Alberto Cini: Per chiarire l’idea che ho sulla mia produzione artistica rispondo alle 8 domande di Perec

| 26 Luglio 2016 | Comments (0)
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Nel 2010  Vittorio Capecchi terminò e pubblicò la ricerca  Tecnologia e creatività a Bologna con il finanziamento della Fondazione del Monte di Bologna e  la gestione organizzativa della Luis it di Bologna diretta da Luigi Zanolio. La ricerca si concretizzò in più di sessanta video interviste ad artiste ed artisti bolognesi e la realizzazione a stampa del rapporto, redatto da Capecchi,  fu effettuata dalla Luis it. Le otto domande alle artiste ed artisti bolognesi furono prese da Capecchi dall’opera di Georges Perec , uno degli autori più amati da Capecchi. Alberto Cini, la cui opera pittorica e narrativa è stata più volte diffusa su www.inchiestaonline.it, si è incuriosita di quella ricerca (le video interviste ed il rapporto sono disponibili presso la Luis.it di Bologna) e si è cimentato nella impresa di rispondere  alle otto domande. Le opere presentate in questo testo sono di Alberto Cini.
1. Quale rapporto tra l’impalcatura scelta e la creatività
Questa è una domanda fondamentale, perché mi consente di chiarire l’idea che ho sulla mia produzione artistica. Per me l’arte non corrisponde con la creatività, anche se sono due rami espressivi che si nutrono l’uno dell’altro reciprocamente, ma non sono la stessa cosa. L’arte spesso si dibatte dentro la creatività, vincolata dai suoi schemi, dalle richieste, doveri, aspettative, necessità. La storia dell’arte ne è un esempio, gli artisti non vincolati dal mercato, arrivavano subito, anche nel medioevo, già vicino a espressionismi moderni, come ad esempio, nel surrealismo onirico di Bosch.

L’impalcatura, cioè la parte strutturale, deve essere costruita attorno ad un cuore, questo cuore è la “poetica” dell’autore, anche lo stile, fa parte di quella poetica. Nella poetica entra la vita profonda dell’artista, anche le sue incapacità, i suoi handicap, che se amalgamati al cuore, o centralità poetica sensibile, crea uno stile personale d’espressione e proiezione di se stessi. Chagal ne parla nella sua autobiografia, diceva che la sua energia interiore non gli avrebbe permesso di diventare un bravo pittore dal vero, nel ritratto era un disegnatore discreto, ma la tecnica del ritrattista era troppo lenta e accurata per lui, che aveva bisogno di sognare e col pennello staccarsi dalla realtà. Così è nato il suo stile, perché ha fatto aderire la propria poetica al suo handicap, non perché si è impegnato a diventare tecnicamente capace.

La creatività invece, è la forza di vivere nella molteplicità, questa poetica di fondo, che rimane fissa, come perno dei satelliti espressivi, che la circondano. Adoro la creatività, come la rappresenta Munari, nei suoi insegnamenti. La applico spesso, come divertimento e stile grafico, mi piace il pensiero divergente. Mi diverto, interpretare in modi costantemente diversi, sia gli oggetti, le idee e i concetti. Come Educatore e conduttore di laboratori espressivi, faccio della creatività, il perno del gioco artistico con i bambini, ad esempio. Usare un pennello in tutti i modi possibili, non solo nella maniera convenzionale, per i ragazzi è divertentissimo e li sdogana dalla maniera rigida della tecnica, che è un processo artigianale. Il processo artigianale è meraviglioso, ma non creativo, anzi quasi l’opposto, ma anche il processo creativo può non essere artistico, e così via…
Molta dell’arte contemporanea a mio avviso è una creatività agita da adulti, senza poetica precisa o spesso forzata, o come dice Jean Baudrillard, l’arte contemporanea scompare e resta la simulazione di essa. Cos’è quindi, questa visione critica, insieme alla domanda di Perec? Impalcatura e creatività. Senza poetica profonda, cioè individuale e individualizzante, ma al servizio di qualcosa o qualcuno. Si parla troppo erroneamente di arte in senso lato, quando guardo i grandi pittori del passato, come Duccio da Boninsegna, che adoro, so di trovarmi di fronte a sublimi artigiani, dai quali prendere ispirazione. E’ il nostro modello occidentale di cultura edonistica e narcisistica, che ha fatto dell’artista, qualcosa di superiore all’artigiano, ma non è così, per me. Senza accorgersi che il processo di dominanza culturale non è tanto cambiato. Sono cambiati gli “oggetti” dell’arte, si sono adattati alla trasformazione economica e tecnologica, ma le strutture di gestione dei processi simbolici e organizzativi del potere, che gestisce la distribuzione delle risorse non è mai cambiato.
L’arte contemporanea dominante, ad esempio, è un’arte capitalistica, quindi al servizio dei nuovi Papi e Imperatori imprenditori e dei loro sistemi interpretati. Come dice l’artista Jeff Koons “Sono una perfetta rappresentazione della realizzabilità del sogno americano… senza dover uscire dall’apparato socio-politico così com’è, ma anzi essendo perfettamente integrato in esso». Quest’arte non ha niente a che fare con i fiori dipinti in manicomio da Van Gogh. Quindi è una versione contemporanea a livello antropologico di un modello feudatario.
Il mio cuore, la mia poetica, la mia impalcatura e la mia creatività, almeno a livello ideologico si fermano alla cultura francese ed europea, fino a Duchamp. Da Andy Warhol in poi non mi interessa, non stilisticamente, non culturalmente, ma come artista non sento affinità, o perlomeno non vorrei assoggettarmi a quel modello culturale in modo consapevole.

