Pier Luigi Olivi: Planet 2020 alla BIBiennale di Venezia. L’arte ai tempi della pandemia

| 16 Maggio 2020 | Comments (0)

 

1.La BiBiennale di Venezia presenta PLANET 2020 di Pier Luigi Olivi.  L’arte ai tempi della pandemia

L’opera, tirata in 500 esemplariti e firmati dall’autore sarà distribuita in omaggio nelle librerie di Venezia e Mestre. Il sito della BiBiennale è www.labibiennaledivenezia.com

In alto  PLANET 2020 di Pier Luigi Olivi: il globo terracqueo ai tempi della pandemia. Le immagini che seguono comprendono il testo di Francesca Ruth Brandes e il depliant dell’opera. Seguono  il testo di Stefano Cecchetto e la sua foto.

 

 

 

2. Stefano Cecchetto: PLANET 2020

Stefano Cecchetto, (Venezia 1954). Critico, storico dell’arte e curatore indipendente, collabora con importanti Musei e istituzioni culturali in Italia e all’estero. Dal 1976 al 1986 ha collaborato con La Biennale di Venezia; dal 1998 al 2003 è stato consulente alla Fondazione Bevilacqua La Masa. Dal 2009 è direttore artistico del Museo del Paesaggio a Torre di Mosto (Ve). Dal 2011 è nel comitato scientifico del Lu.C.C.A. Center of Contemporary Art. I suoi scritti sono pubblicati in numerosi cataloghi d’arte.

 

Niente potrà sembrare più lontano dalle preoccupazioni che stiamo vivendo in questi giorni come ad esempio disquisire sulle problematiche dell’arte. Eppure l’arte – la grande arte – ha sempre saputo confrontarsi con la scienza, con l’universo alchemico e con la filosofia che percorre le correnti più attuali del pensiero contemporaneo.

Il tema della sopravvivenza dell’arte attraverso la propria creazione e l’attribuzione all’artista del ruolo di demiurgo sono riscontrabili nelle culture di ogni epoca e latitudine perché l’artista persevera nell’eterno rapporto conflittuale con la natura.

Leonardo da Vinci, nei suoi scritti dichiara: “Il dipintore disputa e gareggia con la natura”, affermazione che sembra ispirarsi al pensiero dei più famosi adepti quando sostengono che l’unico scopo dell’artista è aiutare la natura a portare rapidamente a termine la lentissima evoluzione di una realtà perfetta.

Queste riflessioni, scaturiscono dalla visione dell’intervento realizzato da Pier Luigi Olivi sull’immagine ormai tristemente nota del Covid-19 dove l’artista agisce su uno dei cardini fondamentali del rapporto tra arte e scienza: la prospettiva. Ma la prospettiva non è un dato acquisito: sappiamo da Panofsky che essa può essere considerata come una forma simbolica della visione del mondo, propria di un determinato periodo: l’umanesimo rinascimentale.

Ecco allora che il nodo più evidente per una corretta lettura del rapporto tra arte e scienza risiede proprio nella visio mundi che si modifica ed evolve storicamente attraverso le differenti epoche.

Questo determina ciò che comunemente definiamo: progresso, e in questa evoluzione l’arte si colloca dentro a una continua ricerca parallela tra forma, materia, colore e spazio. In questa visione complessiva, gli elementi si fondono e si confondono nella misura armonica che comprende simmetrie, canoni aurei, rapporti geometrici e matematici, indispensabili a regolare la corretta composizione dell’opera.

La terra è al centro dell’universo e l’uomo, al centro del mondo, è obbligato a interagire in collegamento armonico con esso. Ma Francesca Brandes nel suo testo di partecipazione al lavoro di Pier Luigi Olivi mette giustamente in dubbio proprio la funzione dell’uomo, travolto dagli eventi e quindi non più in grado di sostenere il peso dell’universo, auspicando comunque una sua rinascita intellettiva e propulsiva: “Il mondo si perpetua anche senza di noi. E se tutto questo – il reale soffrire e l’irrealtà (solo apparente) del Golem fisico che rotea nello spazio con il suo carico di destini – potesse assumere il valore di un viaggio iniziatico? Se l’orrore caustico, nell’Aperto, precedesse il parto di un potere interiore, più libero e puro, anche se più esposto? Nella rete che c’ingabbia, in un’atmosfera carica di veleno, si è aperta una falla, dietro cui si ammassano incubi”.

