Alberto Cini: Le scarpe dell’arte/2
Nel primo articolo “le scarpe dell’arte” pubblicato su Inchiesta online il 27 Dicembre 2017, abbiamo seguito un percorso artistico dal moderno al contemporaneo, passando dagli impressionisti fino all’”action painting”per finire nel trash attuale. Gli artisti presi in causa sono stati Manet ed Eva Gonzales,Van Gog, Magritte, Pollok e Sislej Xhafa. Sono stati disturbati grandi pensatori come Haideggher, Shapiro, Derridda, e ancora commenti di Picasso e dello storico dell’arte Gombrich…
Oggi tentiamo un altro percorso lineare per l’arte, polarizzato però da due intellettuali come Jean Baudrllard e Slavoj Zizek.
Prima però godiamoci alcuni chiarimenti sul fenomeno dell’arte legato ad autori particolarmente significativi.
Qualsiasi manufatto, compreso i prodotti cosiddetti artistici, sembra che non prendano vita se non accedono ad un mercato economico che li fa entrare in società. Il mercato, per qualsiasi artista, è il “ballo delle debuttanti”, un evento che in base alla richiesta, stabilisce il prezzo.
Come conferma sempre Galimberti nelle sue conferenze, nell’età della tecnica, gli aspetti della vita acquisiscono valore in base al loro potere di scambio, e lo scambio economico è l’aspetto che più definisce la riduzione tecnica dei rapporti in questa epoca. Galimberti sostiene che anche l’arte segue questo modello. Una persona che dipinge, che scolpisce, è una persona che si esprime, che da forma alla sua sensibilità e gestualità ed alla sua inventiva, ma resta comunque una persona creativa non un artista: se il suo prodotto non ha valore di scambio economico non può essere riconosciuto come tale. Invece qualsiasi macchia di colore accidentale, anche caduta fuori dell’opera, è definita arte, se si riesce a convertirla in un valore di scambio economico. Un tipico esempio è l’artista SHOZO SHIMAMOTO che tira bottiglie di colore, le spara con cannoni contro le tele e vende non solo le opere, ma anche gli schizzi che cadono fuori, ed è citato come uno dei più grandi artisti viventi. Così è l’arte nell’era della tecnica. Come scrive Francesco Poli nell’esaustivo libro “Il sistema dell’arte contemporanea”edito da Laterza, parlando del sistema delle quotazioni delle opere, dice “Questo vale anche in particolare per la situazione dei giovani artisti, per il cui lancio (da parte delle strutture mercantili di vertice) si mettono in moto anche delle vere e proprie strategie di marketing, al pari dei prodotti della moda”.
Merce e moda, moda e marketing.
Baudrillard salvando Andy Warhol sostiene altri artisti. Baudelaire diceva infatti : “Gli altri hanno solo una strategia commerciale della nullità, alla quale danno una forma pubblicitaria, cioè una forma sentimentale della merce. Si nascondono dietro la loro stessa nullità e dietro le metastasi del discorso sull’arte,il quale si ingegna di dare a quella nullità, dignità di valore (anche sul mercato dell’arte, ovviamente)”.
Come sconfiggere, chiedo, la tecnologia del fenomeno mercantile dell’arte? Perchè proprio le opere plastiche e ormai performative, non seguono lo stesso sentiero delle altre arti? Creiamo un progetto d’immaginazione folle, inventiamoci qualcosa, così come esistono le biblioteche, le quadro-teche potrebbero nascere luoghi in cui le opere archiviate, si possono prendere in prestito per qualche mese, anche un anno, poi riportarle. Oppure per quale motivo se un eccezionale artista mi fa una copia perfetta di un Morandi, la dovrei disdegnare sulle mie pareti di casa, una copia autentica vale poco. Per la musica invece è l’opposto. Valorizziamo il manierismo globale cronologico, dove vengono valorizzati artisti che decidono a quale epoca appartenere, avere tanti Tiziano, alcuni Goia, una decina di Van Gogh.
Oppure fare laboratori cittadini dove le persone se le fanno da sole le proprie opere contemporanee, poi se le scambiano, e diventa arte sociale. Anche delle mostre comunali dove esporre gigantografie dei disegni dei bambini.
Portare quel valore nell’arte che il sistema culturale esclude. Il mondo artistico traslando quello commerciale, diviene competizione. Pensiamo ad un’arte inclusiva.
Come per la pubblicità non si compra mai il prodotto in sé, ma il riflesso narcisistico che l’immagine del prodotto procura. Il bene materiale del prodotto si riduce sempre più rispetto agli altri prodotti simbolici associati e commerciati: si può arrivare a vendere confezioni di biscotti senza biscotti, visite turistiche al mulino bianco (come già accade), ma aspettiamo Zizek con l’artista Manzoni che ci spiegherà tutto questo.
