Giovanni Mottura: Immigrati cinesi in Italia nel pronto moda. Interpretare incontri, favorire traduzioni. Note sparse su una ricerca esemplare
Un anno fa è comparso in libreria un nuovo lavoro di Antonella Ceccagno la cui lettura, oltre che una copiosa fonte di informazioni e una lezione su come si può fare ricerca, è un serbatoio di aria pura per chi vive costretto a respirare quella mefitica e potenzialmente mortifera che circola in società nazionali arroccate e claustrofobiche sebbene (o forse in virtù dell’essere) ormai parte di un universo globalizzato.
Il titolo del libro è City Making and Global Labor Regimes. Chinese Immigrants and Italy’s Fast Fashion Industry (Ed. Palgrave Macmillan).
A chi abbia avuto occasione di occuparsi di aspetti della questione migratoria – in veste di studioso, di ricercatore, di operatore pubblico o privato a vario titolo e compiti coinvolto, oppure semplicemente di lettore interessato ad aggiornarsi sullo stato della conoscenza – il nome dell’autrice non può non evocare il posto particolare che la ricerca sulle comunità cinesi occupa nel panorama degli studi sulle «nuove migrazioni» avviato in Italia nel corso degli ultimi decenni del secolo scorso.
Proprio dalla considerazione di quel posto particolare muove la sommaria serie di appunti che segue, il cui intento è stimolare altri lettori – soprattutto giovani – a dar vita al dibattito ben più approfondito che la materia e l’impostazione del libro meritano.
I primi lavori di ricerca sui «nuovi immigrati» si sviluppano in Italia dalla seconda metà degli anni ottanta, un decennio circa dopo la «scoperta» di essere il paese diventato meta di flussi d’immigrazione.
Nel corso del successivo decennio novanta, anche in virtù dell’avvio della pubblicazione – da parte dell’ISTAT e di altre fonti ufficiali e non – di dati più strutturati sulle dimensioni e sull’articolarsi del fenomeno, quel filone di ricerche e studi (in particolare sociologici, etnologici e demografici, oltre che economici) conosce un costante incremento. Tale attività si protrarrà nei primi anni del nuovo secolo, in concomitanza con l’importanza assunta dalla questione migratoria nel dibattito politico e con i crescenti bisogni di informazione e documentazione espressi da istituzioni e da amministrazioni sia nazionali sia locali coinvolte in problemi di accoglienza, controllo, inserimento sociale ed economico dei nuovi venuti.
Ma già al termine del primo decennio del nuovo secolo l’esplosione della crisi economica internazionale determinerà, tra i primi effetti, l’inizio di una fase di accentuati cambiamenti anche nel dibattito politico e negli orientamenti delle ricerche sulle migrazioni verso l’Europa e in particolare l’Italia.
In tal senso contribuiranno successivamente, sommandosi alle conseguenze prolungate della crisi, quelle di devastanti conflitti mediorientali(1).
È nel corso del periodo così delimitato che ha avuto inizio e si è svolta a Prato – in un contesto territoriale i cui assetti economico, sociale, demografico e culturale sono stati teatro di intense dinamiche di cambiamento – una fase per alcuni versi decisiva della ricerca di lunga durata documentata nel libro.
Nel 1994, infatti, una giovane donna con una solida formazione in lingua e storia contemporanea cinesi frutto di studi universitari in Cina e in Italia, un forte interesse per lo studio delle migrazioni internazionali e una non comune capacità di lavoro, assume l’incarico di direttore operativo e direttore di ricerca del Centro di Ricerche e Servizi per la Comunità cinese, organismo, come l’autrice ricorda, progettato, fondato e attivato in origine – in connessione con l’assessorato alle politiche sociali dell’amministrazione pratese – da un piccolo grupppo di persone (quattro per l’esattezza) del quale lei stessa era parte.