Torniamo però alla prospettiva, l’impianto surrealista della composizione di Pier Luigi Olivi mette in campo i differenti canoni esecutivi della rappresentazione: lo spazio, la materia e il colore, in questo caso per una rappresentazione estetica del ‘male’.

Il simbolo scientifico del Coronaviridae assume, nella visione dell’artista, la rotazione planetaria di un satellite, o di un mappamondo, che vaga nello spazio apparentemente senza una meta precisa, ma in realtà lanciato verso tutte le mete possibili.

Chi ha avuto modo di partecipare a qualche convegno scientifico ricorderà le slides che ogni tanto appaiono nello schermo a supporto dei relatori nelle quali si vedono vetrini o ingrandimenti di cellule ingrandite al microscopio che rimandano alla tipologia dell’arte astratta. Se, colpiti da queste somiglianze, si va ad intraprendere un’indagine sistematica è facile appurare come il fenomeno, per certe icone scientifiche e per certe scuole pittoriche, le attinenze o le affinità siano piuttosto evidenti. Penso ad esempio a un’opera di Kandinskij del 1944: L’élan témperè, nella quale appaiono i tratti dell’immagine di un’ameba ingrandita al microscopio ottico: o a Fioritura, un dipinto di Paul Klee del 1934 dove si evince un rimando – probabilmente inconsapevole – al mondo biologico per la rappresentazione delle squame di una farfalla.

Alla ricerca delle ragioni più profonde di questa specularità apparente tra la scienza e l’arte mi tornano in mente due occasioni espositive importanti realizzate nel secolo scorso: la prima presso la Kunsthallen di Basilea nei primi anni ‘60, curata da Harnold Rüdlinger, e la seconda alla Biennale di Venezia nel 1986 curata da Maurizio Calvesi.

Nella prima, il curatore svizzero mette a confronto alcune opere d’arte – antiche e contemporanee – insieme ad altrettante illustrazioni scientifiche con l’evidente pretesto di affermare che gli artisti erano certamente influenzati dall’universo razionale, ma che sarà sempre possibile distinguere l’icona scientifica da quella artistica in quanto la prima vive del proprio linguaggio naturale, mentre l’altra è artefatta dal linguaggio pittorico.

Più profonda ed esaustiva, la mostra curata da Maurizio Calvesi per la Biennale del 1986, ripercorre un excursus cronologico e tematico sui diversi movimenti artistici e sulle peculiarità tra la scienza, l’arte, l’alchimia, la biologia e i nuovi media legati alla tecnologia informatica.

Nel catalogo della della mostra, un saggio di Giorgio Celli presenta i diversi scenari legati al tema: Arte Scienza e Biologia mettendo in luce proprio il rapporto tra Paul Klee e l’universo scientifico, nella consapevolezza che l’artista moderno è comunque influenzato dalle immagini sempre più esplicite che arrivano dai microscopi della ricerca, scrive Celli: “Peraltro, Paul Klee aveva già riconosciuto in una sua conferenza, l’importanza del microscopio e si chiedeva se l’uomo della strada, Mister X, non avrebbe giudicato le opere degli artisti moderni come espressioni di una “cattiva arte applicata”, riproduzioni di reperti microscopici e paleontologici”.

Questa convinzione dell’artista tedesco ci riporta ad un altro argomento tipico dell’arte moderna e contemporanea: l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, per un micro e macro utilizzo dello spazio d’intervento.

L’arte non si accontenta più di riflettere la realtà accessibile a misura d’uomo e del suo occhio, ma sente la necessità di ricercare nuove dimensioni tecnologiche che allargano la visione e in qualche modo la deformano. Un esempio sensibile si riscontra in alcune opere di Jackson Pollock e in particolare nel dipinto: Enchanted Forest del 1947 che, comparato con lo schema della densità degli elettroni in una parte del cristallo di miosina, fornisce un percettibile parallelo di applicazione tra l’arte e la scienza.

Anche nell’elaborazione realizzata da Pier Luigi Olivi si riscontra un’ulteriore testimonianza di questo rapporto, ma in questo caso si tratta di un’alterazione del soggetto di base, e la sua ‘deformazione estetica’ è il vistoso risultato di una convergenza morfologica. Qui l’artista si cimenta con la resa visibile, non dell’invisibile metafisico, ma di quello fisico, e sceglie l’emblema più tristemente attuale del nostro tempo con l’auspicio che anche attraverso la sofferenza si riesca comunque a ritrovare la strada di un’umanità possibile. Per aspera ad astra

 

Category: Ambiente, Arte e Poesia, Epidemia coronavirus, Osservatorio sulle città, Welfare e Salute

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