Alessandra Mecozzi: 8 marzo. Global Strike, lo sciopero femminista

| 8 Marzo 2019 | Comments (0)

Alessandra Mecozzi analizza il Global Women Strike dell’8 marzo, uno sciopero per ridare senso al lavoro, nelle diverse parti del mondo con le diverse prese di posizione sindacali. E’ stata per 15 anni responsabile internazionale della Fiom Cgil. Attualmente è presidente associazione Cultura e libertà

Navigando su Internet alla ricerca di nuove informazioni, ci si imbatte in questa strampalata definizione di “Global strike”, un gioco da computer “che permette ai giocatori di combattere l’uno contro l’altro  in scontri frenetici che ruotano attorno a battaglie a squadre in una gran varietà di modalità di gioco e mappe.”(???). Bisogna aggiungere Women’s, per trovare una definizione adeguata: il Global Women’s Strike è un movimento che cerca di dare valore al lavoro e alle vite di tutte le donne nel mondo. Sono partita da qui per cercare di avere un quadro dello “sciopero femminista” nel mondo.

1. Nel mondo

Il sito Transnational Social Strike Platform (una piattaforma che esiste da qualche anno, con l’obiettivo di collegare soggetti diversi attraverso i confini, nella prospettiva dello sciopero transnazionale) (1), dedica ampio spazio ad articoli e interviste sulla sciopero femminista, e dichiara “che il movimento delle donne ha ridato potere allo sciopero”. Vi si trovano articoli e interviste da molti paesi sullo “sciopero globale dell’8 marzo”, in Europa e negli Stati Uniti.

L’International women’s strike o paro internacional de mujeres, racconta in due lingue la storia recente di questo movimento nato nel 2017, ispirato da quello delle donne in Polonia nell’ottobre 2016; ma le pioniere sono state, il 24 ottobre1975, le donne in Islanda, quando il 90% della popolazione femminile si astenne dal lavoro una giornata (lavoro retribuito e non, in casa e fuori) per dimostrare il carattere indispensabile del lavoro delle donne per l’economia e la società islandesi, denunciando la pesante distanza salariale dal lavoro maschile e l’ingiustizia nelle assunzioni ! Il processo di costruzione e realizzazione dello sciopero femminista è in crescita. Quello del 3 ottobre dalle donne in Polonia, la Black Protest, contro la volontà di mettere al bando il diritto di scelta sull’aborto, è stato immediatamente seguito da quello, il 16 ottobre, in Argentina, in occasione di un terribile episodio di stupro e uccisione di una giovanissima, Lucia Perez. Poi lo sciopero femminista ha rapidamente contagiato il mondo. Al centro è il tema della violenza, in tutte le sue forme: dallo stupro alla precarizzazione del lavoro, dalle molestie e ricatti sessuali sul lavoro, alla crescente riduzione e privatizzazione dei servizi sociali…Sempre presenti le donne migranti. Anzi, è proprio da loro che nasce l’esigenza del carattere transnazionale dello sciopero, e l’indispensabile carattere intersezionale, l’intreccio tra le lotte di diversi soggetti. Lo sciopero femminista si presenta dunque immediatamente come sciopero contro il razzismo, il sessismo, il patriarcato.

Negli Stati Uniti si parla di “sfida all’Impero” (Cinzia Arruzza) e di costruzione di un femminismo del 99%; si ricorda che la storia dello sciopero delle donne cominciò nel 1970 quando l’Organizzazione Nazionale per le donne (NOW) proclamò lo sciopero per l’Uguaglianza.

Lo sciopero delle donne vuol dire rifiutare tutti il lavoro che le donne fanno – sia pagato in fabbrica o in ufficio, sia lavoro domestico non pagato nelle case, nelle comunità, nelle stanze da letto!”

