Saura Sermenghi: La lavandaia in Via della Grada a Bologna che “nella sua nudità lava e si lava”
Armando Sarti mi ha segnalato le caratteristiche e la storia di una bellissima statua, la Lavandaia di Via della Grada a Bologna, realizzata da Saura Sermenghi. Al suo testo ho allegato un’articolo di Marco Poli su questa statua e Saura Sermenghi mi ha segnalato un altro testo di Marco Poli “a conferma del fatto che quel che accadeva in via della Grada era tipico delle aree attorno ai lavatoi” (v.c.)
1. Saura Sermenghi: Considerazioni sulla mia scultura La lavandaia
Operativamente ADDA consultò, presso l’ufficio comunale Qualità Urbana, gli elenchi di spazi pubblici da riqualificare e formalizzò quattro proposte progettuali che presentò alla Giuria Comitato Bologna 2000. I progetti approvati furono: di fianco alla Salara (un’ opera di Anna Boschi), davanti al Palazzo della Mercanzia (un’ opera di Emanuela Santoro), a porta Zamboni (un’ opera di Benedetta Jandolo) ed in via della Grada (un’ opera di Saura Sermenghi).
I precedenti storici del progetto Via della Grada
Il canale di Reno, frutto di un’antichissima opera di sbarramento fluviale a Casalecchio e di un’efficienza garantita per secoli attraverso forme organizzative di grandissima civiltà, entra in Bologna vicino alla Chiesa di S.Maria della Grada e, seguendo un percorso che corrisponde a quella che non casualmente si chiama ora Via Riva di Reno, si inoltra dentro il cuore della città.
In questa area per secoli si sono stipati mulini, opifici, osterie, lavanderie, poi bagni pubblici, e la prima turbina idroelettrica cittadina. Qui si assistette ad un affollamento di tutti coloro che avevano a che fare, per necessità o per piacere con l’acqua: operai, artigiani, barcaioli, facchini, nuotatori improvvisati e lavandaie.
Negli anni cinquanta il canale di Reno, nella parte che entrava in città, fu tombato e diventò poi così un luogo anonimo, casuale, senza identità: un parcheggio, qualche aiuola, un chiosco. Su tutto, implacabile, il traffico e nient’altro.
Riqualificazione del luogo con il progetto Via della Grada
Il progetto intese riqualificare uno spazio urbano mediante un’operazione artistica che utilizza un accenno storico alla passata identità del luogo stesso e che si ispira ad una caratteristica di questa identità peculiare e cioè il lavare delle lavandaie. Tale intenzione si sarebbe concretizzata attraverso un’inversione del movimento dell’attuale oblio volendo ottenere che per una volta fosse l’acqua – sepolta sotto terra – a riaffiorare dall’asfalto. Si progettarono due vasche che, come grandi gocce d’acqua di forma concentrica con caduta d’acqua rasoterra, punteggiassero discretamente quello che era il percorso del canale. Si ideò un gruppo di sculture che rappresentassero le lavandaie nell’atto del lavare i panni e di lavarsi. Tali sculture sarebbero state realizzate con statue in bronzo poste sul bordo delle due vasche.
Questo intervento progettuale specifico per Via della Grada nel punto d’incrocio con Via S.Felice fu accettato dal Comitato Bologna 2000 per “Bologna Città Europea della Cultura” e venne attribuita una somma in denaro per la sua realizzazione, mentre gli uffici del Comune di Bologna permisero la realizzazione della sola parte scultorea.
