Giulio Laroni: «Un progetto per raccontare la società di Taiwan», intervista a Rosa Lombardi

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Pubblichiamo con il consenso dell’autore quest’intervista di Giulio Laroni a Rosa Lombardi apparsa sull’Avantionline del 3 novembre 2025.
Giulio Laroni
Intervista a Rosa Lombardi: «Un progetto per raccontare la società di Taiwan»
La cultura taiwanese, la sua letteratura, la sua economia non sempre ricevono dai media italiani l’attenzione che meriterebbero. Anche la sinologia del nostro Paese, e la ricerca accademica in generale, continuano ad accostarsi a questi temi con una certa timidezza, con un’attenzione spesso incostante. Fanno eccezione storici come Stefano Pelaggi – che con il suo “L’isola sospesa” (Luiss University Press, 2022), di cui ci siamo occupati anche in questo giornale, ha dato nuova energia al dibattito sulla storia taiwanese – e alcuni sinologi tra i quali Rosa Lombardi, professoressa ordinaria all’Università Roma Tre e curatrice di “Voci da Taiwan” (Orientalia, 2022), un volume che fa il punto sul rapporto tra arti e storia dell’isola. Lombardi, che da tempo si dedica con rigore allo studio della letteratura taiwanese, sarà ora coordinatrice del progetto Taiwan Studies, un’iniziativa di cinque anni volta a promuovere una conoscenza più approfondita della cultura e della società di Formosa. Uno dei punti di forza del progetto, finanziato dal Ministero dell’Educazione di Taiwan, è la ricchezza delle sue prospettive. Come ci racconta la sinologa Silvia Schiavi, che con Rosa Lombardi ne è una delle principali promotrici, «il progetto Taiwan Studies si concentra su tre aree di ricerca principali: la letteratura e la storia del dopoguerra, la politica e le relazioni internazionali dal 1945 ad oggi, lo sviluppo economico e tecnologico dell’isola. Nell’arco del quinquennio, questi temi saranno approfonditi attraverso seminari, workshop, proiezioni di film, seminari di scrittori taiwanesi e studiosi internazionali, presentazione di libri e altre attività. Grazie a questa prospettiva multidisciplinare, il progetto mira a esplorare gli sviluppi della società taiwanese contemporanea da vari punti vista, nonché il ruolo centrale dell’isola come democrazia asiatica e la sua posizione nel contesto geopolitico attuale». «Roma Tre» continua Silvia Schiavi «lancerà anche un podcast sulla cultura taiwanese e sosterrà la ricerca su Taiwan, attraverso supporti finanziari per lo studio e la ricerca destinati a studenti, ricercatori e docenti, e una borsa di ricerca volta a formare una figura esperta nei Taiwan Studies. La duplice natura accademica e divulgativa del progetto, insieme al suo approccio multidisciplinare, intende coinvolgere un pubblico ampio e promuovere una maggiore conoscenza e valorizzazione della specificità di Taiwan, un Paese di cui si parla ancora poco in Italia ma che rappresenta un importante punto di partenza per esplorare la complessità del mondo sinofono».
Abbiamo chiesto a Rosa Lombardi di parlarci della genesi di questa iniziativa e del contesto all’interno del quale si colloca.
Professoressa Lombardi, com’è nata l’idea del progetto Taiwan Studies?
Il progetto Taiwan Studies rappresenta un proseguimento e al contempo un importante risultato del lavoro da me svolto negli ultimi quindici anni per la diffusione della letteratura e cultura di Taiwan in Italia. Sono circa quindici anni che lavoro sulla letteratura moderna e contemporanea di Taiwan; dopo essermi occupata per decenni di letteratura cinese, ho cominciato ad ampliare il mio campo di ricerca attraverso l’organizzazione di incontri con studiosi e scrittori taiwanesi, periodi di studio trascorsi all’Accademia Sinica di Taipei e attività realizzate all’Università Roma Tre, dove insegno. In questi anni, grazie al supporto del Ministero dell’Educazione e del Ministero della Cultura di Taiwan, ho potuto organizzare oltre cento conferenze con studiosi e scrittori provenienti da Taiwan, Stati Uniti ed Europa sulla letteratura, il cinema, e la storia di questo Paese, di cui in Italia si conosce ancora poco. Il mio obiettivo è stato quello di ampliare l’orizzonte degli studi “cinesi” e adottare una prospettiva nuova, più inclusiva, che comprendesse la produzione letteraria e culturale di altre comunità ai margini della Cina.
Negli ultimi decenni nel resto del mondo si è parlato molto del concetto di “cinesità”, mettendo in discussione il paradigma corrente che associa la “cinesità” alla Cina continentale, escludendo tutte le altre realtà all’interno e all’esterno della Cina continentale. Pensiamo ad esempio alla produzione culturale del Tibet o del Xinjiang abitati in prevalenza da tibetani e uiguri: possiamo forse definirla “cinese”? Oppure alla produzione culturale di emigrati dalla Cina continentale nel resto del mondo: si può forse definirla “cinese”? L’idea tradizionale di “cinesità” era dunque diventata una gabbia troppo stretta, in quanto escludeva tutte le comunità parlanti lingue sinitiche all’interno e al di fuori della Cina (Taiwan, Malesia, Polinesia, Stati Uniti, Canada, Nuova Zelanda, Europa). Nel 2007 Shu Mei-shih ha proposto un approccio più aperto e inclusivo, transnazionale e interdisciplinare, noto come “Sinofonia” per studiare la produzione culturale delle comunità ai margini del blocco egemone della Cina continentale. Il campo di esplorazione si è così allargato enormemente dando visibilità alle voci ai margini o emarginate, di cui ora si affronta lo studio da una prospettiva multidisciplinare, mettendo in dialogo campi di studio diversi: gli studi postcoloniali, storici, etnici, della migrazione, di genere e di area. In questo modo gli studi sinofoni superano i confini in cui erano stati finora costretti e ampliano il campo di indagine, intrattenendo un proficuo dialogo con altre discipline.
