Alberto Cini: Educare è lo sguardo
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EDUCARE è LO SGUARDO
La metafora artistica Duchampiana nell’approccio educativo
Educare è lo sguardo
Hai un’anima nascente e una psiche composta
tutto mantiene il tuo sguardo attento
una venuta al mondo impertinente
sull’altare del tuo corpo mediocre
piena sostanza e luce diffusa
gravida di sangue e cristalli di pietra
ci sono scalini e rampe nel tempo
i passi della crescita
appaiono ticchettio del divenire
e poi ci sono gli occhi
che toccano ogni cosa
Guardare
Osservare
Vedere
tre matrici differenti
tre funzioni diverse
tre profondità distinte
sul piano inclinato della realtà
un intreccio sacrificale
per dare forma alla vita
Questa volta ho cominciato a scrivere le mie riflessioni con una poesia. Una poesia dedicata allo “sguardo”. Come educatore e artista lo sguardo è un aspetto estremamente importante, con tante analogie in comune.
Possiamo dire che educare è guardare la realtà come se la realtà fosse l’orinatoio capovolto di Duchamp.
Paradossalmente Duchamp sostiene che guardare non è un processo solamente retinico, ma come ormai sostengono i neuroscienziati di oggi e i buddisti di un tempo che fu, la percezione diviene immediatamente logos, e di conseguenza giudizio. Duchamp chiede “comprensione” e non giudizio estetico.
Dichiarò alla stampa, rispetto al suo orinatoio capovolto: “La pittura non dovrebbe essere solamente retinica” – “dovrebbe aver a che fare con la materia grigia della nostra comprensione, invece di essere puramente visiva”.
Duchamp chiedeva più riflessione senza giudizio. Ma come può esistere una riflessione priva del processo giudicante della nostra sfera cognitiva. Il “giudicare” come azione cognitiva si avvale di un processo di associazioni che nascono dal bisogno primario della sopravvivenza, lo applicano nella quotidianità nell’attraversare le strade, nello scegliere il cibo ed è prevalentemente inconsapevole. Questo retroterra di programmazione biopsicosociale, difficilmente si disattiva, sia nel lavoro educativo, sia quando ci si trova di fronte ad un “orinatoio” rovesciato.
La centralità nella storia dell’arte del “Ready Made” sta nel vedere oggetti comuni e sottovalutati, con l’occhio dell’artista (e dell’educatore in certi casi). In modo tale che questi oggetti possano essere elevati a opera d’arte. Necessario diviene, per questa elevazione, decontestualizzare l’oggetto, addirittura astrarlo dalla sua realtà e dalla sua funzione che deve portare in quel determinato contesto.
Guardare in questo modo è per Duchamp “riflettere” sull’oggetto. La parola “riflessione” che Duchamp sostituisce alla visione retinica è pur essa una dinamica nella sfera dell’ottica, la luce che vediamo è il riflesso di ciò che non viene assorbito dalla materia. Quindi la riflessione psichica e psicologica è una seconda retina, che può divenire terza, quarta e così via, come se la luce della realtà potesse trafiggere più membrane e farsi strada in un percorso nell’individuo, attraversando tutte gli strati della sua composizione, fino a raggiungere i livelli più profondi e astratti.
Questo accade all’educatore quando si trova di fronte alla persona di cui si deve occupare, una corrispondenza osservativa in un rapporto di accompagnamento, di cura, di sostegno, e così via. Che si tratti di persone in stato di fragilità psichica o sociale, che si trovino in contesti scolastici, che si trovi a operare nel mondo della disabilità o dell’emarginazione. La lotta è sempre quella che viene traslata dal mondo dell’arte. Lo sguardo educativo, fa riferimento alla maieutica delle qualità della persona, nonché alla possibilità sensibile e tecnica che queste qualità diventino strumenti attivi della propria evoluzione. Ma questo sguardo deve lottare con la vista limitata del contesto, un contesto che porta sempre un compito funzionale, ha una progettazione formale che non “include” la persona ma la “inserisce” nel percorso, e a questo percorso obbliga il suo adattamento.
In questo modo le persone vengono suddivise nelle loro possibilità di adattamento sociale e catalogate in base a processi economici, produttivi, funzionali di riferimento.
Il processo di adattamento è il grande classificatore della nostra epoca. l’aspetto stressogeno della nostra cultura. Oggi viene chiamato “sindrome d’adattamento”, testa argomentativa dei vari corsi sulla gestione dello stress, che sono comunque figli dell’ormai poco citato lavoro di Freud, “Il disagio della civiltà” del 1930.
Come nell’arte, ogni sguardo non è mai obiettivo. l’osservazione pedagogica è un aspetto vastissimo nella letteratura educativa. Ogni sguardo, ogni osservazione non è mai un vedere puro, ma un’interpretazione rispetto a parametri e paradigmi. Chi riesce porta a consapevolezza questi paradigmi e consente alla “relatività” di essere parte in causa del giudizio e dell’interpretazione, mitiga il calore freddo della sua ingombrante presenza. La criticità educativa dei rapporti sta appunto nella differenza degli sguardi possibili, tanto che chi ha esperienza “vede” con chiarezza che contesti diversi provocano alle persone, comportamenti differenti. Spesso si cambia stile quando si nuota in vasche differenti, lasciamo uscire personaggi interiori diversi solo se il pubblico ci sa vedere.
Possiamo dire che quello che Duchamp condannava era il giudizio “estetico” quindi “retinico”, in ambito educativo l’estetica diviene giudizio “funzionale”. Visione relativa dell’altro, che non permette di mostrarne la bellezza intrinseca, naturalizzata anche in un orinatoio, ma chiede che questo divenga forzatamente un prezioso vaso in ceramica dell’epoca Ming. Compito spesso così difficile che porta nelle persone per tutta la vita, a sentire sommersa quella sensazione di non essere sufficientemente importanti, sufficientemente di valore, soprattutto e fondamentalmente nei confronti di se stessi.
Vedere il valore al di là delle reali possibilità di adattamento, oltre ad ogni contesto, è l’inizio dello sguardo educativo.
Category: Arte e Poesia