La scultura La lavandaia nel progetto Via della Grada
La concezione di tale scultura nasce da un sogno metafisico atto a trasformare l’atto del lavare i panni in un tema simbolico di purificazione. L’utilizzo di una bacinella di alluminio, quale veniva usata per lavare i panni e lavarsi nell’epoca in cui non erano ancora installate le condotte idriche nelle abitazioni, serve per rafforzare la rappresentazione dell’azione lavare/lavarsi. La mia personale intenzione fu di ideare un riferimento al senso più generale ed ampio dell’atto del lavare e cioè concentrarsi sul tema della purificazione. L’acqua che scorre è freschezza, nitore, purezza, limpidezza, rinnovamento, purificazione. Colpisce profondamente pensare che in tutte le culture religiose conosciute l’acqua è soggetto/oggetto di un simbolismo universale ricco di significati metafisici: il fiume sacro, la fontana della giovinezza, la fonte battesimale, i lavacri davanti alle moschee, la liturgia delle aspersioni…
Quel che mi interessò fu l’operazione del trasformare l’acqua ed il suo utilizzo nella materia libera del sogno e della creazione artistica secondo la “Psicanoalisi delle acque” di Gaston Bachelard .
“Qualsiasi purificazione deve essere intesa come l’azione di una sostanza. La psicologia sulla purificazione deriva da un’immagine materiale e non da un’esperienza esterna. La “lavatura” è la metafora, l’espressione chiara, e l’aspersione l’operazione reale ossia l’operazione che porta con sè la realtà dell’operazione. Proprio perchè l’acqua possiede una forza intima, può purificare l’essere intimo, può restituire all’anima il candore della neve. Viene lavato moralmente colui che viene asperso fisicamente. Esempio di una legge fondamentale dell’immaginazione materiale: per l’immaginazione materiale, la sostanza valorizzata può agire, anche in una quantità infinitesima su una massa molto grande di altre sostanze.” (“Psicoanalisi dell’acqua” di Gastone Bachelard, Red Edizioni, 1992)
Realizzare questa scultura mi permise di misurarmi con un tema affascinante: quello dell’acqua. In questo specifico caso, ciò avvenne attraverso l’immagine materiale di una lavandaia che, nella sua nudità, lava e si lava.
Dopo la collocazione della scultura della lavandaia in Via della Grada, sono stata costretta, dalle polemiche e dagli articoli apparsi sui giornali, a rendermi conto della provocazione insita nella fisicità dell’atto del lavare.
“….Ora, si sa benissimo in quale posizione si mettano le lavandaie…Oddio, lo sanno le persone che le hanno viste, le lavandaie. Oggi ci sono le lavatrici, così una delle cose più belle della natura non si vede più. Alludo a quelle rotondità oscillanti in moto che le lavandaie offrivano ai passanti. Ecco perché il giullare, carogna, dice: “quando ti vidi nella posizione del lavare…quando avevi addosso il saio, di te m’innamorai”.S’innamorò, come dice Brecht, “di quello che il padreterno creò con grazia maestosa, …” (“Mistero buffo” di Dario Fo a cura di Franca Rame, Einaudi tascabili Stile Libero, 1997).
Dopo alcuni anni
Dopo alcuni anni dalla messa in opera della scultura in Via della Grada rifletto sulla rappresentazione della postura dell’atto del lavare che ha provocato reazioni inneggianti alla censura da parte di alcuni. La situazione della lavandaia che lava alla fonte pubblica implicava un gioco di ruoli fra chi guarda e chi è guardato senza possibilità di scambio fra la condizione attiva e quella passiva … a meno che … altri sguardi osservino. In questa contingenza, anche se in un tempo storico circoscritto nel passato per alcuni ed invece non per altri, si smaschera e si svela il meccanismo dei giochi di ruolo.
Nel contesto specifico della scultura posizionata in Via della Grada se una terza persona esamina colui che guarda la scultura, l’attenzione si sposta sullo sguardo di chi osserva la scultura e non più sulla scultura. Così, nel qui ed ora viene palesato lo sguardo di chi osserva e, in una trasposizione metafisica temporale, viene smascherato, mostrato e riproposto lo sguardo ossessivo di chi stava lì ad osservare il corpo delle lavandaie facendo finta di niente. La vera provocazione attuale non è la scultura in sé ma lo svelamento di tali ruoli e la rappresentazione dello sguardo morboso sulla lavandaia.