Personalmente dopo essermi occupata per molto tempo di letteratura moderna e contemporanea cinese, sentivo l’esigenza di conoscere cosa avveniva al di fuori della Cina, perché l’universo sinofono è molto ampio e variegato. Negli anni ’90, quando studiavo a Hong Kong per un master, ho cominciato a guardare fuori della Cina continentale, e l’incontro con il poeta taiwanese Yang Mu, mio docente e poi mentore, ha rappresentato un contribuito decisivo all’ampliamento dei miei orizzonti culturali.
Fino a che punto la sinologia contemporanea recepisce la questione taiwanese? Che passi dovrebbe fare per accogliere quest’ultima in modo più sistematico?
Ancora oggi i corsi universitari italiani continuano a concentrarsi prevalentemente sulla Cina continentale, con poche eccezioni dovute all’iniziativa personale di singoli docenti. Quando questo avviene, le opere della letteratura taiwanese, o i corsi dedicati alla letteratura taiwanese, come nel mio caso, portano il nome di “Corso di letteratura cinese”. La denominazione usata evidenzia a livello ufficiale una concezione unitaria e omogenea dell’universo sinofono, un orientamento ereditato da una tradizione di studi che ha radici profonde e tenaci, e che continua spesso ad esercitare un impatto diretto sulla scelta di testi e autori legati al canone letterario della Cina continentale, trascurando in buona parte tutto ciò che non proviene dall’unica Cina riconosciuta ufficialmente. La specificità della produzione letteraria taiwanese, sviluppatasi lungo traiettorie molto diverse, influenzate da una gamma di fattori storici, linguistici e culturali unici e originali, nella maggior parte dei casi continua ad essere ignorata.
Del resto, il dibattito sulla legittimazione della letteratura taiwanese come categoria a sé, e non come espressione “regionale” della letteratura cinese, è emerso solo negli anni Novanta, ed ha incontrato ovviamente una forte opposizione da parte della Cina, che, come sappiamo, considera Taiwan parte integrante del suo territorio. Infine l’esistenza di rapporti diplomatici e l’intensità degli scambi culturali e soprattutto commerciali tra i Paesi ha di certo una inevitabile ricaduta sulla visione del mondo e sull’approccio alle altre culture.
Il progetto Taiwan Studies adotta una prospettiva multidisciplinare, che si ritrova anche nel suo “Voci da Taiwan”.
Ritengo che per studiare una cultura così variegata e complessa come quella di Taiwan, adottare una prospettiva multidisciplinare sia assolutamente necessario. A partire dal XVII sec. Taiwan è stata terra di conquista: qui sono infatti giunti portoghesi, spagnoli e olandesi, occupando territori poi riconquistati dall’Impero cinese. Per mezzo secolo è stata colonia giapponese, passando infine sotto il governo del Partito Nazionalista di Zhang Kai-shek, in fuga dalla Cina. È anche un Paese dalla composizione sociale ed etnica variegata, popolato da cinesi (Han), Hokkien, Hakka e diversi gruppi aborigeni di origine austronesiana, tutti parlanti lingue diverse. Inoltre la posizione geografica, che la relegava ai margini dell’Impero cinese, il passato coloniale giapponese e la realtà insulare che la apre naturalmente verso l’esterno hanno fatto sì che Taiwan accogliesse stimoli e influenze culturali non solo dalla Cina e dal Giappone, ma anche dall’Europa e dal resto del mondo. Avvicinarsi allo studio di Taiwan significa quindi mettere in rapporto approcci diversi, storico-culturali ed etnici; paradigmi postcoloniali e studi sulla memoria, ma anche varie tradizioni culturali e linguistiche.
Il progetto Taiwan Studies mira ad allargare ulteriormente il campo di esplorazione e di studio di questa cultura, mettendo in dialogo la letteratura, il cinema e la storia di Taiwan con l’attualità. Verrà studiato il ruolo cruciale di Taiwan nella regione dell’Indo-pacifico, come Paese democratico e come uno dei principali pilastri di democrazia e stabilità nell’Asia orientale, e il suo ruolo all’interno dell’ordine liberale internazionale istituito al termine della Seconda guerra mondiale. Inoltre, verrà aperta una finestra sullo sviluppo economico di Taiwan dal Dopoguerra fino ai giorni nostri, e sul ruolo di Taiwan come Paese leader nel campo delle tecnologie della comunicazione nell’industria globale delle tecnologie dell’informazione, e in particolare nel campo dell’intelligenza artificiale.
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