L’attività del Centro (la cui denominazione due anni dopo verrà modificata in Centro di Servizi per l’Immigrazione) proseguirà ininterrotta sotto la sua direzione fino al 2007, anno in cui l’amministrazione pratese ne deciderà la chiusura.
La particolare natura del lavoro svolto dall’autrice e dai suoi collaboratori in quegli anni, la fecondità delle domande postesi nella fase iniziale e delle opzioni di metodo e di categorie interpretative che ne sono scaturite, sono oggetto documentato e discusso nel capitolo introduttivo del libro.
Il senso di quelle scelte e le loro implicazioni ai livelli sia teorico sia operativo emergono ripetutamente nei successivi capitoli, nella forma di consapevolezza sempre ancora ribadita della particolare validità dei dati prodotti e delle conoscenze via via elaborate che hanno nutrito ogni passaggio dell’analisi, pervenendo infine al rovesciamento finale che il libro nel complesso rappresenta rispetto a tutti gli scritti precedenti dell’autrice(2).
Questo, infatti, mi pare essere il libro: come un arazzo che al termine di un meticoloso lavoro di tessitura, del quale in corso d’opera sono stati documentati tutti i gesti, i nodi e i passaggi, infine rovesciato riveli nel disegno complessivo – in ogni sfumatura e relazione tra le parti – il significato dell’operazione portata a termine.
Considerato in questa luce, l’esempio di Prato assume la funzione di una parabola il cui obiettivo comunicativo va oltre la ricostruzione delle dinamiche attraverso le quali uno specifico comparto produttivo è nato e si è affermato in uno specifico territorio.
La stessa fotografia della fila di panni pret-a-porter sulla copertina del libro è un’immagine tangibile, materiale, di un prodotto che rimanda (diventandone esso stesso, localmente e in una prospettiva assai più vasta, un elemento attivo) al «quadro complessivo multidimensionale di una realtà ripetutamente attraversata e riplasmata di processi i cui percorsi presentano via via rallentamenti, accelerazioni, deviazioni ». Leggendo queste parole come un modo sintetico di rievocare le scelte e gli sviluppi della ricerca, non sembra difficile comprenderne le implicazioni rispetto ai limiti di cui ha sofferto gran parte delle indagini italiane sulla «nuova immigrazione» privilegiando in sostanza approcci di tipo culturalistico o per altro verso insistendo in considerazioni unilaterali – dunque comunque statiche – del rapporto domanda/offerta di forza lavoro riferite alla sola problematica della cosiddetta « integrazione » di migranti.
A questo clima reagisce sin dalla metà degli anni novanta Antonella Ceccagno, muovendo da una riflessione critica sui limiti di un modello di diaspora cinese ed ampliandone via via la portata alla luce dell’esperienza d’intervento già in corso a Prato. All’origine di quelle difficoltà di interpretazione – ipotizza – sta l’incapacità di vedere nella questione migratoria una delle vie strategiche di approccio ai cambiamenti strutturali in atto nell’economia e nella società. Conseguenze di quella debolezza prospettica appaiono l’insufficiente chiarezza, determinazione e disponibilità (evidenti a livello tanto di studi e ricerche quanto di formulazioni di politiche e di impostazioni e pratiche di intervento) a interpretare l’insieme dei fenomeni connessi agli arrivi e allo stabilirsi di migranti in contesti locali come portato di interazioni che nascono e si svolgono nel quadro di processi generali già in atto. Tali sono infatti le trasformazioni del mercato del lavoro, dei livelli e della struttura dell’occupazione, come la crisi già da tempo conclamata dei modelli di organizzazione dei processi produttivi e del lavoro, di contrattazione, di gerarchizzazione delle professioni. In altri termini – sottolinea l’autrice – : dei meccanismi che regolano i processi di inclusione/esclusione in questa società.
Su questi punti fermi è nato e ha preso corpo il progetto di ricerca su Prato come città, come sede di uno specifico settore produttivo e come polo di migranti.