 

2. Quale stile viene scelto e con quali motivazioni
Lo stile è un work in progress, prediligo l’espressionismo astratto nella pittura e non solo, anche nella grafica, ho fatto fumetto, illustrazione, assemblaggio. La pittura è espressionista, ma un espressionismo che si modifica in base alle dimensioni spaziali e agli orientamenti della situazione. Questo aspetto dello stile, ad esempio, come ho accennato sopra, lo trovo fuorviante. A me non interessa, l’arte come stile artistico, io non amo l’arte, anzi mi annoia. Come l’esperienza del nuotatore. Sono stato un nuotatore da giovane, mi piaceva nuotare, ero in una squadra agonistica, e vinsi le mie medaglie d’oro, come da programma. Ma qualcosa mi tormentava, non mi interessavano le piscine, i mari, gli ambienti dello sport, ero solo un nuotatore, non volevo nemmeno fare le gare, perché dovevo vincolarmi, a prestazioni che a mio avviso erano superflue al piacere dell’acqua e del corpo immerso. L’arte è uguale, ho la psiche immersa in se stessa ed emerge attraverso l’arte, la mia vita emerge e s’immerge continuamente, e trovo testimonianza e specchio nei suoi residui materiali, questi residui a specchio sono le mie produzioni artistiche. Come diceva Antonin Artaud, “le mie opere, i miei ritratti, sono documenti”. Così è, documenti, testimonianza. Talaltro a me serve, per goderne, che siano esteticamente piacevoli, amo l’oro, il barocco, e l’informale, l’icona Bizantina, l’arte islamica e cinese, il fumetto, il futurismo, tutto mescolato insieme. Come posso trovare armonia? perché voglio che ci sia armonia tra questi opposti? Quale sogno infranto, quale esperienza crepata voglio ricongiungere con l’arte? Desidero le nozze degli opposti, trovare il percorso e le modalità per unirli è la mia via poetica.
Lo stile è sempre una menzogna, è un documento di riconoscimento che va bene quando devi rassicurare qualcuno della tua esistenza, devi farti riconoscere, ma non serve a capire chi sei. Ci possono essere molti sosia, sulle foto segnaletiche, sosia che hanno vite completamente differenti. Lo stile serve ai codici artistici, ma è una codifica rassicurante per una cultura superficiale. A me non interessa l’arte e il prodotto artistico, come nel nuoto, sono maggiormente interessato al processo e alla vita dell’artista, con i suoi significati. Per me l’arte è autobiografia, quando non è così preferisco fare dell’altro. L’esempio tipico è Pollok, che essendo un carpentiere, giocò con le sue colle e pigmenti, tanti altri residui nelle sue tele. Il suo stile è biografico, se lo copiamo comprando colori in mesticheria, senza essere ubriaco come lui, imitiamo lo stile, ma non potremmo essere più lontani e più falsi, dall’esperienza artistica. Così è stato il rapporto con le persone che mi hanno guidato nell’arte, avevano stili completamente diversi dal mio, eppure mi hanno insegnato a stare in equilibrio sulla poetica, sul logos dei miei significati, e spesso questi logos coincidevano, mentre i lavori erano opposti stilisticamente. Affinità di contenuti e di poetiche si possono trovare in stili diversi e anche in epoche diverse.
3. Quali saperi dietro il processo creativo
Bisogna stare attenti al sapere. Perché è nata tanta enfasi sull’inclinazione soggettiva della cultura, sui condizionamenti mentali dei modelli sociali, e così via. Cerco alleanza nella fenomenologia, trovo spesso il sapere nell’isolamento, rispetto al suo insegnamento. Non si può accettare saperi senza conoscere la loro fenomenologia, altrimenti sono solo informazioni e non saperi. In ambito educativo, che è un mio interesse professionale, penso che il sapere non si possa insegnare ma solo condividere, viene assimilato e non appreso, non è la stessa cosa. I saperi che molti mi hanno fatto condividere con loro sono stati da me “assimilati”, quelli diciamo, “insegnati” sono stati dimenticati. Quello che mi piace dietro le interviste, sono le domande, ma appunto come mi ha insegnato Perec, ci sono molte più informazioni in quello che non si dice, che in quello che si dichiara, quindi a questa domanda, cioè quali saperi ci sono dietro al mio processo creativo, non posso rispondere, preferisco tenerli segreti. Sul sapere in generale, invece posso parlare.

