José Joaquín Beeme: Valle-Inclán italianizzante. Appunti estetico-politici

| 30 Ottobre 2025 | Comments (0)

 

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José Joaquín Beeme

Fundación del Garabato

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Valle-Inclán italianizzante. Appunti estetico-politici

Ramón María del Valle-Inclán, probabilmente assieme a García Lorca il più grande innovatore del teatro contemporaneo in lingua spagnola, ebbe un rapporto cruciale con l’Italia, sia impregnando la sua scrittura di cultura italiana che incrociando la politica e le istituzioni del Bel Paese. Andiamo a sbirciare i momenti più salienti, che senz’altro meriterebbero più spazio e una ricerca più approfondita: servano queste poche righe come spunto.

Modernista in gioventù, soprattutto col ciclo delle quattro “sonatas”, diede alla Sonata di primavera un’ambientazione nettamente italiana, tra l’estetismo galante di D’Annunzio e gli effluvi satanici di Barbey d’Aurevilly, facendo alleggiare Raffaello, Leonardo e i primitivi italiani nelle voluttuose descrizioni di gesti, abiti, stanze e giardini. Senza però conoscere ancora direttamente l’Italia.

Il suo dongiovanni protagonista, Marchese di Bradomín, si reca in una città degli stati pontifici, vagamente tirrenica, chiamata Ligura, che evoca le residenze dei Borbón-Parma, allora i suoi amati carlisti della tradizione cattolico-monarchica: questo il suo credo politico giovanile (Cavaliere dell’Ordine della Legittimità Proscritta…) finché prese coscienza e iniziò una deriva verso un sincero repubblicanesimo. Infatti questo marchese libertino, arrivato come guardia papale da Roma presso il Collegio Clementino, si adagia nel palazzo della principessa Gaetani, della nobiltà nera, e cerca di sedurre la più grande delle sue cinque belle figlie, María Rosario, che sta per entrare in noviziato come carmelitana, e lo farà con arti mutuate dal suo padre spirituale, Giacomo Casanova. Spirituale ma anche letterario, poiché qualche episodio delle Memorie casanoviane si inserisce qui a mo’ di sottotesto: un maleficio da strega segnalato da un frate cappuccino, o anche l’avvelenamento di un antenato ad opera de La Corticelli, cantante forsennata che si annovera tra le conquiste del veneziano.

Il Cavaliere di Seingalt compare pure nella Farsa italiana dell’innamorata del re, uno dei suoi spettacoli per marionette. Perfino parla italiano, questo Jacobo scappato dalla Francia, col protagonista Mastro Lotario, un gentiluomo di Romagna come lui fuggiasco, che mette in rima e mandolino drammi come quello della martire Genoveffa di Parigi. Gli capita di far innamorare, donchisciottescamente, la ragazza di una locanda di Montiel (Ciudad Real) que scioccamente scambia un grottesco monarca di operetta per un giovane bellimbusto.

Questo dandismo spavaldo, sacrilego e assai demoniaco, fu la prima maniera di Valle-Inclán. Appassionato di saperi esoterici, si interessò di occultismo ma anche di psichismo. Senza avere esperienza diretta, e dietro informazioni del suo amico argentino Otero Acevedo, disse di aver assistito alle sedute di Cesare Lombroso con la medium pugliese Eusapia Palladino a Napoli, nel 1891: dopo essere stato testimone della levitazione di sedie e tavoli, di strani colpi e campanelli, luci galleggianti e pizzicotti, il criminologo veronese si ricredette in fatto di fenomeni spiritici. Non era l’unica volta in cui lo scrittore spagnolo si immischiava in faccende di pseudoscienza: in un’altra occasione accompagnò il Nobel Ramón y Cajal nella verifica neurologica (e pure psichiatrica) di un uomo che sosteneva di avere raggi X negli occhi e che fu smascherato dal mago Houdini.

Ma torniamo in politica, inscindibile dal suo fare artistico. Affascinato inizialmente dalle sfilate fasciste e dalla fede che gli italiani sembravano avere nel suo destino storico, guidati dalla “furia dinamica” dell’uomo provvidenziale, Valle-Inclán avrebbe promosso Roma neoimperiale a capitale degli Stati Uniti di Europa ipotizzati da Aristide Briand. Rapito da questo “fascismo scenico”, che altro non era che una religione di massa, un giubileo laico, ridicolizzava invece lo squallido boato vaticano: “niente di più anacronistico e falso”. Il che fece esclamare Lorca, indignato: “Adesso ci arriva fascista dall’Italia: viene voglia di trascinarlo per la barba…”

Comunque si disse favorevole anche ad una dittatura alla Lenin, in quanto avrebbe eliminato le classi sociali. Poi ci ripensò, e pare che chiamò balordo il duce perché non l’aveva riconosciuto a Palazzo Venezia; “Mussolini non è amato—confidò alla stampa—, lo temono. Lodato ad alta voce, in segreto si fanno molte battute a sue spese. Il suo migliore alleato è la paura, la terrificante paura che incute. Ma questa paura deve finire, altrimenti l’Italia finirebbe da far paura.”

