Paolo Coceancig: Viva l’Italia, l’Italia sgomberata

| 8 Settembre 2017 | Comments (0)

                                                                                     Bologna, attivisti di fronte al Labas prima dello sgombero

 

 

Roma. Piazza Indipendenza.

La frase politicamente più significativa del 24 Agosto scorso non è stata quella del “valoroso” funzionario di polizia che, scagliando i suoi uomini contro un gruppetto di donne e bambini inermi, si raccomandava di farli sparire spezzandogli le braccia nel caso avessero osato reagire, bensì quella del ministro Alfano in visita al meeting di CL, quando, esprimendosi in merito alla proposta di legge sullo ius soli, ha ammesso candidamente di non avere nessuna obiezione di merito, ma di ritenere inopportuna la sua approvazione. Un’ammissione di codardia e di resa incondizionata agli umori più insensati del volgo, sorprendente perfino in bocca a un politico che non ha mai brillato per coerenza e audacia. Sia chiaro, non è da oggi che la politica ha abdicato al suo ruolo originario di guida della nazione, capace di confrontarsi con la complessità del nostro tempo per interpretarlo e formare una nuova coscienza nazionale condivisa ricostruendo un tessuto sociale capace di portare fuori il paese dall’attuale, drammatico spaesamento in cui si trova. E’ da tempo che si è ridefinita in basso come semplice carta assorbente degli umori maggioritari nel paese, non per coglierne i bisogni prioritari e provare a dare delle risposte, ma solamente per accumularne i voti al prossimo passaggio elettorale.

Ogni sgombero porta con sé delle elementari violazioni del diritto e quello di Roma non ha fatto eccezione. Non sto qui a ribadire lo sdegno che si prova davanti ad una tal ottusa e inutile prova di forza sulle spalle di persone sofferenti, in tanti lo hanno già fatto meglio di me, analizzando l’episodio a partire dai suoi significati più inquietanti. Troppo poco invece si è detto e si dice della violazione sistematica dei diritti dell’infanzia che si verifica puntualmente a ogni sgombero. I bambini, per la miseria, a qualcuno interessa ancora qualcosa di questi bambini? La ferita interiore che li segnerà per lunga parte della loro vita dopo essere stati vittime di una violenza psicologica così devastante a cosa pensate che approdi se un qualche servizio per l’infanzia sopravvissuto alla mannaia dei tagli non si premurerà di rimarginarla in qualche modo? Dove pensate che vada a finire tutto l’odio che una brutalità del genere gli conficca nell’animo? Pensate forse che restino indifferenti alla vista dei loro padri e delle loro madri, le persone che incarnano il loro naturale bisogno di protezione, derisi bastonati e umiliati in tal modo? Qualcuno si premuri, per favore in fretta, di far leggere alle forze dell’ordine il testo completo della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia. I bambini, per la miseria, risparmiamo tutta questa macelleria sociale almeno ai bambini. Quegli stessi bambini che, una volta raggiunta la maggior età, si vedranno negare il diritto di cittadinanza nel loro paese, l’Italia, perché politici fifoni avranno paura di inimicarsi i voti di un branco di spauriti elettori suprematisti bianchi.

 

Bologna. Labas.

Agosto una volta era il mese dei ladri d’appartamento, ora è diventato quello dei furti di spazi sociali. Tralascio ogni commento sulla vicenda: la mia posizione è stata da molti ampiamente espressa, così come la naturale condivisione alle prossime, future intenzioni di rilancio di questi spazi, di questi percorsi di riappropriazione sociale urbana. Ma c’è qualcos’altro che mi preme qui ricordare e che ha a che fare con la visione padronale, patologicamente paternalista, che certo mondo adulto ha nei confronti di chi è giovane adesso.

Un gruppo di giovani decide di praticare l’utopia necessaria (per usare un’espressione tanto cara a Don Ciotti) della costruzione di cittadinanza attiva declinandola al plurale, in pratica la città del NOI contro la città dell’IO, e qual è la risposta delle istituzioni cittadine? Manganelli e lucchetti, il tutto con l’accompagnamento della paternale del sindaco.

