trasportato dal gasdotto Power of Siberia (38 miliardi di metri cubi all’anno) realizzato tra il 2014 e il 2019 dalla società cinese China’s National Petroleum Corp (Cnpc) e dalla compagnia statale russa Gazprom per compensare le mancate forniture all’Europa causate dalle sanzioni imposte alla Federazione Russa per l’invasione della Crimea del 2014. L’interscambio riguarda però anche altri prodotti, sia agricoli sia tecnologici e dual-use (che hanno cioè sia impiego civile che militare, come ad esempio chip, pezzi di ricambio o droni muniti di sofisticati sistemi di telecamere che possono fungere da droni-spia), necessari all’esercito russo per equipaggiare le truppe o riparare i propri mezzi di terra, di aria e di mare, secondo un’indagine riportata dal Wall Street Journal (4 febbraio 2023). L’Ambasciata cinese a Washington ha prontamente smentito, ma non poteva fare altrimenti: se il sostegno cinese al suo migliore alleato venisse confermato anche sul piano delle forniture militari, le aziende statali cinesi coinvolte incorrerebbero in sanzioni e la posizione cinese si aggraverebbe. Si darebbe però finalmente un contenuto all’espressione, mai definita nel dettaglio, “partenariato senza limiti” più volte ribadita dalle autorità russe e cinesi fin dall’inizio della “operazione militare speciale” per caratterizzare il rapporto di collaborazione tra le due superpotenze.

Ancora una volta, com’era avvenuto nel 2014 dopo l’annessione russa della Crimea, la Cina si è prontamente sostituita ai paesi europei per colmare le perdite economiche causate dalle sanzioni, limitandone di fatto l’impatto e assicurandosi in questo modo forniture miliardarie per i prossimi trent’anni a prezzi di favore. La Cina non è il solo paese ad aver beneficiato dell’occasione, altri tra i cosiddetti paesi non allineati hanno cercato di trarre vantaggio dalla situazione di isolamento in cui si è trovata la Russia rispetto ai paesi occidentali, ma di certo ad averne tratto il beneficio maggiore è stata la Cina. Per la Federazione Russa, che sta sempre più diventando sino-dipendente, si è creata una situazione estremamente pericolosa. La “amicizia senza limiti” e “solida come una roccia” annunciata il 4 febbraio a Pechino in occasione dell’inaugurazione dei giochi olimpici invernali, tappa essenziale di Putin per avere il via libera alla “operazione speciale” contro l’Ucraina da parte di Xi Jinping (la Nato aveva già assicurato che non sarebbe intervenuta, non essendo l’Ucraina un suo paese membro), potrebbe presto rivelarsi una “amicizia subordinata” e, in quanto tale, meno solida di quanto oggi si voglia far credere. Quel “via libera” concesso a Putin è una responsabilità che Xi Jinping non può negare o minimizzare, ma che si è rivelata vantaggiosa, non solo sul piano commerciale. La Russia è un paese vastissimo, la sua superficie è quasi doppia di quella cinese, ma la sua popolazione e il suo prodotto interno lordo, pur in presenza di giacimenti immensi di gas naturale, petrolio e carbone, sono appena un decimo di quelli cinesi. Il “fratello maggiore” di un tempo sembra sempre più un “fratello minore” che prima o poi sarà richiamato all’ordine. Difficile immaginare che Putin e Xi Jinping, oggi accumunati dall’obiettivo di trasformare l’attuale ordine mondiale in un ordine più “democratico e giusto”, condividano la stessa visione del nuovo mondo e delle relazioni tra stati che intendono creare. Al nuovo assetto geopolitico sembrano aderire, probabilmente con finalità diverse, anche la Corea del Nord e l’Iran, importanti fornitori di missili e droni alla Federazione Russa. Alcuni osservatori internazionali ritengono improbabile che il governo coreano possa vendere missili in quantità senza il beneplacito del governo cinese, vista la forte dipendenza commerciale e il rapporto privilegiato tra i due paesi. Se un nuovo ordine mondiale dovrà esserci sarà verosimilmente a trazione cinese, e le altre nazioni, la Federazione Russa in primis, dovranno accettare ruoli di vassallaggio economico e politico.