Ma accanito oppositore della dittatura militare di Primo di Rivera, che gli fece subire il carcere, Valle accolse con piacere la Seconda Repubblica che cacciò via i Borboni. Si candidò perfino al Parlamento costituente, senza successo, per la coalizione Alleanza Repubblicana.

Nominato dal governo repubblicano, il 1º aprile 1933 iniziò suo mandato come direttore dell’Accademia di Belle Arti di Spagna a Roma. Appena divorziato, dopo il fallimento dell’editrice CIAP (Compagnia Iberoamericana di Pubblicazioni) che avrebbe dovuto dare alla stampa la sua opera omnia, arriva nella capitale con quattro figli, una istitutrice e due serve.

Non fece molto in qualità di direttore, anche se mantenne la carica fino alla morte, preferendo di gran lunga far ritorno alla letteratura, che gli era più congeniale. L’ambasciatore spagnolo, interpellato riguardo alla sua gestione, gira questo cablogramma a Madrid: “[Valle] vegeta malinconicamente, tutto il giorno a letto o vagando per le gallerie della vecchia grande casa”, anche se “non ha commesso alcun errore o stravaganza grave che giustifichi il suo licenziamento immediato.”

Il poeta Rafael Alberti lo incontra l’anno seguente e nel 1963, quando tornerà per trascorrere l’esilio (trasferitosi dall’Argentina) fino al ristabilimento della democrazia, lascerà questo sonetto, appartenente al libro Roma, peligro para caminantes (Joaquín Mortiz, Messico, 1968), dove girovaga la bizzarra figura monca dell’amico:

Oigo llover tus barbas largamente

esta noche de Roma por lo oscuro,

de jardín en jardín, de muro en muro,

rotas columnas y de fuente en fuente.

 Oigo tu voz de sátiro demente

y oigo tu solo brazo alzarse duro

contra esta noche, extraño sueño impuro

de un alma en pena que vagara ausente.

 Oigo tu voz… Te siento aquí a mi lado.

Voy en tus ciegas barbas enredado

como una insomne sombra clandestina,

 y te sigo del Foro al Palatino,

del Gianicolo al Pincio, al Aventino

o a los jardines de la Farnesina.

 Nella nostra traduzione:

Ascolto piovere le tue barbe lungamente
questa notte di Roma nel buio,
da giardino in giardino, da muro a muro,
rotte colonne, e da fontana in fontana.

Ascolto la tua voce di satiro pazzo

e ascolto la tua unica braccia che dura si alza
contro questa notte, strano sonno impuro
di un’anima in pena che vagasse assente.

Ascolto la tua voce… Ti sento qui accanto.
Sono nelle tue cieche barbe aggrovigliato
come un’insonne ombra clandestina,

e ti inseguo dal Foro al Palatino,

dal Gianicolo al Pincio, all’Avventino

o ai giardini della Farnesina.

Stufo di burocrazia e dell’indisciplina dei pensionati all’accademia, che si portavano in camera delle belle di notte, la sua intermitente gestione non arrivò a tre anni. Se ne tornò, per curare un cancro di vescica, alla sua Galizia nativa, dove morì qualche mese dopo. L’accademia, diceva, è “un putiferio … tiratemi fuori da questo purgatorio!” E si lamentava al rettore della chiesa di San Pietro in Montorio, proprietà del governo spagnolo, delle “taifas di pellegrine” che facevano “beffa della Repubblica” portando bandiere dell’“infausta monarchia”; se non provvedevano, minacciava, avrebbe ordinato ai servi di cacciarle. Arrivò a confrontarsi per strada con i monarchici di Goicoechea, presidente di Rinnovazione Spagnola, che a Roma cercava, e ottenne, da Mussolini e Ciano un sostegno finanziario e militare per il golpe che schiacciò la Repubblica.

Alla fine dell’avventura romana, Valle lasciò nei locali dell’accademia un cappotto, un’Itala pagata a rate e le Memorie di Casanova in 22 volumi. Sembrava chiuso il resoconto ufficiale, ma l’anno 1985 ne aggiunse qualche sorpresa. Nel 50º anniversario della sua scomparsa, l’ambasciatore spagnolo frugò ancora negli archivi e trovò, tra una caffettiera d’alcol, una croce e qualche spicciolo di pesetas, un paio di scarpe di vernice e alcuni documenti vergati, due cappelli di donna. Si avanzarono due ipotesi alquanto melodrammatiche: chi puntò su una principessa amica di Mussolini, il che lo avrebbe reso geloso dello spagnolo; chi su una bella napoletana (?) di cui lo scrittore si sarebbe pazzamente innamorato…