Se secoli fa Lisistrata capeggiava lo sciopero del sesso, contro la guerra del Peloponneso fatta dagli uomini, oggi il Women’s strike rifiuta decenni di disuguaglianza economica, criminalizzazione, violenza sessuale e razziale e l’infinita guerra globale e il terrorismo. (2)

E’ per questo che il “femminismo del 99%” (secondo il Manifesto lanciato negli Stati Uniti da un gruppo di universitarie, tra cui Cinzia Arruzza, Nancy Fraser, Angela Davis) non si limita alla sola richiesta di salari migliori. Ma chiede un capovolgimento delle priorità del sistema: dal fare profitti a fare investimenti nei servizi sociali e assistenza sanitaria per tutti, in alloggi sostenibili e in un sistema di istruzione pubblico, chiede acqua pulita e aria pulita liberandola dai carburanti fossili. “Il nostro femminismo – dicono – lotta duramente allo stesso modo per la salute e il futuro delle nostre comunità e per la salute e il futuro del pianeta”. Ed è la giovanissima svedese Greta Thunberg, ad aver lanciato l’appello a mobilitarsi e a far sentire la voce delle nuove generazioni , con il global strike del 15 marzo 2019, che esige interventi immediati contro il cambiamento climatico.

In Germania, lo sciopero femminista riapre dopo anni la questione della legittimità dello sciopero politico, illegale nella pratica, anche se non formalmente, da molti anni. Come dicono Johanna e Tessi (Berliner Frauen Streik Netzwerk): “Tra il 2007 e il 2013 in Germania i grandi sindacati hanno aperto un dibattito al loro interno per capire come riappropriarsi dello sciopero politico. In quel periodo però non c’era nessun movimento di massa che potesse far leva su quel dibattito per intervenire nelle lotte reali….Crediamo che il movimento femminista potrebbe diventare il movimento che pone materialmente la questione della legittimità dello sciopero politico.” E “Ni una menos” diventa subito “Keine mehr!”

Realtà e obiettivi sono in parte diversi nei diversi paesi dove è dilagato in soli 4 anni lo sciopero femminista, ma esistono fili che li collegano e fanno dello sciopero femminista uno strumento “rivoluzionario” “Quello che lega la maggioranza dei nostri paesi è la misoginia e la persistente permissività da parte dei politici eletti e delle persone pubbliche nei confronti di un linguaggio di odio, e il sostegno della Chiesa a questi crimini. Altro legame chiave sono le istituzioni democratiche che non si curano di proteggere la sicurezza pubblica e garantire la giustizia, e i mezzi di comunicazione che vengono meno alla loro responsabilità legale di di dare informazioni credibili e copertura completa”.

In Italia Non una di meno (NUDM) dice nel suo appello allo sciopero: “Scioperiamo in tutto il mondo contro l’ascesa delle destre reazionarie che stringono un patto patriarcale e razzista con il neoliberalismo. Chiamiamo chiunque rifiuti quest’alleanza a scioperare con noi l’8 marzo. Dal Brasile all’Ungheria, dall’Italia alla Polonia, le politiche contro donne, lesbiche, trans*, la difesa della famiglia e dell’ordine patriarcale (disegno di legge Pillon), gli attacchi alla libertà di abortire vanno di pari passo con la guerra aperta contro persone migranti e rom. Patriarcato e razzismo sono armi di uno sfruttamento senza precedenti. Padri e padroni, governi e chiese, vogliono tutti «rimetterci a posto». Noi però al “nostro” posto non ci vogliamo stare e per questo l’8 marzo scioperiamo!”

Dall’Argentina Veronica Gago sottolinea: “In America Latina e nei Caraibi, la forza dello sciopero è sempre una combinazione di lutto e di lotta: a marzo commemoriamo l’anniversario dell’assassinio di Berta Cáceres nel 2016 (leader ambientalista honduregna impegnata nella lotta per la difesa degli indigeni, il diritto alla terra, contro l’ estrattivismo) che continua a vivere nelle lotte contro i progetti neo-estrattivi, e della morte delle ragazze nella casa-famiglia in Guatemala l’8 marzo 2017. Trasformando l’8 marzo in una giornata di sciopero, abbiamo recuperato la sua storia operaia e abbiamo sostenuto le lavoratrici tessili di ogni epoca con una memoria insorgente intessuta di resistenze quotidiane. Lanciandolo dall’America Latina, abbiamo però ampliato i suoi significati, per includervi una molteplicità di attività e di geografie che erano generalmente rimaste nella periferia dell’immaginario del lavoro. E, soprattutto, abbiamo collegato la violenza contro il corpo delle donne e contro i corpi femminilizzati a conflitti territoriali concreti: lotte per la casa e contro l’espansione dell’estrattivismo attraverso l’espropriazione delle terre; lotte contro la criminalizzazione delle economie popolari e migranti; lotte contro le politiche di aggiustamento strutturale e contro la finanziarizzazione della povertà; lotte contro l’illegalità dell’aborto, che produce una segmentazione basata sulla classe.”