Le scarpe: partiamo da quando questo mondo dell’arte non era “il nulla”, poiché le guerre erano ancora in casa.
Joan Mirò tra il 24 e il 29 maggio del 1937 dipinge “Natura morta del sabatot” ovvero “Natura morta della scarpa”. Si era allo scoppio della guerra civile spagnola e Mirò decise di partire per la Francia, dove in povertà e in un seminterrato della galleria Pierre di Parigi, dipinse ad olio questo quadro. Il quadro rappresenta,in modo evidente, tutta la forza drammatica e bruciante della guerra appena iniziata. Lo stesso Mirò sosteneva di voler prendere esempio dalle scarpe di contadino di Van Gog.
Quadro di Mirò: Natura morta con scarpa vecchia (1937)
Il periodo post bellico sembra dimenticare volutamente le scarpe di Van Gog e di Mirò, nel periodo post bellico si vuole uno pseudo- rinascimento dei consumi, dove gli oggetti non sono metafore di sofferenza, ma dell’opposto della sofferenza, un opposto che non per forza sia la Pace, ma il benessere uguagliato al possedere oggetti.
Il conflitto, in fondo, era figlio di politiche economiche che nascevano dalla povertà, quindi era una lotta contro la povertà, una povertà che si doveva combattere non tanto con l’esercizio della democrazia, ma con una democrazia sostenitrice della speculazione economica mondiale. Nulla risolve una crisi economica meglio di una guerra…
Il benessere è degli oggetti nel post bellico, cita sempre Baudrillard nel suo libro “Il complotto dell’arte”. Esiste un cambiamento estetico così definito: “Oggetti il cui segreto non è quello della loro espressione e della loro forma rappresentativa, ma al contrario della loro condensazione e della loro successiva dispersione del ciclo delle metamorfosi”.
Metamorfosi e condensazione dell’oggetto, diverranno le tecniche principali dell’arte e del linguaggio pubblicitario, e, secondo Baudrillard, sarà Andy Warhol a far aggiungere all’oggetto d’arte, il piedistallo del “feticcio”. “E così fa Warhol: egli è solo l’agente dell’apparizione ironica delle cose”. È solo il medium della gigantesca pubblicità del fatto che il mondo si fa attraverso la tecnica e attraverso le immagini, costringendo la nostra di immaginazione a cancellarsi, le nostre passioni a estrovertersi, mandando in frantumi lo specchio che gli tendiamo per ipocritamente catturarlo a nostro vantaggio, come esplicazione del “feticismo” rappresentato dal lavoro dell’artista secondo l’espressione di Baudrillard.
Quale feticismo può essere meglio rappresentato se non dall’oggetto “scarpa”?
Quale è appunto il rapporto tra l’opera più conosciuta di Warhol e le scarpe…
Andy Warhol : Immagini di scarpe per la campagna pubblicitaria delle scarpe Miller (1955)
Andy Warhol cominciò all’eta di 21 anni a disegnare scarpe, schizzi per note riviste di moda, ed ebbe un immediato successo divenendo uno dei più ricercati disegnatori di accessori femminili di New York. Warhol aveva una passione smisurata per le scarpe, maniacale e feticista appunto. La sua espressione artistica successiva è stilisticamente la proiezione di questa ricerca, senza le scarpe non sarebbe nata l’opera di Warhol.
Nel 1955 esce “A la Recherche du Shoe Perdu”, una raccolta eccentrica e raffinata dei suoi disegni accompagnata dalle poesie di Ralph Pomeroy . Nel 1980, con la celebre serie “Diamond Dust Shoes” e gli effetti che porterà nelle sue opere successive applicherà la tecnica grafica simbolo della sua estetica. Le scarpe saranno sempre la colonna sonora dell’ artista.
Warhol esprime la sua tecnica grafica e cromatica, là dove le sue scarpe vengono cosparse di polvere di diamanti, per dare all’opera la natura dell’inarrivabile.
Siamo ormai molto lontani dalle scarpe “simbolo” della natura umana e della sua precarietà.
Come mai queste opere di Warhol sono ancora design e non riconosciute come arte? Perché deve applicare la stessa tecnica grafica a qualcos’altro per diventare artista consacrato? Pur utilizzando la stessa tecnica, cambia solo il soggetto, vuole la bellezza, la lattina rossa dell’industria di Babbo Natale, deve abbandonare la scarpa per Marilyn, Liz Tailor, per la Coca Cola, ormai nemmeno più prodotti, ma feticci del nostro tempo.