Non abbandoniamo il fruttuoso periodo romano perché, in fatto di drammaturgia, intenso fu lo scambio di Valle con l’Italia, prima ancora di metterci piede. Amava, dalla stagione in cui si presentò con grande successo a Madrid, il Teatro dei Piccoli, quei robot cromatici e quelle marionette musicali che, più umani degli umani, salterellavano in uno spazio minuscolo. Il friulano Vittorio Podrecca adattava così racconti di Guignol, opere buffe e classici teatrali, e i suoi fantocci parlanti, i suoi burattini dal volto umano impressionarono fortemente Valle-Inclán, che ne trasse ispirazione per una nuova visione plastica, dinamica, confluita nel suo “teatro per pupazzi” poi conosciuto come “esperpento’’.

Più tardi Anton Giulio Bragaglia, che voleva opere d’avanguardia per il suo Teatro Sperimentale degli Indipendenti, ricevette da lui diverse pièces grottesche, improntate sull’originale espressionismo alla spagnola che il mastro galiziano battezzò, per l’appunto, esperpento. C’era una vicendevole simpatia, per cui il regista di Frosinone ammirava questo “D’Annunzio galiziano” per il preziosismo verbale e la rarità delle immagini: “D’Annunzio nella forma, picaro nella sostanza”, parente stretto del Lazarillo, del Pitocco di Quevedo o della Celestina. E lavorò infatti con lo scrittore in Gianicolo alla traduzione e allestimento della farsa tragicomica Le corna di don Friolera, una satira antimilitare in cui un tenente della guardia civil (carabinieri) vendica l’onore del corpo uccidendo suo malgrado la moglie, presunta infedele, assieme al barbiere suo seduttore. Andò in scena al Teatro Valle il 10 novembre 1934, con Ernesto Marini e Amelia Pellegrini, e nel 1951 lo stesso Bragaglia lo ripropose a Napoli, Teatro Floridiana, e al Quirino di Roma con la compagnia di Peppino De Filippo.

Il Teatro Universitario di Roma, nel 1947, portò in scena Divine parole, una tragicommedia crudele, ambientata nella profonda Galizia, che narra di un bambino idrocefalo usato come fenomeno da baraccone. Giulietta Masina ebbe qui un ruolo da protagonista, poco prima di affacciarsi al cinema ma già sposa di Federico Fellini. Mancavano due anni al suo debutto nella regia e Fellini aveva scritto L’amore (1948) per Rossellini, film in due parti unite dalla presenza immensa di Anna Magnani. La prima era una riduzione de La voce umana di Cocteau, e l’attrice offre uno straziante monologo telefonico che è una vera prova di fuoco e lacrime, di solitudine e disperazione davanti all’inappellabile fine dell’amore. Nel secondo episodio, Il miracolo, un vagabondo (che ha le fattezze dello stesso Fellini) ingravida, ubriacandola, un’ingenua capraia che, credendo di aver ricevuto il seme del suo caro San Giuseppe, il compagno ideale per volare in estasi, resta in attesa del Messia che porta in grembo, ormai ridotta in mendicità, in mezzo alla derisione del paese.

Ci fu però chi individuò un plagio in questo soggetto felliniano: secondo Paco Madrid, un critico di cinema e teatro esiliato a Buenos Aires e amico di Valle-Inclán, l’argomento di Il miracolo era molto somigliante ad una “leggenda millenaria” scritta dal giovane Valle, Fior di santità, in cui una ragazza contadina, sedotta e abbandonata da un pellegrino piuttosto luciferino che lei crede il Cristo in persona, è vittima di un’analoga allucinazione religiosa. La Galizia superstiziosa diventa nel film la costa amalfitana, Ádega diventa Nannina, ma tutte e due conoscono l’amore carnale e sacrilego che le farà inabissare. Fellini, sedicente gran bugiardo, vagamente ricordava di aver letto la storiella su un giornale francese, o forse russo. Ma sicuramente la fonte di entrambi è il Decamerone (IV, II). Fatto sta che il regista inaugura il prototipo di donne ingenue (Wanda, Gelsomina, Cabiria) e che, come Valle-Inclán, perseguirà la propria “musa grottesca”, distorta, caricaturesca, popolare e carnevalesca. Mostruosamente circense per il maestro di Rimini, mentre nelle storie di questo primo Valle, del cui teatro, quanto a montaggio e inquadrature, sovente si sottolineano le qualità cinematografiche, troviamo ancora una corte dei miracoli rurale, primitiva, oscuramente superstiziosa (articolata in una struttura di pala d’altare, episodica, in cui primeggia la simultaneità dell’azione).

