Emilio Rebecchi: Il mio babbo ha perso il lavoro. Ma gli voglio bene lo stesso
Diffondiamo da inchiesta cartacea luglio-settembre 2014
Il mio babbo ha perso il lavoro. Ma gli voglio bene lo stesso. Lo scrive un bambino di 8 anni, che è arrivato nel mio studio insieme alla sua mamma. Il motivo della consultazione: una diagnosi di iperattività suggerita dall’insegnante . Il bambino per alcuni momenti assume posizioni strane, muove vorticosamente le braccia , saltella. Poi la crisi passa e torna la quiete. Per il resto è assolutamente normale. Il rendimento scolastico buono. L’intelligenza vivace. Chiedo se i momenti di iperattività siano riconducibili a condizioni particolari, improvvise emozioni, timori, o altro. Né la maestra né i genitori hanno trovato tracce o significati. L’agitazione motoria appare inspiegabile. Chiedo del lavoro dei genitori. La madre è impiegata in un’agenzia di pulizie; il padre é carpentiere.
Cristian, così si chiama il bambino, ha una sorella. Ama soprattutto il gioco del calcio e la collezione di carte da gioco giapponesi, quelle con potenze graduate. Recentemente il padre ha perso il lavoro perché la cooperativa edile per cui lavorava é fallita. Grazie al lavoro della madre e al denaro proveniente da cassa integrazione/disoccupazione del padre la famiglia ha ancora sufficienti entrate economiche, ma forti sono le preoccupazioni per il futuro ed i consumi si sono già ridotti. Cristian vede che il babbo è molto abbattuto. Il babbo è giù, dice . Non gioca più a pallone con me. Sta solo. Prima andavamo ai giardini, dice, e ridevamo insieme . Il babbo vorrebbe tornare a lavorare. La mamma gli dice fai questo, fai quello , ma lui risponde che lo farà dopo; come faccio io coi compiti. Mia sorella, osserva Cristian,, dice che il babbo non ha più voglia di lavorare, ma io le rispondo che non e’ vero. Ci è rimasto molto male , perché’ lo hanno messo a casa. Cristian avverte il dolore del babbo, vorrebbe aiutarlo ma non sa come fare; da grande vuol fare un lavoro che non si possa perdere. Magari il marinaio, o il poliziotto.
Gli chiedo perché a volte muova le braccia così velocemente; per mandar via i nemici. Mi risponde così e mi guarda con grandi occhi. E’ possibile che io non capisca? Certo, dico, per mandar via i nemici.
Poi Cristian se ne va e rimango solo nello studio. Penso a lui , poi a me, a tutti noi . Penso alle possibili identificazioni di un bambino , oggi. Ai modelli . Vorrà’ assomigliare ai genitori? Alla madre? Al padre? Quali saranno i suoi eroi? I suoi miti? Vorrà’ diventare marinaio o poliziotto.? E che società lo aspetta? Che testimone gli consegneremo in questa corsa a staffetta che è la vita?
Penso quindi alla nostra società , alla società’ dei consumi , e alla profonda trasformazione dell’Italia, dell’Europa, e infine di tutto il mondo; penso che abbiamo lasciato un tipo di società, dura e spesso terribile , per andare verso un’altra che è in corso di formazione e che ancora non comprendiamo appieno.
Ci saranno ancor a padri e madri? oppure figure nuove, un genitore unico? Famiglie o gruppi? Nuove aggregazioni? Il ritorno di vecchie società’? Un nuovo matriarcato ? La definitiva scomparsa del patriarcato? Cammineremo verso una società’ più’ giusta., più’ uguale? Fondata sulla scienza e sul sapere? O ci aspetta il trionfo del consumismo, la catastrofe atomica? Interrogativi quasi inutili , come potete vedere, riflessioni digestive.
Nel mentre così riflettevo ho pensato a chi più in Italia ha riflettuto su questo passaggio, su questa crisi, Su questa perdita di modelli, su questo navigare a vista nella nostra società’ dei consumi , dove tutto diventa parola effimera , dove tutto si fa nebbia leggera , anche quelle realtà’ , come pace e democrazia , per cui molti che ci hanno preceduto, hanno lottato e anche hanno lasciato la vita. Dove le stesse figure di base della società, il padre la madre (e, come dice la bibbia, onora il padre e la madre) sono messe in discussione e paiono volgere al tramonto.
Vi saranno ancora padri e madri? E se si’ come saranno? Il mio pensiero e’ andato quindi a Pier Paolo Pasolini , alle sue riflessioni, al suo contributo. Ho scritto quindi una poesia in tre tempi su di lui. Nel medesimo tempo pensavo a Cristian e al suo babbo disoccupato. Vi riporto la poesia. Poi una breve conclusione dopo la stessa
Il primo tempo della poesia si intitola
Et verbum caro factum est
Pasolini
Dribla le colonne del portico
Sorpassa la farmacia
Arriva da Nanni
Chiede se può’ guardare
Un libro
Si’ dice il commesso
…ma sei troppo giovane
O piccolo
Dice piccolo?