Il senso religioso dell’arte contemporanea esige che l’opera nasconda il mistero, non importa che ci sia veramente un mistero, ma che l’opera ci faccia sperare nella sua esistenza, quindi, anche se non la capiamo o non ci piace non ha importanza, sicuramente l’autore sa cosa vuol dire,i critici lo dicono, i trenta denari sono stati pagati, anche molto di più ha pagato l’impero economico culturale, l’artista è stato scarificato, i critici sacerdoti ne spiegano e ne rinnovano il culto, i mercanti e i cambiavalute, come gallerie e aste, ne gestiscono gli scambi. Le mostre sono riti artistici.
Lo chiarisce bene Maurizio Ferraris nel suo libro “Arte” uscito con “Biblioteca di Repubblica” quando parlando con Arthur C. Danto, sul tema di Warhol come design o come artista, chiede: “Non trovi sia strano? (rivolgendosi a Danto) Dopotutto diventare un’opera è un processo di canonizzazione, mentre diventare un oggetto di design è un processo di beatificazione, qualcosa di meno impegnativo. Invece, nell’arte, succede che la canonizzazione sia molto più facile della beatificazione”.
A.C. Danto gli risponde, in una parte della conversazione: “se hai ragione a sostenere che il merito nell’ esporre o “mettere in mostra” porta immediatamente ad un linguaggio devozionale, allora l’anestesia che accompagna i ready-made svanisce altrettanto rapidamente. Duchamp, però ammette che è molto difficile trovare qualcosa di così esteticamente nullo da indurre l’anestesia”. Anche Duchamp cade nell’iconografia mistica, quando il suo orinatoio non verrà accettato alla prima prova di esposizione. Dopo il rifiuto, lui lo fece fotografare e ne ricavò una visione dal significato paradossale, cioè lo sviluppo dell’ombra dell’orinatoio che pareva la silouette di un Budda o di una Madonna. Ma qui comincia, come nel pensiero buddista, il rapporto con il “nulla”e cominciano ad echeggiare nell’arte, parole come “vuoto”, “niente” e “assenza”, aspetti che approfondiremo con Zizek un po’ più avanti.
Questa, in un certo modo, è la nostra arte medievale contemporanea, l’arte dei Papi attuali: sono immagini sacre della religione artistica di oggi. Specifico che si parla di religione non di misticismo o di spiritualità nell’arte che un segmento culturale sempre esistito e che ha un suo percorso specifico.
Il valore del feticcio artistico prende il posto della reliquia religiosa nel senso che non ha importanza la materia: lo scarto dell’oggetto come una scheggia di legno diviene la croce di Cristo, un osso è uno scarto a meno che non sia testimone del corpo di un santo.
Il nostro occidente civilizzato ci dona una liturgia artistica, dove lo scarto può essere prezioso se riconosciuto come immagine di una attuale deità tecnocratica
Così nasce il Trash, che vuol dire “spazzatura”, ma il nome non rende merito alla funzione, in realtà, se ci rifacciamo al culto delle reliquie, dobbiamo evidenziare la reliquia come un culto del martirio. Si inizia con i primi cristiani martirizzati, quindi scartati, logorati, resi appunto spazzatura dall’impero che li condannava. In un certo senso, martirio e spazzatura sono aspetti affini. L’essere cancellato e l’essere distrutto vissuto dal soggetto o dall’oggetto: soggettivamente è martirio, oggettivamente è scarto. Questo è ciò che evoca un senso più profondo in quello che accade nel nostro presunto benessere materiale ed estetico.
Se vogliamo rievocare il senso del tragico nella modernità,non basta farlo sull’esempio della vita delle persone, ma diviene necessaria una rievocazione dei beni di consumo, nell’identificazione tra essere umano e oggetto di produzione industriale. La modernità sempre spinge culturalmente all’oggettività della persona, alla perdita delle identità di gruppo che portano all’amicizia, alla dipendenza ed ad un’ affinità tra uomo e oggetto. Nel “sono ciò che possiedo”, gli status- simbol sono superati, ora sono compagni di vita. Anche il grande cerchio umano incluso nella rete (Internet – smartphone) è la relazione vissuta attraverso un oggetto di mediazione e diviene un modo per umanizzare l’oggetto e dargli il volto di un amico.
