Sid Atma: Da qualcuno a Nessuno, Pauravirus

| 12 Aprile 2020 | Comments (0)

Diffondiamo dal blog di Sid Atma,  http// unicacoscienza.altervista.org

1.Da qualcuno a Nessuno

 Quando veniamo toccati direttamente dalla Vita  – specie se è minacciata l’incolumità nostra o dei nostri cari, come in questi giorni –  la mente tende spesso a contrarsi di fronte al senso di vulnerabilità che la pervade.

Per schermarsi dalla propria fragilità, la mente si identifica con immagini tratte da modelli esterni di forza, virilità (gli ‘eroi’), oppure anche di debolezza (le ‘vittime’).

Mi sento nudo, esposto al tocco dell’intensa vibrazione che la Vita genera in me, e preferisco evitare l’acuta coscienza di questa fragilità attraverso un filtro, una qualche definizione di me stesso che interrompa il mio diretto sentire: divento allora una persona ‘forte’, oppure ‘debole’, ma comunque qualcuno che mi liberi dall’inquietante sensazione di essere un ‘nessuno’ indifeso, esposto a qualsiasi influsso ‘esterno’

 Talvolta, per esempio, nel ricevere un’offesa, ciò che più fa male non è la ferita in sé, ma il fatto che ne siamo stati toccati, che continuiamo ad accusarne il colpo, perché ammettere questo ci mostra l’illusorietà della nostra presunta indipendenza, del nostro presunto isolamento dal mondo ‘esterno’, vale a dire la natura fittizia del nostro ‘io’ apparentemente separato: ci sentiamo come una foglia al vento, alla mercè di ogni leggera ‘brezza’ del mondo intorno a noi.

 Ma quando viene a cadere l’identificazione con qualche immagine esterna che ci dia sicurezza e sentiamo senza barriere la vibrazione che il tocco della vita genera nel cuore, dietro la nostra fragilità scopriamo uno spazio sconfinato, in cui siamo ‘nessuno’, ma questo ‘nessuno’ è collegato a tutte le cose e respira con esse.

 Scopriamo che non c’è alcun bisogno di difenderci attraverso immagini e modelli di identità.

 Nel momento in cui la mente smette di schermarsi dalla propria fragilità, un gran senso di libertà e ristoro si fa strada.

 Non c’è nulla di male ad essere vulnerabili. Anzi, è proprio nella nostra vulnerabilità che scopriamo di essere sensibili a tutto: ci accorgiamo allora che ogni cosa, ogni situazione, ci tocca nel profondo.

Gli eventi esterni producono onde che vibrano nel nostro cuore.

Se non ci induriamo nell’insensibilità dell’inconsapevolezza, scopriamo con sollievo l’influsso spontaneo che gli avvenimenti esercitano sul nostro cuore, liberi di accogliere queste onde come eventi naturali.

 Scopriamo anche di essere noi stessi nient’altro che onde, totalmente interconnesse con tutto il resto.

 Paradossalmente, una volta passati dal ‘qualcuno’ di fittizi modelli difensivi al ‘nessuno’ di una totale interconnessione con gli eventi, un nuovo senso di libertà si fa strada: infatti il riconoscimento della propria vulnerabilità si tramuta in un’apertura senza riserve al tocco della vita, in un’intima venerazione per ogni singola esperienza, attraverso cui traspare il presentimento dell’inconoscibile sfondo dell’Essere.

 In questo spazio di libertà, si comincia a scoprire con tenerezza la propria vulnerabilità.

 La paura, la vergogna o la disperazione di fronte al fatto di essere totalmente esposti ai capricci del destino cedono il posto alla pacata impeccabilità di chi vive sapendo che il presente è tutto ciò che ha.

 L’accettazione incondizionata della propria vulnerabilità evoca un sentimento nuovo e sconosciuto di profondo rispetto per se stessi e per gli altri, proprio in quanto effimere, irripetibili e palpitanti espressioni di quell’immenso, solenne, incessante movimento che è la Vita.

 Sentirsi niente più che una foglia al vento produce allora, quando appassisce la paura, un gran senso di sollievo e leggerezza, perché ci libera dal peso dell’io, sulle ali di un’incontenibile pienezza.