Ni una menos in Argentina chiama anche quest’anno allo sciopero, riconoscendo e dando dignità a tutti i lavori tradizionalmente invisibili e sfruttati: lavoro riproduttivo, lavoro comunitario, lavoro migrante. Nell’appello che chiama allo sciopero si può leggere: “Crediamo che sia il movimento femminista con tutta la sua diversità che ha politicizzato in modo nuovo e radicale la crisi della riproduzione sociale come crisi di civiltà e nello stesso tempo della struttura patriarcale della società.”

Analoghe richieste si trovano nella piattaforma delle Mujeres que Luchan, in Cile, lanciata da 1500 donne in assemblea nel dicembre 2018: no alla violenza politica sessuale ed economica, depenalizzazione dell’aborto, no all’estrattivismo, si ad una nuova legge che garantisca diritti e diritto allo sciopero dei/delle migranti, istruzione come diritto sociale e no alla privatizzazione, si alla sovranità alimentare, al diritto alla terra….(3)

2. Sciopero per ridare senso al lavoro

In un mondo in cui il lavoro è sempre più frammentato, saltuario e invasivo, lo sciopero femminista intende per un verso ridargli un senso per l’altro collegare le tante e diverse forme di lavoro, rivoluzionando il significato del femminismo e rivoluzionando il significato dello sciopero…E’ un processo caotico ma radicato, nelle pratiche e nelle elaborazioni. “Così, i femminismi popolari, indigeni, comunitari, periferici, degli slum dell’America Latina, che sottraggono la politica del riconoscimento all’orizzonte liberale, che non sono interessati alle quote e che non si fidano delle trappole identitarie mettono in primo piano la precarietà dell’esistenza come condizione comune, che diventa unica attraverso i conflitti concreti.”

Come lo sciopero nel lavoro salariato è stato storicamente lo strumento di conquista di diritti e di miglioramento della vita ed ha ridato un senso, attraverso la coscienza collettiva e la lotta, al lavoro stesso, quel senso su cui si fonda la cultura del movimento operaio, il cambiamento di pelle che avviene con lo sciopero femminista, tende a unire i soggetti frammentati, ed è anche un modo per ridare un senso al lavoro, visibile e invisibile, di produzione e riproduzione sociale. E le donne ne sono il soggetto includente. La cosiddetta femminilizzazione del lavoro ha dopo anni portato, quasi inevitabilmente, alla femminilizzazione dello sciopero. E’ avvenuto attraverso un processo straordinario di partecipazione. In Spagna, lo scorso anno furono migliaia e migliaia le donne che scesero l’8 marzo nelle strade, parzialmente sostenute da uno sciopero di due ore proclamato da tutti i sindacati. Quest’anno un’ assemblea di 500 donne ha di nuovo proclamato lo sciopero dell’8 marzo.

3. L’assenza di sintonia sindacale

Lo sciopero femminista dà speranza e fiducia nelle possibilità di cambiamento. Alcuni sindacati lo appoggiano. In Francia Solidaires e Sud, in Spagna UGT e CC.OO. ripeteranno lo sciopero, sia pur parzialmente come lo scorso anno, mentre aderisce la più piccola l’Intersindical, in Italia i sindacati di base (USB e Cobas, le Camere del Lavoro autonomo e precario CLAP).

E’ deludente il silenzio dei “grandi” sindacati: mentre ci si è rallegrati per la grande manifestazione a Roma di qualche mese fa, sorprendono amaramente il silenzio e la “contro assemblea” di delegate indetta per l’8 marzo a Roma, al Policlinico, da Cgil Cisl Uil.

Sorprende che di fronte ad una realtà autentica, di pensieri e di corpi, che in un mondo di regressione e svalutazione generale del lavoro e delle persone (manifestazione plurale del 2 marzo a Milano), vuole dare vita a nuove analisi e pratiche sul lavoro, ai suoi soggetti contro la violenza che pervade vite e società, chi rappresenta milioni di donne e uomini guardi da un’altra parte.