Vediamo quindi un animismo del consumo, che un tempo era lasciato alla magia, all’esoterico. Oggi, l’animismo magico è colato in basso, fino a farsi attivatore dl desiderio, delle aspettative e del nostro viso riflesso nei prodotti che ci dicono chi siamo e in cosa possiamo sperare. Non è più Venere la Dea della Bellezza, ma la sua immagine pubblicitaria che attiva la nostra speranza di rimanere giovani cercando di anteporsi al tempo con prodotti “anti-age”, poiché invecchiare è avvicinarsi all’età non produttiva e come i prodotti di consumo, l’anziano per il mercato delle merci, è scarto, mentre la sua pensione non lo è,divenendo un segmento economico da intercettare.
Per questo Zizek intitola il suo libretto edito da Mimesis, IL TRASH SUBLIME.
Per ancora una volta lasciatemi citare una scarpa, o due scarpe.
Piero Manzoni, nel 1961, il 24 aprile in occasione di una serata d’artista, decide di firmare la sua scarpa destra, poi firma anche una scarpa di Schifano, e le dichiara opere d’arte. In maggio farà le novanta scatole di “merda d’artista”.
Ci chiediamo perché la Merda, fece più scalpore delle scarpe, lo fece in quanto, come abbiamo detto sopra,per Warhol, il design non fa scandalo come il paradosso dell’arte, almeno il design ha una funzione, un’utilità che è già troppo: l’arte deve raggiungere il vuoto totale.
Non a caso l’artista messicano, Gabriel Orozco, come provocazione alla biennale di Venezia del 93, espose una scatola da scarpe vuota, per chiarire un concetto ormai desueto, il vuoto dell’arte è un luogo dove non c’è mai posto, nemmeno per le scarpe.
Foto di scatola vuota di Gabriel Orozco
Zizek, a mio avviso va oltre al vuoto ormai dichiarato, esalta l’importanza del “posizionamento” dove anche la “Merda” è arte, anche se arte non è, in quanto è riconosciuta dai suoi fruitori, eletta dal “luogo” dove è deposta, innalzata per via del suo trono, non solo dall’artista, che come eletto, la benedice.
Zizek mette in linea tre “super-Io”, quello Marxiano del Plusvalore, traghettato da Lacan nel suo Super-Io del Plus-godere, e quello Freudiano, definendo la dinamica “assurda” di come queste istanze portano al processo “che più possiedi meno hai”. Dice Zizek: Questo paradosso del Super-Io, permette anche di gettare una nuova luce sull’andamento del panorama artistico contemporaneo. La sua principale caratteristica non è solo la sua deplorata mercificazione della cultura (prodotti artistici realizzati per il mercato), ma anche il meno considerato, e tuttavia forse più cruciale, movimento opposto: la crescente “culturizzazione” della stessa economia di mercato.
Nell’era della “tecnica“, nella epoca della “Modernità”, la struttura diviene contenuto, non la parola sacra ma il pulpito è il messaggio, nemmeno la capacità di gestire il potere in un certo modo, ma il trono senza Re è simbolo di potere, ritornano così i primi strati di questa analisi culturale, (da Fromm – non essere Re ma avere il trono),(da McLuhan – Il medium è il messaggio, oggi il posizionamento è il contenuto)…
– “Sul fatto che le nuove produzioni utilizzino linguaggi sempre più estremi”, aggiunge sull’arte Zizek: “Il risultato di questo corto circuito tra mercato e cultura, è il declino della vecchia logica della provocazione avanguardistico-modernista dello sconvolgimento dell’establishment. Oggi e sempre di più, l’apparato culturale-economico per essere competitivo sul mercato, deve non solo tollerare, ma produrre direttamente effetti e risultati sempre più scioccanti”. Una posizione, cioè il luogo “sacro” del vuoto, dove il vuoto deve essere il protagonista, si crea soltanto se l’opera è qualcosa di estremamente differente dall’arte che quel vuoto lo riempirebbe e che invece lo conserva tale. Non è l’arte scioccante a far emergere la paura del vuoto, ma la sua devozione”. Continua ancora Zizek: “in altre parole, il problema, non è più l’horror vacui ed il riempire il vuoto, ma quello innanzitutto di CREARE il “vuoto”.
”In altre parole, è soltanto un elemento che è completamente “fuori luogo” (un escremento, un rifiuto, uno scarto) può reggere il vuoto di un luogo vuoto…”
Accade che anche una scatola vuota sia già troppo.
Così si va ancora, a piedi nudi nell’arte, ormai senza scarpe, anche se bisogna stare attenti, appunto, dove si mette i piedi, per non pestare merde d’artista o cadere in vuoto troppo vuoto.
Enrico Mercatali, autoritratto d’artista che dipinge una scarpa, disegno satirico a china di data imprecisata
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