Raccontai ad alcuni conoscenti che mi stavo accingendo a realizzare una scultura in Via della Grada in onore di chi aveva contribuito, con il proprio duro lavoro, a caratterizzare quei luoghi e cioè le lavandaie.
Di queste persone di genere maschile ce n’erano alcune le quali non mi lasciavano nemmeno finire di parlare che già iniziavano a rimembrare il tempo in cui si recavano in Via della Grada per osservare le lavandaie al lavoro. E più precisamente, ad esplorare visivamente i centimetri di pelle che il movimento ritmico del lavare lasciava intravedere. Si era “istituzionalizzato” un cinema gratuito all’aperto in cui era data la possibilità agli spettatori di partecipare al gioco del “guardo senza essere guardato” in un periodo storico inoltre, nel quale il corpo delle donne era una questione da celare. In questa occasione rara, dunque, si presentava ai viandanti “per caso” l’opportunità di indagare quel che raramente si sarebbe potuto analizzare anche privatamente nell’intimità delle proprie case. Mi immagino che questi osservatori si posizionassero come se stessero ad esaminare un artigiano intento ad eseguire con maestria il proprio lavoro ed, in realtà, non spostassero nemmeno per un secondo lo sguardo da ben determinate e circoscritte porzioni di pelle.”
Mi figuro questi simpatici Mimì Metallurgici con le palpebre abbassate, lo sguardo fra il finto annoiato e l’acuminato, fissare le lavandaie concentrate nella loro opera le quali, un pò molestate ed un pò rassegnate reagivano urlando qualche improperio.
Un amico che frequentava da ragazzo Via della Grada mi ha raccontato una barzelletta molto conosciuta in quel periodo sulla questione: “In via della Grada, lungo il canale del Reno, di fronte ad alcune lavandaie, un signore è appostato in osservazione. Passa un suo conoscente che gli chiede: “Ma cosa fai? Questi risponde: Io? Lavoro alla Ducati!”
Nella seconda metà dell’Ottocento, la bella chiesa di S. Maria della Misericordia a porta Castiglione fu retta dal parroco Luigi Campi. Quando assunse la responsabilità della parrocchia l’area di 235.00 mq, che fra il 1875 e il 1879 divenne i Giardini Margherita, era semplicimente una grande distesa di terreno. Accanto alla chiesa, fuori dalle mura cittadine, vi era un antico mulino, il “Mulino della Misericordia”, attivo fino a 50 anni fa (ora è una civile abitazione con esercizio di farmacia). La chiesa sorgeva, comunque, in un contesto urbano con abitazioni e frequentazioni ( proprio per la presenza del mulino ) e accanto ad essa scorreva il canale di Savena.
Mancava, però, un lavatoio e le donne erano costrette a lunghi tragitti per trovare il modo di lavare i panni. Si rivolsero così a Don Luigi il quale prese a cuore la questione e se ne fece interprete presso il Comune. Ottenuti i permessi occorreva trovare il denaro necessario: oltre a qualche soldo raccolto presso i fedeli, il parroco decise di alienare ai proprietari del mulino, che ne avevano necessità per procedere ad una ristrutturazion dello stesso, una parte di terreno circostante. Con quel denaro fu possibile eseguire i lavori e, prima dell’inaugurazione dei Giardini Margherita avvenuta il 6 luglio 1879, il lavatoio era già in funzione per la gioia delle donne.
Ma – cosa non prevista dal parroco – anche per la gioia degli uomini e dei ragazzi: infatti, i ragazzi trasformarono il lavatoio in piscina disturbando il vicinato con schiamazzi e – cosa ancor più grave per don Luigi Campi – gruppi di uomini avevano preso a stazionare al lavatoio per osservare le grazie delle lavandaie. Questo attegggiamento morboso dei maschi preoccupò il parroco che si trovò nel dilemma fra anime “sporche” e panni puliti.
Prevalse la tutela della moralità e don Luigi, pentito della sua generosità, chiuse il lavatoio nel 1887.
Category: Arte e Poesia