Il risultato, ora che per l’ennesima volta un bene pubblico (cioè di tutti e per tutti) è stato sacrificato sull’altare intoccabile della proprietà privata, è la definitiva metamorfosi di Bologna: da capitale dei diritti e della cultura sociale a regina del turismo mordi e fuggi, stile Ryan Air bagaglio a mano, apericene su taglieri di salumi trasparenti e costosissimi, vini tanto cari quanto insignificanti e spritz dove oltre al ghiaccio non c’è nient’altro. Cicchetti, telecamere e coprifuoco: tutti felici e contenti per la fisionomia della città finalmente ricondotta all’uniformità. La cittadinanza, intesa come chi vive e fa vivere la città, non è più la priorità, è costretta ai margini e quando prova a sconfinare riconquistandosi spazi di vita comune praticabile, viene repressa e umiliata. Negli ultimi anni in questa città la forbice tra etica e legalità è diventata talmente ampia da far apparire la seconda immorale. In questo contesto, il potere (i poteri) si è permesso il lusso di spegnere un motore sociale d’inesauribile esuberanza creativa, riconsegnando al degrado e alle pantegane altre centinaia di metri quadri del centro città. Qui stiamo morendo tutti. La posta in palio è altissima e lo scontro non si esaurirà in poco tempo.

Adesso le macerie più difficili da ricomporre sono quelle che in queste ore si stanno formando nelle anime dei giovani attivisti. Questo paese, questa città, ormai sono capaci solamente di distruggere il loro futuro.

No Ius Soli, chissenefrega dei bambini, no all’attivismo giovanile, no no no no. Il paese dei No, il paese che combatte contro il suo stesso futuro, contro la sua meglio gioventù. Nascete e diventate subito vecchi, la giovine età non è più contemplata su queste latitudini.

Eppure, sono loro i migliori che abbiamo. Insieme ai giovani delle parrocchie, del volontariato, dell’associazionismo, degli altri centri sociali, ragazzi che hanno nei loro orizzonti di pensiero quei quattro valori minimi che rendono almeno decente un progetto di esistenza. Sono loro l’ultima scommessa che ci è rimasta da giocare, scommessa da vincere. A tutti i costi.

Io ci credo.

Come sentenzia un arguto proverbio arabo, si può portare il cammello alla fonte, ma non si può obbligarlo a bere.

 

 

 

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Category: Movimenti, Welfare e Salute

About Paolo Coceancig: Paolo Coceancig nasce a Gorizia nel 1964. Da più di trent’anni vive e lavora come educatore a Bologna. Segnalato nella sezione “Poesia” della Biennale Giovani Artisti del Mediterraneo (Bologna, 1988), comincia a fare letture pubbliche in locali e manifestazioni della città. Pubblica su varie riviste: “I Quaderni del Battello Ebbro”, “Opposizioni”, “Private”, “Mongolfiera” ecc. Appare nelle antologie “Bologna e i suoi poeti” curata da Carla Castelli e Gilberto Centi (EM Parole in libertà, 1991) e “Rzzzzz!” a cura di Sergio Rotino (Transeuropa, 1993). E’ del 1991 il suo esordio letterario, la raccolta “Graffiti graffiati”. Laureatosi al DAMS con una tesi sul teatro dialettale friulano e in particolare sull’opera del giovane Pasolini, in quegli stessi anni comincia a scrivere anche nella parlata delle sue origini, pubblicando testi in friulano su Usmis e La Patrie dal Friul. Dopo parecchi anni di volontario esilio dalla parola scritta, si è di recente riavvicinato alla poesia. I nuovi versi compaiono nelle pubblicazioni collettive “Parole Sante-Parlava a pietre una sull’altra” e “Parole Sante-Versi per una metamorfosi” (Kurumuni 2015 e 2016). Scrive di tematiche sociali e attualità politica su piattaforme multimediali indipendenti come Globalproject e Leila. Da alcuni anni cura e conduce insieme al collettivo Educatori Uniti Contro i Tagli una trasmissione sui temi del welfare a Radio Kairos Bologna. Con la raccolta inedita “Taccuini dell’inconsistenza” è stato selezionato tra i finalisti della prima edizione del premio letterario Orlando (2013).

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