Ma né la città, né i migranti – avverte l’autrice – sono stati focalizzati come oggetti privilegiati dell’analisi: Prato è stata assunta come punto dal quale osservare traiettorie e dinamiche di potere che coinvolgono tanto gli autoctoni quanto i soggetti con statuto di migranti.
Il quadro che la ricerca infine ha restituito, conferma appieno sia le ipotesi generali sia la loro applicazione nell’analisi della metamorfosi pratese.
Persuasiva appare l’immagine complessivamente in movimento di una città e d’un territorio impegnati nel corso di un trentennio in intense dinamiche di cambiamento a molteplici livelli.
Particolarmente stimolante, per le implicazioni teoriche dichiarate e discusse nei diversi capitoli, è per il lettore seguire lo snodarsi e l’arricchirsi – all’interno di quel quadro – dell’analisi dei progressivi cambiamenti che hanno interessato il lavoro (immigrato e locale) e dei differenti fattori che ne hanno influenzato, condizionato e orientato modalità e percorsi. E soprattutto l’analisi dei conflitti e delle reazioni di varia natura e intensità che hanno marcato le diverse fasi di quei percorsi, rivelando agli occhi del ricercatore la loro realtà (non percepita o in differenti modi fraintesa, nell’immediato, dagli attori diretti) di momenti di interazione destinati, appunto, ad alimentare le dinamiche di cambiamento di tutti i soggetti sociali e istituzionali coinvolti nel processo di ristrutturazione del territorio a molteplici livelli.
La ricostruzione della complessa vicenda che il libro propone al lettore ha infine richiesto all’autrice stessa un’operazione di rilettura e di definitiva elaborazione delle informazioni raccolte e dei dati (quantitativi e qualitativi) prodotti nel corso della lunga e complessa esperienza partecipativa e di rilevazione che sembra riduttivo definire « lavoro di campo ».
Qualche parola sul rapporto tra la qualità dei dati e i riferimenti teorici con i quali l’autrice si è misurata nel corso di tale operazione conclude dunque questo sommario invito alla lettura di un testo assai ricco di stimoli alla discussione e di motivazioni alla ricerca.
Quanto ai riferimenti teorici discussi nei diversi capitoli del libro, ciò che attira immediatamente l’attenzione del lettore è l’ampiezza e la varietà di ambiti disciplinari ai quali l’autrice dedica attenzione critica, traendone vuoi elementi utili alla messa a punto delle scelte di metodo e organizzative, vuoi la disponibilità di concetti e categorie analitiche atti a favorire una definizione dei fattori in gioco e un’interpretazione delle interazioni e delle dinamiche in cui sono coinvolti. Una definizione – è opportuno ricordare – che ne permetta anche una lettura assai più ampia di quella – per altro esemplare – legata alle vicende di Prato.
In quest’ottica, l’ampiezza dell’arco di riferimenti disciplinari (sociologia del lavoro, storiografia, studi urbani, studi sulle migrazioni) è ad esempio indicato da Sandro Mezzadra in un breve passaggio citato nella quarta di copertina, come la caratteristica saliente del lavoro dell’autrice a cui sarebbe appunto connesso in sostanza il valore del libro come «contributo decisivo per la comprensione di tematiche quali migrazione, transnazionalismo, regimi lavorativi, ben oltre lo specifico caso di Prato».
Il succo di questo giudizio sembra in sostanza consistere nel sottolineare l’indubbio valore scientifico di un lavoro che secondo la vulgata accademica si presenta esplicitamente come un’opera di confine; nel senso – qui inteso positivo – che contribuisce in misura significativa allo sviluppo della ricerca in diversi ambiti disciplinari(3).
Condivisibile come esigenza di chiarezza, nella sua formulazione esso appare però parziale alla luce dell’esigenza espressa con decisione dall’oxfordiano Biao Xiang nel sintetico brano che segue immediatamente quello di Mezzadra: «oltre il fatto di essere un contributo di valore alla ricerca accademica in materia di immigrazione, globalizzazione e studi urbani, questo libro fa presente l’urgente necessità di intervenire nei dibattiti pubblici sull’integrazione sociale».