Cercano di stabilire un legame movimento-sindacati i/le numerosi/e delegati/e che hanno sottoscritto un appello alla partecipazione, partito da Bologna: “…In tutto il mondo, però, le donne stanno lottando e l’8 marzo sciopereranno ancora una volta. Questo sciopero riguarda anche noi, perché fa vedere chiaramente che la violenza maschile e quella razzista sono parte integrante delle politiche di precarizzazione e dello sfruttamento nei posti di lavoro che ci colpiscono. Questo sciopero è necessario, perché ci dà la possibilità di unire le forze, di andare al di là delle divisioni di8 marzo sindacati in america latina categoria, delle discriminazioni sessuali e del razzismo che ci dividono sui posti di lavoro. Questo sciopero è urgente, perché non possiamo tacere di fronte alle politiche di questo governo che sta colpendo duramente, con una violenza senza precedenti, proprio le donne, i lavoratori e i migranti”. 8 marzo sindacati in america latina (4)

Un gesto di sintonia e riconoscimento, nella difficoltà di proclamare e per molte di fare, uno sciopero, potrebbe essere, come indicano le stesse piattaforme femministe, un segno distintivo da portare nel posto di lavoro, oppure istallare la risposta automatica “out of office” e spiegarne il perché…

Amaro e il commento di Non una di meno in Italia:

Lontano dalla marea femminista, protette dai movimenti disordinati delle altre donne, indifferenti a uno sciopero che mette in discussione il loro modo di intendere lo sciopero e la loro pretesa di essere gli unici soggetti che possono legittimamente dichiararlo e organizzarlo, le donne riunite in assemblea potranno serenamente ignorare lo sciopero femminista che si svolge sotto il loro «storico e orgoglioso» naso, tanto a Roma quanto nel resto del mondo. D’altra parte, la pratica di questa indifferente diffidenza ha portato gli apparati confederali a non vedere né tanto meno a riconoscere il lavoro di quelle delegate del loro stesso sindacato che si sono impegnate nello sciopero globale femminista lanciato in Italia da Non Una di Meno. Molto probabilmente hanno pensato che non c’era bisogno di una mano e se le sono lavate entrambe.

Leggendo il dossier intitolato «Metalmeccaniche», pubblicato in vista dell’ultimo Grande Congresso, si scopre allora che, mentre in tutto il mondo le donne scioperano, la FIOM ‒ o almeno la sua ala femminile, ben separata dal resto ‒ preferisce stare in libreria. Dopo le interviste ad alcune delegate e funzionarie sindacali su lavoro, lavoro sindacale e contrattazione, il dossier contiene infatti un’Appendice che raccoglie tra gli altri l’intervento di un’esponente della Libreria delle Donne di Milano, dove la FIOM è andata a discutere insieme ad alcune femministe d’ogni classe a partire dalla domanda: «di che cosa ha bisogno il lavoro»? (5)

L’esperienza di sindacalista metalmeccanica che ha coinvolto tante, ha insegnato che non c’è ambito di lotta che non abbia avute come protagoniste le operaie e impiegate metalmeccaniche, dalla Flm degli anni 70 in poi… Sono loro che hanno cercato di aprire i contratti ai propri diritti, che hanno scritto una norma contro i ricatti sessuali sul lavoro, che hanno sfidato la Fiat e le direzioni aziendali di grandi fabbriche, che hanno perfino occupato una piccola fabbrica in cinque!… L’esperienza ha mostrato che è positivo e utile il confronto tra pratiche ed esperienze diverse, come è avvenuto nella assemblea delle delegate al Congresso della Fiom, quando si base sul riconoscimento reciproco. Per questo sorprende l’assenza, in occasione dello sciopero dell’ 8 marzo,di un aegno di riconoscimento e sintonia con un movimento giovane e intelligente che da qualche anno proclama nel mondo lo sciopero femminista e rimette in discussione equilibri e priorità. E’ una assenza di relazione lontana dalla realtà, perché non ascolta un appello ragionevole : “Dobbiamo lottare perché chiunque possa scioperare indipendentemente dal tipo di contratto, nonostante il ricatto degli infiniti rinnovi e l’invisibilità del lavoro nero. Dobbiamo sostenerci a vicenda e stringere relazioni di solidarietà per realizzare lo sciopero dal lavoro di cura, che è ancora così difficile far riconoscere come lavoro.  Invitiamo quindi tutti i sindacati a proclamare lo sciopero generale per il prossimo 8 marzo e a sostenere concretamente le delegate e lavoratrici che vogliono praticarlo, convocando le assemblee sindacali per organizzarlo e favorendo l’incontro tra lavoratrici e nodi territoriali di Non Una di Meno, nel rispetto dell’autonomia del movimento femminista. Lo sciopero è un’occasione unica per affermare la nostra forza e far sentire la nostra voce”. (6)