  Tutto questo non è affatto al di fuori della nostra portata. Anzi, ci accade più spesso di quanto non crediamo, anche se la mente, sempre indaffarata a cercare qualcosa che la soddisfi, non riesce nemmeno a riconoscere questi momenti di pura grazia. Eppure sono sempre qui, basta fermarsi un attimo a guardare nel profondo del nostro cuore.

E il riconoscimento della propria vulnerabilità, come spesso ripeteva J. Krishnamurti, porta con sé una dignità che nulla può corrompere.

2.Pauravirus.

Benvenuto, altro me stesso che stai leggendo…

In questo periodo difficile per moltissimi di noi, ritengo sia fondamentale l’evitare di perdere il proprio tempo e le proprie energie avventurandosi nell’elaborazione di teorie che tentino di spiegare gli eventi.

Se è vero che il dubbio è il padre dell’intelligenza indagatrice, è pure vero che la teoria non corroborata da dati inoppugnabili è spesso la madre della superficialità e di sua sorella, la stoltezza.

Lungi da me, quindi, l’idea di compiere voli pindarici nel tentativo di attribuire a questo o a quello l’origine delle più o meno “naturali” difficoltà esistenziali conseguenti al regime di “chiusura” che, quasi ovunque nel mondo, è stato attuato dalle “autorità istituzionali” a salvaguardia della “salute pubblica”.

Devo comunque confessarti che non sono riuscito a scrivere parole quali “naturali”, “chiusura”, “autorità istituzionali”, “salute pubblica” senza virgolettarle… non sapendo bene se ridere a crepapelle o piangere a dirotto.

Premesso tutto ciò, cerchiamo di indagare insieme alcuni aspetti del momento attuale… ti va?

La cosa più eclatante è che, da un momento all’altro e, per i più, senza alcun preavviso, la realtà è mutata. La realtà quotidiana di soli pochi giorni fa non esiste più. Spazzata via. La scenografia sul palcoscenico è stata rimossa, dopodiché sostituita con altro.

Abitudini, consuetudini, certezze, il solito Tran Tran, finanche le credenze… puff… tutto svanito nel nulla. Distrazioni, sollazzi, ritmi sfrenati, esibizionismo, shopping più o meno compulsivo, pellegrinaggi nei centri commerciali, adunanze “aperitivesche”, incontri tra amanti, gioco d’azzardo e chi più ne ha, più ne metta, sono stati poco democraticamente e, senza interpello, sottratti all’homo consumptor (consumatore). Una tragedia.

Al posto di tutto ciò, in compenso, le “autorità istituzionali” e i loro adepti della “informazione” (???) mainstream non hanno lesinato nel fornire beni emergenziali di prim’ordine per il nostro uso e consumo: overdose micidiali di paura, terrore, sfiducia, cupe previsioni, inimicizia e sospetto verso l’altro, considerato un untore potenziale, mostrando al contempo una sempre più palese disorganizzazione e inefficienza.

Niente sole ed aria aperta, niente abbracci, niente strette di mano, anziani soli, bambini segregati, divieto di assistere i morenti e persino di fare i funerali, sospese ugualmente le funzioni religiose. Il pipistrello, poi, è sicuramente satana, mentre il maiale è un angelo che si lascia mangiare senza protestare o infettare… è così difficile da capire? Barbari!

Perdonami… era mia intenzione scrivere qualcosa di serio e, invece, mi accorgo che non ci riesco proprio. Ma ora ritento e, forse, sarò più fortunato.

Tutto ciò che si dava per scontato, le abitudini, i rapporti interpersonali, le certezze, le sicurezze, le consuetudini, non ci sono più. In altre parole, abbiamo smarrito o, se preferisci, ci hanno sottratto i nostri punti di riferimento, la nostra programmazione del futuro… tutto cancellato.

All’improvviso, ci siamo ritrovati di fronte all’ignoto… e l’ignoto, si sa, fa paura a molti.

Ma che cosa è l’ignoto? È semplicemente la fine di ciò che conosciamo.

Ed ecco che la vera paura, finalmente, si manifesta: la fine delle nostre presunte sicurezze, delle nostre cosiddette zone di comfort, qualsiasi esse possano essere o essere state. A dirla ancora più schiettamente, la vera paura che emerge è la paura della morte. Una paura che siamo soliti ignorare, seppellendola, con ogni distrazione o piacere sensoriale possibile e immaginabile.