Delitto e castigo
L’anima catturata
…perduta
Pasolini svolta per via marchesana
Fino alla veronesi
Dove ha visto
Justine
Sui dispiaceri della virtu’
Una ragazza…
Il sorriso
Si arriccia sul labbro
Con leggerezza rimette
A posto
Il piccolo libro
Lo puoi prendere
Dice il libraio
Se ti piace lo tieni
No dice Pierpaolo
Devo ancora pagare
Quello di ieri
Il secondo tempo della poesia si intitola
Pierpaolo risponde
A Biagi
Il celebre giornalista
Ci sono alcuni compagni
Nella trasmissione in tv
Bignardi Telmon
Altri
Parlano
Del clima di oggi (1975 forse)
E di allora del 1938
Quando studiavano al galvani
Del fascismo della democrazia
E di Pasolini con Pasolini
Del suo successo della notorietà’
Non si capiscono
Lui e Biagi
Dice Pasolini
Parlare alla TV e’ parlare
Ex cathedra
Chi ascolta e’ soggiogato
Il neocapitalismo ha vinto
Siamo stati sconfitti
Sono contro lo stato
Per l’anarchia
Lei parla grazie alla TV
Risponde Biagi
Lei era comunista
Ora è’ contro i partiti
No dice Pasolini
Non sono contro i partiti
Sono contro lo stato
Per l’anarchia
Ma non qualunquista
Amo il calcio
Nel calcio i giocatori
Sono veri
Il pubblico e’ vero
Avviene qualcosa
…come a teatro
Il teatro non c’è’ più’
C’è’ la tv
Sorride Biagi
Sorridono bignardi e telmon
Sorride timidamente
Pierpaolo
Il terzo tempo della poesia si intitola
Le ceneri di Pasolini
Guardo nel tablet
I film
Il vangelo secondo Matteo
Le 120 giornate
Edipo
Decamerone
Penso ai ragazzi di vita
Alle poesie
A quelle Friulane
Agli scritti corsari
A petrolio
Le ceneri di Pasolini
Spargerle
Fra le colonne del portico
Che amava
Il portico che vien detto
Della morte
All’angolo del pavaglione
Scritto questo trittico su Pasolini mi son reso conto, rileggendo, che ancora mi occupavo della figura del padre. Può essere un padre Pasolini? La sua biografia, le scelte di vita, rendono problematica la risposta. Pasolini era il figlio, Edipo che uccide Laio, Gesù che si aggira per le colline di Palestina. Era un ragazzo di vita. Un accattone. Era il giovane che in Salò col pugno chiuso sfida i fascisti. E trova la morte.
Molto lontano quindi dalla tradizionale figura del padre, forte, severo, protettivo, a volte crudele. Padre mio perché mi hai abbandonato si chiede Gesù sul calvario. Pasolini é lontano da questa figura, non lavora in nome del padre. Ma il tempo ha consolidato la sua figura, ha sfumato gli aspetti più contingenti, lo ha trasformato in una figura di notorietà e importanza mondiale. La consapevolezza della fine di un’epoca, di una cultura, dell’egemonia culturale borghese, ci viene in buona parte da lui, dalle sue osservazioni, dalla lucidità con cui affronta la crisi che ancora ci sconvolge.
Un figlio allora o anche un padre? Una figura che si configura come tale per la forza delle idee, per la lucidità dell’analisi, una figura paterna? Mutatis mutandis il bambino che dice al padre hai perso il lavoro ma ti voglio bene lo stesso, è figlio o padre di suo padre? Ricordo Dante nel trentatreesimo del paradiso:
“Vergine madre figlia del tuo figlio”.
Dante si occupa ovviamente della divinità, ma introduce anche, forse inconsapevolmente, un nuovo concetto laico, quello dell’intreccio delle figure. La madre può essere figlia del figlio. Ma anche il padre, aggiungo io, può divenire figlio del figlio. Ed il figlio configurarsi quindi come nuovo padre. Padre del padre.
Da questa prospettiva si spostano i termini della discussione. Esiste un tramonto della figura del padre? La figura paterna evapora. O addirittura è già evaporata? O viceversa vi è semplicemente un avvicendamento? Una più veloce rotazione?
Secondo alcuni pensatori della scuola di Francoforte l’innovazione tecnica è più rapida della maturazione dei sentimenti. La figura paterna viene allora cancellata dalla rivoluzione tecnica (e scientifica) ?
Non credo. Se il padre incontra la malattia e la morte (e non per mano del figlio come nell’Edipo classico, ma per le nuove forme , anche simboliche, che la guerra ha assunto), il figlio raccoglie la bandiera. E la porta avanti.
Come la figlia eredita e cammina sulle nuove orme femminili, sempre più libere e forti, così il figlio cammina nelle impronte paterne, capisce (anche parzialmente) il dramma paterno, ne coglie l’eredità.
Lui avrà un lavoro, pensa il bambino, lui farà grandi cose, riuscirà a comprare un pallone nuovo a suo figlio ogni volta che sarà necessario. La paternità rinasce così dalle ceneri del lutto, dalla tenerezza. Non sarà un figlio tenero che ritrova un padre forte (il celebre ed abusato Telemaco), ma un figlio tenero e forte che riassume in sé e porta avanti la bandiera scivolata dalla mano del padre ferito a morte.
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