Il sapere pratico, la conoscenza che viene dall’esperienza, si colloca sul filo dove si combatte una guerra ardua tra epistemologie ed empirismo. L’artista fa dell’epistemologia il suo personale realismo empirico, altrimenti sarebbe uno scienziato e non un’artista. Questo è il processo creativo, abbandonare qualsiasi algoritmo assoluto e con quei materiali eterni, disegnare e far proliferare il personalismo, l’individualità estrema, il dettaglio soggettivo. Se la natura fosse umanizzata, dovremmo pensare, ad esempio, ad un bosco, dove ogni albero è diverso dall’altro, e ogni foglia di un albero è differente dalle altre, e quando rinasceranno non potranno mai essere uguali alle precedenti, così per l’eternità. Questo è il processo creativo. Il processo è moltiplicazione e differenziazione.

4. Quale rapporto con il tempo e lo spazio
Azzeramento! Solo nella ricerca di annullamento di queste due dimensioni, che poi due non sono, riesco a produrre arte. Il pesce che guizza nell’acquario dello spazio-tempo è quella fantastica e terribile e grandiosa realtà chiamata “memoria”. Lei che costruisce la matriosca del reale. Senza la memoria, nulla potrebbe essere rappresentato. La memoria e la materia sono la stessa cosa, anche gli atomi hanno memoria, tutto è memoria. Ed essendo la memoria qualcosa di relativo e non di assoluto, l’esperienza spazio-temporale la si può vivere totalmente ma non totalmente conoscere. L’unica possibilità di una esperienza conoscitiva totale, avviene con una costante ricerca di annullamento delle dimensioni, cioè vivendo, come cerco di fare quando dipingo e faccio arte, in un tempo non cronologico, non spazializzato appunto, diciamo sincronico alla Jung, tanto per citare, e in uno spazio adimensionale. Come fare questo? Semplice, è un po’ come fare una meditazione dinamica, si cerca di dare libertà al proprio sé annullandolo. È un atto di coraggio, di rischio, per questo mi piace l’espressionismo, è una specie di trance, solo quando hai finito vedi quello che è accaduto, o almeno la traccia di quello che è accaduto.
5. Quale rapporto con le altre arti
Le altre arti nel mio caso non sono “altre”, non sono la parola, la musica, la danza, parti lontane dalla mia opera plastica, sono solo le parti nascoste della mia opera, ma sono dominanti nel lavoro. Ci sono opere come le scale cromatiche dei “Drittobaleni” che sono opere musicali, solo che ne dipingo i colori e il suono non si sente, oppure lo si può sentire se ci si sintonizza con la psiche a livelli subliminali, ma bisogna esercitarsi.
Generalmente tendo a fare un po’ di tutto, scrittura, teatro, la musica mi piace moltissimo ma non sono arrivato mai oltre al solo piacere personale, ma quand’ero giovane ho suonato qualche volta il piano nei baretti, nelle osterie, lo facevo così come dipingevo, mettevo le dita a caso, cercando istintive armonie, si può fare da autodidatta. Non è difficile esprimersi, se invece devi farne un mestiere, allora si va su di un altro versante, quello della produzione tecnica e performativa, allora devi studiare. Questa è la differenza tra artista e artigiano, l’artista è sovradimensionato in una cultura attuale dove l’artigianato sta morendo, bisognerebbe invertire le tendenze, la vera arte è artigianale, l’artista ha più poetica che tecnica, ma la tecnica ha la sua poetica intrinseca, ed è meravigliosa.

