Cristina Biondi: 21 Nuovo dizionario delle parole italiane. Da “Facciate” a “Cultura generale”

| 24 Dicembre 2019 | Comments (0)

 

FACCIATE

In Italia si sta pensando a misure economiche che agevolino il restauro delle facciate delle case. Molti proprietari potrebbero scegliere tinte inusuali, violente, quelle che persone garbate e timide definirebbero un pugno nell’occhio. Per non scivolare nella barbarie e nell’autolesionismo sarebbe bene immaginare quali colori potrebbero piacere ai turisti, quelli che prima o poi verranno ovunque, nelle grandi città, nelle periferie e nei borghi per salvarci dalla povertà. Il vero problema sarà come evitare che intervengano a cose fatte i giovani che imbrattano i muri. Non si può vietare la vendita delle bombolette spray, se non si è mai immaginato di eliminare le gomme americane che macchiano le nostre strade, figuriamoci se si possono evitare le bombolette, il cui uso principale è proprio quello di deturpare ogni parete non protetta da steccati, cancellate e circuiti elettrificati. I produttori e i venditori di vernici subirebbero un danno da qualsiasi tipo di restrizione nella vendita, quale potrebbe essere l’estensione del porto d’armi o l’introduzione di un permesso speciale concesso dietro presentazione di certificati medici e sottoscrizione d’impegno a limitare le proprie attività a cavalcavia dissestati, palizzate provvisorie e al capanno del proprio giardino, escludendo le proprietà condominiali. Tagliare una mano ai trasgressori avrebbe una sua efficacia, come l’avrebbe, secondo antiche tradizioni, applicare tale pena ai ladri, ma pur avendo posseduto e perduto almeno una ventina di biciclette e relative catene, non me la sento di caldeggiare una misura così disumana. Si potrebbe investigare sui social, predisporre intercettazioni telefoniche, istituire un corpo speciale di polizia esperto in pedinamenti ed appostamenti, educare i bambini dell’asilo e delle elementari a rispettare i muri, parafrasare il Cantico delle Creature introducendo Fratello Muro, minacciare gli adolescenti colti in fragrante di metterli al muro e fucilarli senza processo. Insomma niente si può fare e non resta che stare a vedere.

POLITICA E CARRIERA

Se fate politica, avete degli alleati e degli avversari. I vostri alleati possono trasformarsi in vostri avversari e potete stringere patti (tipo di non aggressione Ribbentrop Molotov) con i vostri nemici. Non potete fidarvi né degli uni, né degli altri e i paranoici non hanno minimamente risolto il problema trucidando un discreto numero d’individui appartenenti a entrambe le categorie.

Potete vivere in una monarchia parlamentare, nella quale chi nasce re si trova a dipendere dai rappresentanti del suo popolo e della sua aristocrazia, ma se state fomentando una rivolta, se siete sulla cresta dell’onda di un movimento di dissenzienti, godete di una prerogativa vicina a quella degli eredi a un trono: a vent’anni potete già rivendicare un ruolo politico e appellarvi a un’ipotetica democrazia per candidarvi a un compito al quale né la vostra età, né le vostre esperienze vi hanno preparato. Per le nuove regole del gioco non è nemmeno pensabile che al culmine della vostra precoce fortuna veniate affiancato da un reggente (nemmeno agli zii si può dare piena fiducia). In questi casi succede di finir male, malissimo se le vostre cristalline esigenze di giustizia non risparmiano nessuno dei vostri contemporanei, decretandone l’eliminazione ancor prima che si schierino tra i vostri avversari o tra i vostri alleati (vedi Louis Antoine de Saint-Juste). Se non è in corso la rivoluzione, che dà grandi opportunità a chiunque voglia assassinare chiunque altro, prima o poi la vostra carriera rischierà di tramutarsi in un flop e voi, agli occhi di tutti, tranne che ai vostri, vi rivelerete un bluff (vedete un po’ voi a chi pensare).