Se la farsa di radice italiana ha come eredi i sogni deformanti di Fellini, le agrodolci commedie di Monicelli e Risi, fino ad arrivare alle decadenti visioni contemporanee di Sorrentino, l’esperpento —più vicino al disparate goyesco che a un inoffensivo mostriciattolo, come bonariamente traduce Treccani— porta direttamente a registi improntati all’umore surreale e addirittura nero come Berlanga o (accomunati dallo splendido sceneggiatore Rafael Azcona) il milanese Marco Ferreri, a partire del suo esordio, Fernán-Gómez, Trueba o Álex de la Iglesia. Ma l’albero genealogico del grottesco filmico, al giorno d’oggi, è tutt’altro che marcio.

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Per saperne di più:

Dianella GAMBINI, La Sonata de primavera de Valle-Inclán. Un caleidoscopio intertextual e hipertextual, Renacimiento, Siviglia, 2014

—(ed), Homenaje a Don Ramón del Valle-Inclán (Roma, 8.11.1985), Atti, Roma, 1986

—, “Bragaglia e l’opera tragico-farsesca di Valle-Inclán”, Insula Europea, 2024

—, “Valle-Inclán en Roma, testigo del ‘consenso’ hacia el fascismo”, in Pilar Martino e Miguel Ángel Vega (coord.), A 100 años de Versalles. De 1919 a 1939, o de la utopía versallesca a la distopía bélica, Omm Press, Madrid, 2020

Elzbieta KUNICKA, “Valle-Inclán y el Teatro dei Piccoli: una inspiración vanguardista”, I Congreso Internacional de Literatura y Cultura Españolas Contemporáneas, Universidad Nacional de La Plata, La Plata, 2008

José Carlos MAINER, “Bradomín en Roma”, Revista de Libros, Madrid, 2011

Franco MEREGALLI, “Valle-Inclán en Italia”, La literatura desde el punto de vista del receptor, Rodopi, Amsterdam, 1989

Jesús María MONGE, “Valle-Inclán y las primeras sesiones experimentales del Dr. Lombroso con Eusapia Paladino”, El Pasajero, n. 28, Università Autonoma, Barcellona, 2016

Vito PANDOLFI, “Questa stagione teatrale”, Il Dramma, Torino, 1.01.1952

Manuela PARTEARRROYO, Luces de varietés. Lo grotesco en la España de Fellini y la Italia de Valle-Inclán (o al revés), La Uña Rota, Segovia 2020

—, “Il sogno di una notte di carnevale. I miracoli grotteschi di Valle-Inclán e Fellini”, Finzioni, 2, 2022

Luis Antonio DE VILLENA, “Valle-Inclán joven en Italia”, El Mundo, Madrid, 19.02.2014

Margarita SANTOS ZAS (ed.), Todo Valle-Inclán en Roma (1933-1936), Università di Santiago de Compostela, 2010


José Joaquín Beeme

Laureato in Giurisprudenza e master in Storia ed Estetica della Cinematografia, ha lavorato come giornalista culturale (Diario 16) ed editore per diverse case editrici spagnole e italiane (Unaluna, La Torre degli Arabeschi, Altre Latitudini). Ha coordinato durante 24 anni il laboratorio audiovisivo del Joint Research Centre della Commissione Europea.

Creatore, assieme alla storica dell’arte Malena Manrique, della Fundación del Garabato, si propone di studiare e promuovere i processi creativi espressi da artisti di ogni tempo in svariati supporti e tecniche: abbozzi, taccuini, fotografie, filmati, animazioni sperimentali e qualsiasi altra forma di arte visionaria.

Category: Arte e Poesia

About Redazione: Alla Redazione operativa e a quella allargata di Inchiesta partecipano: Mario Agostinelli, Bruno Amoroso, Laura Balbo, Luciano Berselli, Eloisa Betti, Roberto Bianco, Franca Bimbi, Loris Campetti, Saveria Capecchi, Simonetta Capecchi, Vittorio Capecchi, Carla Caprioli, Sergio Caserta, Tommaso Cerusici, Francesco Ciafaloni, Alberto Cini, Barbara Cologna, Laura Corradi, Chiara Cretella, Amina Crisma, Aulo Crisma, Roberto Dall'Olio, Vilmo Ferri, Barbara Floridia, Maria Fogliaro, Andrea Gallina, Massimiliano Geraci, Ivan Franceschini, Franco di Giangirolamo, Bruno Giorgini, Bruno Maggi, Maurizio Matteuzzi, Donata Meneghelli, Marina Montella, Giovanni Mottura, Oliva Novello, Riccardo Petrella, Gabriele Polo, Enrico Pugliese, Emilio Rebecchi, Enrico Rebeggiani, Tiziano Rinaldini, Nello Rubattu, Gino Rubini, Gianni Scaltriti, Maurizio Scarpari, Angiolo Tavanti, Marco Trotta, Gian Luca Valentini, Luigi Zanolio.

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