La società, nonché la “cultura” materialista, che ha ormai reso oggetto e oggetti tutto e tutti, ha trasformato la morte in un tabù. Non la accetta, né se ne deve parlare.

Ma qui nessuno è politicamente corretto, anzi. Poiché chiunque intenda svolgere un decente lavoro su di sé, tra le prime indagini in agenda, annota esattamente questa: indagare il significato profondo che ha, per noi, la morte.

Ma la morte di chi? La morte di che cosa? E che cos’è la morte?

Da millenni viene ripetuto il detto, o, meglio, l’appello più significativo che mai sia stato rivolto all’essere umano: “Uomo, conosci te stesso”. Ma chissenefrega!!! È molto più importante decidere che scarpe indossare con un determinato vestito o quale smartphone sia più glamour. Poi ci si meraviglia del fatto che milioni di persone versino attualmente in uno stato semi-confusionale, che si comportino abominevolmente da delatori, come facevano i “Kapò”, i collaborazionisti dei campi di concentramento nazisti… ovvero, sublimi interpreti del detto latino: mors tua, vita mea. Ma stiamo scherzando? Purtroppo no.

E dire che questa potrebbe essere un’occasione straordinaria per indagare su noi stessi, sul nostro condizionamento mentale, culturale, filosofico, religioso, scientifico e sociale. Un’occasione per far luce su quali siano gli effettivi, vitali, bisogni dell’essere umano e su ciò che, al contrario, non sono che bisogni indotti dai padroni del vapore.

Questa quarantena mondiale mi fa tornare alla mente i 40 giorni trascorsi dal Cristo nel deserto. L’incontro di ogni essere umano con l’ombra, Satana il separatore, al suo stesso interno… o l’agente Smith, complementare a Neo, nel film Matrix. Già… perché l’ombra è in noi ed è noi, tanto quanto lo è la Luce.

Tao… ti dice nulla? Ego… ti dice nulla? Separazione del grano dalla pula… ti dice nulla? Neo, cioè “l’uomo nuovo” … ti dice nulla? Dovrebbe. È certo, però, che la sola comprensione intellettuale non serva a una benemerita cippa.

Non dirò mai che “andrà tutto bene”; credere agli asini che volano non fa per me… e per te? Non dirò mai che bisogna essere positivi… perché, se non lo si è, è come prendere per il sedere noi stessi. Non dirò mai che non bisogna avere paura… perché, se c’è timore, negarlo è solo una forma di ipocrisia e una fuga da ciò che c’è. E nemmeno dirò mai che un virus non ci infetterà, perché siamo degli eletti.

Siamo giunti all’Apocalisse? Siamo arrivati alla fine dei tempi? È la fine di un ciclo o di una razza? Sta per sorgere il NWO? E chi può dirlo… il futuro non è scritto. Il futuro è Adesso, qui, l’unico momento che c’è. E qui, adesso, cosa c’è in te o in me?

Questo è l’unico messaggio che posso lanciare… sia a me stesso, sia a te, altro me stesso che stai leggendo. Adesso, qui, nel Silenzio di una mente pacificata, cosa c’è? Dove sta la paura? Dove stanno il passato ed il futuro? Dove stanno l’Apocalisse o i complotti? Manca forse qualcosa?

Pensavi veramente che non saresti morto mai? Pensavi veramente di essere Alice nel paese delle meraviglie? Pensavi veramente di poter controllare la Vita?

Se le risposte sono dei no, bene, allora è venuto il momento di verificare la sincerità che abbiamo avuto verso noi stessi. In altre parole… se ci siamo o ci facciamo.

Qualcuno potrebbe dire che ormai è troppo tardi, che bisognava darsi da fare prima… sciocchezze! Il tempo non esiste, è solamente una percezione sensoriale ed un inganno; è sufficiente un attimo soltanto… e il “salto quantico” accade. Ci vuole certamente energia, ma l’energia è ubiquitaria, gratuita e per chiunque… è la Vita stessa.

Chi Ama non teme… e chi non Ama? Indaghi in se stesso la causa dell’occultamento dell’Amore.

Noi Siamo Vita, Verità, Amore. Non ci devi credere… sentilo!

Nel nome dell’Amore, ogni Bene a te…

Category: Culture e Religioni, Epidemia coronavirus, Osservatorio internazionale, Welfare e Salute

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