Se invece vi trovate in un Paese a partito unico, dovete modulare le vostre ambizioni e prepararvi, imparando a destreggiarvi tra amici e nemici prima di toccare il culmine della vostra carriera. Se le cose vi vanno benissimo e la vostra intelligenza vi assiste diverrete installatore di tubi, idraulico, sindacalista, partigiano, Commissario del Partito, membro delle segreterie dei comitati distrettuali, secondo segretario del comitato cittadino, membro effettivo del Comitato centrale, “facente funzione” di primo segretario del comitato centrale, membro del comitato esecutivo, ufficiale politico, commissario politico, primo ministro, unico capo dello Stato e del partito (vedi Nikita Chruscev). La carriera, riassunta così, potrebbe non sembrarvi entusiasmante e il prezzo da pagare per lo stress subito potrebbe essere un infarto, sempre che la vostra buona stella (rossa) vi eviti la fucilazione.

SARDINE

È bello essere sardine a vent’anni, riconoscendo di non avere l’età per distinguersi dai coetanei e per diventare premier. Siete fortunati: la Patria non vi ha reclutati in massa per andare al fronte come è successo ad altre generazioni. Non formate né un esercito né un partito, siete un branco, termine che gli uomini disciplinati tendono a disprezzare, voi invece avete messo in campo una strategia che consente ai pesci piccoli di sfuggire ai predatori, squali o tonni che siano. Si può anche attaccare in branco, come fanno i piragna, ma non siete aggressivi, non volete cadere nella spirale della violenza, il vostro elemento è il mare, siete silenziosi, non gridate slogan, o almeno io spero che non lo facciate: una sardina è una sardina e non le si addice urlare in un megafono. Anch’io a vent’anni nuotavo nella vita, non mi sentivo nessuno e a giorni ero spensierata, a giorni avevo angosce da sardina, vaghe premonizioni delle difficoltà a venire. Oggi non ho certezze, ma mi sento terrestre, con i piedi per terra e con mille opinioni che mi ronzano in testa, fastidiose come uno sciame di vespe.

UN ALTRO INIZIO AL FEMMINILE

“Sardina” è un sostantivo femminile e una volta tanto un plurale femminile include anche i soggetti maschili che decidono di riconoscersi nella categoria delle sardine. Da parte degli uomini è soprattutto una dichiarazione di non belligeranza, mentre le donne si trovano nuovamente incluse nell’irrilevanza, nuotando in un branco di creature piccole e inoffensive.

“Chi pecora si fa lupo la mangia”, ma per quei politici che si travestono da agnellini l’improvvisa trasformazione delle pecore in sardine le sottrae al loro habitat abituale, annullando gli effetti della retorica e favorendo il riconoscimento di quelle cattive intenzioni che, se il lupo si limitasse ad arringare (etimologicamente da aringo: luogo chiuso, l’aringa non c’entra) i suoi simili, verrebbero interpretate come lodevoli progetti nell’interesse della specie.

Alle donne la violenza è sempre stata interdetta o per lo meno l’omicidio non è mai rientrato tra i loro sacri doveri nei confronti della Patria, con poche ma significative eccezioni: dopo che a una fanciulla è stata concessa un’armatura, riconoscendo il suo coraggio e la santità della sua missione, è stata bruciata sul rogo per il suo ostinato rifiuto di ritornare agli abiti femminili.

Alle donne è stato chiesto in via eccezionale di togliere le castagne dal fuoco quando la loro gente navigava in cattive acque: Giuditta tagliò la testa di Oloferne e altre eroine accettarono un compito simile, ma chi si è assunta la responsabilità più delicata è stata Eva. Ha desiderato la conoscenza del bene e dal male, ma ha deciso di associare l’uomo alla sua iniziativa. L’uomo solo di recente ha concesso con riluttanza alle donne la facoltà di associarsi alle proprie imprese, intellettuali e non, le peggiori delle quali sono state così disastrose che non c’è stato bisogno che il Padreterno scendesse in terra a farcelo notare.