Il problema della supremazia della tecnica sulla poetica o viceversa è una tematica di ricerca interessante a mio avviso. Perché ci sono tanti poeti? Chiunque può scrivere una poesia, la selezione sulla difficoltà tecnica di scrittura si è annullata, come nell’arte, basta l’intenzionalità, un po’ di alfabetizzazione, qualche minima modalità retorica, e il gioco è fatto. La competenza artigianale e contenutistica, può essere minima, e comunque arrivare a un prodotto accettabile. Difatti siamo in una società dove tanti scrivono e pochi leggono. Ma non è una critica negativa, constato un fenomeno. Per questo si fanno tanti laboratori di poesia, con bambini, anziani, disabili intellettivi. Proprio perché con un minimo di tecnica si arriva ad una possibile e soddisfacente espressione di sé. Un romanzo, invece è un’opera artigianale, è come la maratona, anche un brutto romanzo deve affrontare parecchie difficoltà per arrivare alla fine, tagliare il traguardo. L’esperienza più massacrante che ho fatto è quella del fumetto. Chi fa novel story dovrebbe essere equiparato agli artisti delle botteghe dei pittori rinascimentali.

6. Come l’opera di un artista può essere diversa dalla precedente
Ogni opera che esegui è un’esperienza e va a rimettere in gioco le esperienze passate, si aggiunge, ma non solo. Potrei dire che è come una palla da biliardo, una è uguale a tutte le altre, ma quando la lanci sul tavolo e colpisce il gruppo, tutto si confonde, tutte si spostano, quindi il disegno d’insieme cambia, e il disegno d’insieme è l’artista stesso. Quando, come artista ti metti a lavorare, l’ultima opera che hai eseguito, ti ha già cambiato, non sei più lo stesso artista, sei già un’altro, quindi nasce un’opera nuova, diversa, irripetibile. Se fosse l’opera ripetitiva, per me non sarebbe arte, ma una manifattura produttiva di opere. Pensiamo a Fontana con i suoi tagli di tela. L’idea culturale, concettuale dell’andare oltre, ha la sua validità, è un concetto, una volta espresso è finito, dopo la prima tela il concetto era già nato, continuare tagliare tele per fare mercato è una speculazione concupiscente che toglie dignità al valore del concetto prodotto culturalmente. Se avesse lavorato su tavola di legno, avrebbe usato il trapano? Aspettava che crepasse, forse… Come le magliette di Che Guevara, oppure pensiamo se Duchamp avesse continuato a esibire oltre al pisciatoio, lavandini e vasche da bagno… già è bastata la sostituzione dell’originale rotto, con altri pisciatoi acquistati da rivenditori di sanitari. Il fatto è arte contemporanea non sarebbe un prodotto commerciabile.
Ma ciò che non è commerciabile è destinato all’inesistenza. Il bisogno di commercializzazione crea, quindi, il prodotto artistico a sua immagine e somiglianza. Lo riduce e lo assimila, ma è solo attraverso la morte dell’opera (anche dell’artista spesso) che il mercato impone alla vita artistica, l’illusione della vita eterna, nel riconoscimento altrui, nell’olimpo dei media, nel valore di scambio in denaro, ecc. ecc.
La creazione artistica delle proprie opere non è la riproduzione dei propri lavori mantenendone lo stile, sarebbe una simulazione ostentata di se stessi.
7 . Quale rapporto con il gioco
Soprattutto gioco. Assolutamente gioco. Il gioco prima di tutto. All’inizio non ci fu il verbo, ci fu il gioco! Winnicot, parlando dell’oggetto o della dimensione transazionale, sostiene che il gioco è per i bambini, quello che la cultura è per gli adulti. Il gioco è quello spazio di decantazione mediana dove gli esseri umani possono auto percepirsi, rappresentarsi, definirsi, per poi passare alla realtà, una realtà umanizzata, simbolica, ma con la possibilità, anche se spesso illusoria di controllarla, o di dominarla. Quindi tra il mistero del nulla, nascosto dentro di noi e la realtà materiale che ci accoglie, c’è uno spazio apposito dove svilupparci. Un bozzolo che ci permette di costruire le nostre ali, questo spazio è il gioco, questo spazio è anche l’arte.
8. Quali dettagli della società sono messi a fuoco
Molta della mia poetica è legata al concetto del “ritrovamento” dell’oggetto o della sostanza, che ha finito il suo ciclo produttivo, la sua funzione, e allora anziché morire, resuscita nell’assoluto dell’arte. Non come nel dadaismo, o del ready made. Qualcosa di affine, ma anche di molto diverso. Come dicevo sopra, per Pollok, le sue colle sono il segreto, ma perché ha fatto il carpentiere, e perché era affascinato dalle colle e non dal legno…