I vantaggi per la Cina sono dunque molteplici. La “distrazione” creata da Putin in Europa consente al governo cinese di concentrarsi indisturbato su problemi interni di non poco conto, a partire dall’enorme debito pubblico, sia a livello centrale che locale, dalla crisi di alcuni settori chiave dell’economia, primo fra tutti quello immobiliare, dalla crescente disoccupazione soprattutto tra i neo-laureati, dalle disfunzioni del sistema demografico, dal diffuso malcontento popolare e dai danni causati dalla rigida politica “zero-Covid” e da quelli che sta provocando il repentino cambiamento di linea sulle restrizioni indotto dalle proteste scoppiate in numerose città che, per la prima volta, hanno messo in seria discussione l’operato del partito comunista e la figura dello stesso Xi Jinping. Si consideri inoltre che gli obiettivi di natura ideologica, strategica e geopolitica condivisi con la Federazione Russa collimano su molti fronti, Putin sta solo accelerando i tempi previsti dal governo cinese, ricorrendo a modi che forse Pechino non avrebbe mai messo in campo. Si potrebbe dire che Putin stia facendo il lavoro sporco, meglio dunque stare alla finestra, concentrandosi sui numerosi problemi interni e riorganizzando il paese dopo tre anni di chiusura obbligata per ragioni sanitarie, rigido controllo della popolazione e blocco della filiera commerciale con grave danno per i comparti produttivi, logistici e dei trasporti, cercando di cogliere le opportunità quando appaiono e adeguando le strategie di breve e medio termine ai nuovi scenari man mano che si prospettano. In questo modo, il protrarsi delle ripercussioni della guerra offre alla Cina l’opportunità di presentarsi al mondo come “nazione pacifica e responsabile che non interferisce nelle questioni di altri paesi sovrani” – principio inviolabile da sempre, ma stranamente ignorato nel caso dell’invasione dell’Ucraina – e che “opera a suo modo” per favorire la pace. Una postura di neutralità che nei fatti non esiste, ma che un’abile campagna di disinformazione e propaganda vorrebbe comunque accreditarle, non senza un discreto successo. È solo di recente che questa presunta neutralità è stata alfine smascherata e messa in discussione anche dalle autorità ucraine.

Vantaggi politico-militari

La guerra russo-ucraina ha spostato l’attenzione politico-militare del mondo occidentale dall’Indo-Pacifico, il vero teatro di contesa tra Cina e Stati Uniti sul quale l’amministrazione Biden avrebbe voluto concentrare le proprie energie dopo il disastroso ritiro dall’Afghanistan nel maggio 2021 e l’improvvido summit delle democrazie del 9 dicembre 2021 – che ha, di fatto, sancito la polarizzazione tra democrazie (110 quelle invitate, Taiwan inclusa, Cina e Russia escluse) e autocrazie –causando pesanti ricadute sull’Europa. A fine 2022 gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno fornito armamenti e aiuti di varia natura all’Ucraina per centinaia di miliardi di dollari, e altri ancora dovranno essere impegnati prima della fine del conflitto, sottraendo importanti risorse ai propri budget militari, e spostando mezzi e armamenti verso basi al di fuori degli Stati Uniti, mentre l’esercito russo, secondo nel ranking degli eserciti più potenti al mondo fino al 2021, ha rivelato tutti i suoi limiti, dimostrandosi inadeguato a reggere un conflitto di portata globale. Mentre gli eserciti in guerra si dissanguano, il governo cinese può continuare l’opera di potenziamento e ammodernamento delle proprie forze armate (prima della guerra l’esercito cinese era terzo nella graduatoria degli eserciti più potenti, ora è di gran lunga il secondo), riducendo più velocemente di quanto programmato il gap che ancora permane tra l’esercito a stelle e strisce e l’Esercito popolare di liberazione. Non a caso alcuni settori dell’esercito a stelle strisce sono in fibrillazione, come dimostra il memorandum confidenziale reso pubblico dalla rete televisiva Nbc News e visionato dal Financial Times, che il Pentagono ha confermato essere autentico, con cui il generale a quattro stelle Mike Minihan, capo dello US Air Mobility Command ed ex numero due del Comando Indo-Pacifico delle forze armate Usa, mette in allerta i suoi comandanti ritenendo possibile una escalation militare tra Stati Uniti e Cina già nel 2025, in seguito alla possibile invasione di Taiwan. Sia che si tratti di preoccupazioni fondate, sia che siano azioni di disturbo o provocazioni create per valutare la reazione dell’avversario, di certo la situazione tra le due superpotenze si fa sempre più tesa e delicata, per non dire pericolosa.