Immaginate se Eva avesse compiuto da sola il peccato originale: lei avrebbe peregrinato per il mondo, mentre Adamo avrebbe conservato i privilegi del Paradiso Terrestre (sino a prova contraria). Noi donne saremmo diventate le sole responsabili dei nostri guai, ma avremmo avuto più libertà d’azione, compresa la somma libertà che consiste nel trovarsi separate dai mariti senza il concorso degli avvocati.

PECCATO ORIGINALE: UNA TANTUM

Eva ne è stata responsabile, ma poi sembra che le donne si siano ritirate a vivere in un territorio abbastanza vicino all’istinto, incolpevole motore di tutte le creature eccetto l’uomo. Chi ha proseguito sulle pericolose e promettenti rotte della conoscenza del bene e del male è stato il maschio e l’emancipazione femminile in quest’ottica può essere interpretata come un rovesciamento dei ruoli nella ripetizione del peccato originale: a Eva viene offerta la mela (Apple) già morsicata del suo compagno.

“Accedete anche voi donne alla summa del nostro sapere, gustate il frutto di quanto di proibito, avventato, meraviglioso e terribile abbiamo sino ad ora scoperto, conquistato, strappato, divelto, smontato e rimontato. Rispondere: “Grazie no” sarebbe stato un lavarsene le mani, rispondere: “grazie sì” è stato arrischiato e temerario: non è mica facile pensarci le madri di tutti i viventi in tempi di estinzioni di massa, bombe atomiche, inquinamento e riscaldamento globale. L’effetto serra non promette bene, la serra di solito è un luogo protetto, vi crescono rigogliose le creature delicate, ma dopo qualche miliardo di peccati meno originali del primo, ma sempre devastanti, abbiamo motivo di diffidare anche di chi s’incarica di proteggerci, arricchirci e farci stare meglio.

ENTUSIASMI

Sinceramente non possiamo ritenere che l’uomo abbia concesso con entusiasmo alla propria compagna l’accesso al suo mondo tecnologico e guerrafondaio. L’entusiasmo maschile (sintetizzabile nell’espressione leghista: ce l’ho duro) ha molto da temere dallo sguardo femminile, da quel recente pervertimento dell’istinto che fa dire a tante donne: “grazie no”. È tornato in auge un eroe letterario che fonda la sua originalità sul non provarci nemmeno: Bartleby, lo scrivano, è disposto a sacrificare la vita pur di persistere nell’affermazione: “Avrei preferenza di no”.

È rischioso e deludente sottoporre all’intelligenza femminile affermazioni come:

“giacere morto è bello, quando un prode lotta

per la sua patria, e cade in prima fila”

alle fanciulle della mia generazione è stato propinato il testo greco di Tirteo da tradurre, superato tale scoglio la strada era in discesa. Per ottenere un buon voto bastava affermare che il mondo antico, nella sua olimpica perfezione, vedeva nell’omofilia la massima forma di amore. Le ragazze che si sono diplomate con ottimi voti oggi sono avvocati, giudici, medici, psicologhe e assistenti sociali che si impegnano perché agli educatori non sia più consentito di indulgere in certi amori, praticati sin dai tempi di Socrate.

DEMOCRAZIA, UFFA

Disquisire di democrazia sta diventando un tormentone e assomiglia al problema del sesso degli angeli: è possibile distinguere in modo inconfutabile un capo (di Stato, di governo, di partito o di quello che volete voi) eletto democraticamente da uno che è nato re o che è giunto alla ribalta grazie a una rivoluzione o a una lunga carriera negli apparati di governo? Se è possibile, in cosa esattamente consiste la differenza? Gli eletti sono più belli, più onesti, più sinceri, più disponibili alla condivisione, all’amicizia, alla solidarietà, alla sollecitudine, alla responsabilità, alla trasparenza, alla sincerità (adesso metto o non metto un altro punto interrogativo? Attendo il parere di un referendum, di una commissione di governo, di una votazione, di un forum, di una chat, di una consensus conference che metta a confronto i pareri dei migliori psichiatri)