In altri termini, nel valutare il libro non ci si può limitare a dichiararne il valore scientifico e dunque a metterne in luce l’importanza come opera esemplare nell’ambito delle ricerche sulla
società. Anzi, proprio per apprezzare adeguatamente quell’aspetto nel corso della lettura si è indotti a dare attenzione al significato politico dei contenuti che la narrazione stessa in cui si snoda l’analisi trasmette.
La domanda più intrigante che dunque si impone, in chiusura di questa nota di lettura, è quale sia, tra tutti gli elementi sin qui presi sommariamente in considerazione, quello che sembra più di altri influire su quel valore aggiunto che non può essere considerato un accidente marginale nell’economia sia della ricerca sia del libro. Che tale non sia è tra l’altro evidenziato dalla frequenza e dalla varietà dei significati con cui il termine integrazione è tornato in questo periodo a circolare nel dibattito politico europeo.
A parere di chi scrive – che su questo argomento si propone comunque di tornare in modo più organico e approfondito – la radice va ricercata principalmente nella qualità delle informazioni raccolte e dei dati prodotti soprattutto nel decennio iniziale della ricerca. Ovvero nella natura dei rapporti e delle relazioni sviluppati in corso d’opera da ricercatori che erano anche (in quanto erogatori di servizi e operatori dell’amministrazione locale) concretamente identificabili anch’essi tra i protagonisti degli eventi e delle contraddizioni in corso nel contesto locale. Osando utilizzare un termine per molti versi ambiguo e difficile da maneggiare, ciò equivale ad attribuire un maggior grado di verità al materiale che ha nutruito le elaborazioni dell’autrice. Un quadro completo e a tratti anche particolarmente coinvolgente di cosa ciò abbia comportato per i ricercatori nel corso del concreto svolgersi dei processi osservati si può trovare in particolare nei paragrafi 5, 6 e 7 del capitolo introduttivo del libro. Ma sembra giusto ricordare che enunciazioni assai chiare sugli interessi di fondo che hanno guidato l’impresa sin dagli inizi e in particolare hanno determinato la scelta della partecipazione osservante («essere cioè realmente nel processo ed esercitare avvertiti statuti riflessivi in esso») erano già espresse da Antonella Ceccagno nel libro già citato del 1997 (4).
NOTE
(1) Sugli anni della crisi si veda anche il recente intervento di A. Ceccagno, « Il puzzle del lavoro cinese nella crisi economica », in : Ravera, M. E Sacchetti, D. (2018), Cinesi tra le maglie del lavoro F. Angeli, Milano.
(2) Un elenco delle precedenti pubblicazioni dell’autrice e dei collaboratori è parte della bibliografia del libro in esame. Di particolare interesse per un lettore italiano che voglia ripercorrere le fasi precedenti del percorso pratese (in ordine conologico di pubblicazione) : A. Ceccagno (a cura), Il caso delle comunità cinesi. Comunicazione interculturale ed istituzioni, Roma 1997 ; A. Ceccagno, Migranti a Prato. Il distretto tessile multietnico, Milano 2003 ; A. Ceccagno e R. Rastelli, Ombre cinesi ? Dinamiche migratorie della diaspora cinese in Italia, Roma 2008.
(3) Da questo punto di vista le scelte dell’autrice possono essere lette anche come una proposta alternativa rispetto a quella – rivelatasi spesso deludente – del concorso cosiddetto « interdisciplinare » inteso in realtà come semplice raccolta di contributi specialistici su un medesimo oggetto di indagine.
(4) Il caso delle comunità cinesi (cit.). Si vedano in particolare l’Introduzione e, nell’ambito della seconda parte, che documenta i primi due anni di intervento a Prato, i captoli « Dinamiche interculturali nella gestione dei servizi agli immigrati cinesi » e « Imprenditoria cinese e strumenti bancari », firmati dalla curatrice del volume.
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