Perché ho detto che lo stile è inutile: perché nella mia pittura, dipingo tele e tavole espressioniste, come si poteva fare negli anni sessanta, ma il processo non ha a che fare con quei tempi.

La mia poetica è non selezionare i materiali della pittura, faccio con quello che trovo, a volte vernici ritrovate nelle cantine, nei magazzini, residui di lavorazioni, quello che trovo casualmente sulla mia strada. Poi le fisso, e le resuscito con l’oro, mi sembra di raccogliere un mendicante e vestirlo da imperatore. Questo è il processo fantasmatico delle mie opere, mi affascina interpretare e mettere insieme questo contrasto, tra estrema ricchezza, decorazione, e gestualità, abbandono, povertà. Cosa cambia se nel mio quadro, la vernice, anziché trovata nel bidone della spazzatura, l’avessi comprata dal venditore, nulla, nessuno se ne accorgerebbe, ma io avrei falsato la mia poetica, non avrei raccontato la storia che essa narra. Non sarei stato costretto dal caso a usare quel materiale. Dietro ogni lavoro c’è una storia, una memoria, incontri casuali e voluti, come nella vita, l’arte è narrazione, l’opera, come una poesia, una tela o una tavola, un frammento è un fotogramma di un film, e contemporaneamente contiene la poetica di tutta la pellicola. come ho detto per i sosia precedentemente, stessa faccia, vite diverse. l’onestà non si vede nell’arte, si vede solo la forma, bisogna conoscere l’artista e avere garanzia dell’esperienza se si vuole un’opera che abbia un valore autentico, altrimenti è finzione, ed è la finzione che arriva maggiormente al pubblico, viene conosciuta ed è molto commerciabile.

 

Category: Arte e Poesia

About Alberto Cini: Alberto Cini nasce a Bologna nel 1960, lavora come Educatore Professionale e Formatore, presso la cooperativa C.S.A.P.S.A in servizi rivolti all’handicap e all’adolescenza. Specializzato in Psicodramma con i terapeuti argentini Prof. Roberto Losso e Prof.ssa Ana Packciarz de Losso, è conduttore di laboratori espressivo teatrali, di scrittura creativa e grafico pittorici. Diplomato in massaggio tradizionale, shiatzu e massaggio aiurvedico, si specializza sull’approccio solistico alla persona. Ha pubblicato due raccolte di poesie, “Il fiore d’acqua” e “Le tre sfere”, stralci delle sue opere inedite si trovano sulla rivista di poesia “Versante Ripido”, per la quale disegna vignette satiriche e opere di contatto tra poesia e disegno grafico. Artisticamente viene educato all’arte dalla pittrice Bianca Arcangeli, sua insegnante e con la quale ha mantenuto un costante rapporto di condivisione e di confronto. Questo primo approccio lo influenza particolarmente sul rapporto tra parola e segno, tra la poesia e la pittura. Sensibile agli aspetti formativi e pedagogici dell’espressione artistica approfondisce il simbolismo della forma e del colore, l’arte terapia, terapie non convenzionali e tecniche di sviluppo della persona con il filosofo indiano Baba Bedi che frequenta per vari anni nella sua casa milanese. Non percorrendo formazioni accademiche approda alla scuola dello scultore Alcide Fontanesi, col quale comincia un lungo apprendistato formativo sull’espressionismo astratto. Le sue opere sono presso la galleria d'arte Terre Rare di Bologna

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