VOTO

Per un lungo periodo è stato sacrosanto che ci dessero i voti a scuola, l’equivalenza tra una situazione complessa e un numero era una convenzione che non veniva contestata, e, se prendevamo un quattro in matematica, avevamo preso quattro: il professore aveva il pieno potere di voto. Uno vale uno: il voto elettorale è una monetina che vale molto meno di un centesimo, spendibile in un mercato ristretto, va deposto nell’urna in un arco molto breve di tempo, passato un giorno o due non ha più alcun valore: a voi resta quella specie di cambiale senza scadenza che è il certificato elettorale. Pensate come sarebbe più interessante se, invece di una scheda sulla quale apporre una croce da perfetti analfabeti, avessimo il diritto-dovere di compilare una pagella con la facoltà di assegnare un voto da uno a dieci a ogni candidato: chi scenderebbe sotto la media del sei verrebbe bocciato. Durante lo spoglio andrebbero analizzati numeri astronomici, ma sarebbe fattibile, basti pensare alla complessità dei dati del nostro sistema bancario. Oggi i candidati possono ottenere un numero di voti insufficiente, ma non un voto insufficiente, questo dimostra che nemmeno in democrazia è possibile esprimere un dissenso. Il luogo del dissenso è la piazza (un arengo, luogo chiuso, a volte frequentato da manifestanti e celerini), la protagonista è un’entità collettiva che, sia che qualcuno urli in un megafono, sia che qualcun’altro arringhi la folla, è soggetta a scadere in reazioni incontrollate. Il simbolo della piazza sovrana è Place de la Bastille: dove c’era un carcere, non c’è più niente, ma è un niente ad alta potenzialità distruttiva.

NERO

Un mio nipotino era avido di farsi ripetere una storia terribile, vera e fortunatamente a lieto fine. Sansone, il cane di casa, era stato azzannato da un cane nero che aveva superato con un grande balzo lo steccato, e al momento il nostro bracchetto aveva la pancia rasata e cucita, ma se l’era cavata. Il bimbo, da quel momento in poi definiva “nero” qualsiasi persona cattiva e si arrabbiava se lo prendevamo in giro quando proclamava: “sei nero”.

Quand’ero bambina i neri erano i fascisti e i nazisti, questi ultimi capaci di qualsiasi nefandezza, compresa l’invasione della Polonia. Mi si sono alquanto confuse le idee quando ho realizzato che, mutatis mutandis, tutte le potenze mondiali avevano, chi più chi meno, chi prima e chi dopo, chi da est e chi da ovest, invaso i vicini, compiuto stragi e genocidi in patria e all’estero.

Viviamo nel mito che i nostri tempi siano migliori, che alla fin fine vincano sempre i buoni, che il progresso abbia migliorato l’umanità, ma coesiste la paura che le cose non siano così semplici. L’aver ascoltato cantare in gioventù per centinaia di volte “el pueblo unido jamàs serà vencido” non mi ha predisposto all’ottimismo, anche se la storia ha confermato che chi è nero è nero.

CULTURA GENERALE

A sei anni, ancor prima di imparare a leggere, sapevo già che i cinesi hanno la testa rasata e il codino, gli africani bollono gli esploratori e poi li mangiano, nel Borneo ci sono i tagliatori di teste. Camminando a piedi scalzi viene il raffreddore, se ci si punge sui fili spinati arrugginiti si prende il tetano, non bisogna toccare nei prati quelle pigne di metallo dimenticate lì dai soldati. Durante la seconda guerra mondiale gli americani distribuivano cioccolata e sigarette, dopo la guerra a Napoli nascevano bambini neri (effetto del vulcano), qualcuno era quasi riuscito a vendere il Colosseo a un miliardario americano.

Adesso il mondo è cambiato: i cinesi non hanno più il codino e qualcuno vorrebbe vendersi la Sardegna.

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