Nessuna neutralità

Alla luce di tutto ciò, appare evidente che la presunta “neutralità” (per alcuni “ambiguità”) finora accreditata dalla maggior parte dei media occidentali e italiani in particolare è frutto di una narrazione distorta, o quanto meno superficiale o dettata da una speranza che non ha alcuna relazione con la realtà e che nega ogni evidenza. Se ci si limitasse al semplice esame dei fatti, a così grande distanza da quel famigerato 24 febbraio 2022 non si può non convenire che il governo cinese appoggi subdolamente, ma inequivocabilmente, la politica di aggressione della Federazione Russa all’Ucraina, condividendone le motivazioni ideologiche e politico-strategiche, nonché le finalità, e traendone cospicui benefici sul piano strategico, economico e militare. La fornitura di mezzi militari e armi pesanti sembrerebbe per ora esclusa, ma le ricorrenti manovre militari congiunte nei cieli e sui mari di mezzo mondo non contribuiscono certo a rasserenare il clima, né migliorano l’immagine della Cina come paladina della pace. Il tuor di metà febbraio del capo della diplomazia cinese in Europa Wang Yi non ha affatto tra i suoi obiettivi quelli di esaminare o addirittura proporre una mediazione o una soluzione alla guerra russo-ucraina, sarebbe ingenuo solo pensarlo: su questo tema Wang Yi si limiterà a ripetere le solite affermazioni prive di sostanza a cui il governo cinese ci ha abituati da un anno e a suggerire ai rappresentati dei paesi dell’Unione Europea di rendersi indipendenti dagli Stati Uniti. Il vero obiettivo è rimettere in moto gli affari, rilanciare il Comprehensive Agreement on Investment (Cai) da troppo tempo rimasto al palo dopo le tensioni tra Unione Europea e governo cinese sui diritti civili nello Xinjiang, i progetti sulla Via della seta interrotti dal Covid, dalla politica zero-Covid attuata unilateralmente dai cinesi, dalla guerra russo-ucraina e da problemi di malfunzionamento di vario tipo, e non ultimo il rinnovo del controverso Memorandum of Understanding firmato tra il governo cinese e il secondo governo Conte che, com’era facilmente prevedibile, non ha mai funzionato e che comunque dovrà essere rinnovato il prossimo anno (ma questo riguarda solo l’Italia, e la premier Meloni sembrerebbe, almeno stando alle sue dichiarazioni pre-elettorali, nettamente contraria). Insomma, come al solito sono esclusivamente motivazioni di carattere economico a spingere Wang Yi alle porte del teatro di guerra, non la guerra in quanto tale, che sembra essere interessare ben poco il governo cinese, tantomeno Wang Yi, essendo considerato un problema del tutto regionale e di secondo ordine per il governo cinese. Sembra.

Nel settembre del 2014, nel discorso inaugurale che tenne al Simposio Accademico Internazionale in commemorazione del 2565° anniversario della nascita di Confucio tenutosi a Pechino davanti a centinaia di accademici e intellettuali cinesi e stranieri, Xi Jinping, nei tanto amati panni del junzi, l’ideale confuciano dell’intellettuale che “non sopportando la sofferenza degli altri” opera con tutto sé stesso per il bene comune, affermò che “la pace è un concetto profondamente radicato nello spirito della nazione cinese, ed è per la Cina il fondamento delle relazioni internazionali… La Cina – aggiunse – ha bisogno della pace, ama la pace, e desidera impegnarsi al massimo per mantenere la pace nel mondo e aiutare con tutto il cuore la gente che ancora soffre a causa della guerra e della povertà.” Parole che mal si conciliano con le immagini che quotidianamente vengono trasmesse dalle nostre televisioni, di violenze e uccisioni di civili da parte di truppe mercenarie costituite in buona parte da fanatici o da criminali fatti uscire dalle galere russe in cambio dell’immunità, e con i massicci bombardamenti che da mesi scaricano ogni giorno sulle abitazioni, sugli ospedali, sulle scuole e sulle centrali elettriche tonnellate di bombe e di missili (azione interdetta all’esercito ucraino a cui è vietato colpire il nemico aggressore al di là dei confini dello Stato), lasciando quella parte della popolazione che non è fuggita dal paese al gelo, alla fame e nel terrore. Com’è possibile pronunciare parole di pace e di empatia per le sofferenze altrui e al tempo stesso stringere un patto d’acciaio, dichiararsi “amici senza limiti” e sostenere idealmente e fattivamente chi sta perpetrando questo brutale massacro di civili in Ucraina? E presentarsi in Europa per rilanciare gli accordi economici rimasti al palo?

 

Category: Osservatorio Cina

About Maurizio Scarpari: Maurizio Scarpari, professore ordinario di Lingua e letteratura cinese classica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove ha insegnato dal 1977 al 2011 e ricoperto numerose cariche acca-demiche, tra le quali quelle di Pro-Rettore Vicario e Direttore del Dipartimento di Studi sull’Asia Orientale. Sinologo esperto di lingua cinese classica, storia, archeologia, pensiero filosofico e la sua influenza sul pensiero attuale è autore e curatore di numerosi articoli e volumi, tra cui si se-gnala La Cina, oltre 4000 pagine in quattro volumi (Einaudi 2009-2013), alla cui realizzazione hanno contribuito esperti di 35 istituzioni universitarie e di ricerca tra le più prestigiose al mondo. Per ulteriori informazioni e la bibliografia completa dei suoi scritti si rinvia a www.maurizioscarpari.com.

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