NOTE

(1) “ Sin dal suo inizio, il progetto dello sciopero sociale transnazionale ha sottolineato il bisogno di creare le condizioni per stabilire connessioni attraverso i confini e per espandere ulteriormente l’impatto dello sciopero come pratica collettiva di rifiuto. Riconosciamo che la logistica sfrutta le differenze tra gli spazi e le condizioni e che il tentativo di organizzare lotte sociali e sul lavoro su una scala transnazionale non può che scontrarsi con la trasformazione logistica della produzione. La logistica non è per noi semplicemente un settore, ma un insieme di pratiche e di metodi utilizzati per comandare il lavoro attraverso i confini, producendo isolamento e frammentazione. Utilizzando divisioni tra lavoratori e lavoratrici separati da diverse condizioni contrattuali e salariali, da differenze di status, dal sesso e dalla nazionalità, la logistica contemporanea fa sì che i lavoratori abbiano poche possibilità di vedere le loro reciproche connessioni, di cooperare e lottare insieme.” (dall’appello all’ incontro di Stoccolma, 23-24 novembre 2018: Contro la logistica dello sfruttamento)

(2) internationalwomenstrikeus.com

(3) http://www.biodiversidadla.org/Noticias/Huelga-General-Feminista-8-de-marzo-2019

(4) http://www.connessioniprecarie.org/2019/03/01/appello-di-lavoratrici-e-lavoratori-delegate-e-delegati-per-lo-sciopero-femminista/

(5) www.connessioniprecarie.org

(6) https://nonunadimeno.wordpress.com/2019/01/23/non-una-di-meno-l8-marzo-noi-scioperiamo/

Category: altro, Donne, lavoro, femminismi, Lavoro e Sindacato, Movimenti, Osservatorio Europa, Politica

About Alessandra Mecozzi: Alessandra Mecozzi Nata a Roma il 14 novembre 1945. Né marito né figli. Ho due sorelle, un fratello e un mucchio di nipoti, madre novantunenne. Liceo Tasso e Università La Sapienza di Roma. Laureata nel 1970 con una tesi sulla Cgil. All’Università ho conosciuto la politica e il movimento studentesco, incontrato per la prima volta il sindacato. Non iscritta a nessun partito, dopo 2 anni di FGCI. Dalla fine del 1970 alla Fiom nazionale. Dal 1974 al 1990 alla FLM prima, poi alla FIOM di Torino/Piemonte. Nel 1975, con il gruppo dell’Intercategoriale donne cgil cisl uil di Torino, conosco e pratico il femminismo, nel sindacato e alla casa delle donne. 1983: primo convegno internazionale su donne e lavoro “Produrre e riprodurre”; 1987 : costruiamo Sindacato Donna nella CGIL. La politica per la pace, la incontro a Gerusalemme e nei territori palestinesi occupati, nel 1988, con donne italiane, palestinesi e israeliane (“Donne a Gerusalemme”, Rosenberg&Sellier), dopo una breve esperienza nei campi profughi palestinesi in Libano, in seguito a un appello di Elisabetta Donini. Nel 1989, eletta nella Segreteria Nazionale della Fiom, torno a Roma. Dal 1996, responsabile dell’Ufficio internazionale e, successivamente, anche della rivista della fiom Notizie Internazionali. Contribuisco alla nascita di “Action for Peace” (2001) un progetto di molte associazioni, per la presenza di missioni civili in Palestina/Israele; dal 2002 nel Coordinamento Europeo per la Palestina (ECCP). Partecipo dal 2001 - Genoa Social Forum - al processo del Forum sociale mondiale e del Forum sociale europeo. Dal 2012, “libera dal lavoro”, sono volontaria con “Libera” per l'area medio oriente e maghreb-mashreq e presidente della associazione “Cultura è Libertà, una campagna per la Palestina”.

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