Chi appartiene alla disperazione non può appartenere a nessuno (Ferruccio Masini)
Ho aspettato qualche giorno a scrivere di lei, il tempo necessario affinché le lasciassero un po’ d’aria intorno, tutti quegli schifosi sciacalli che si sono tuffati a pesce sul suo cadavere per farne simbolo di guerra ai negri, saccheggiandone nome e anima, proprio come i brutali criminali che avevano fatto scempio del suo corpo. E che scemasse, una volta finiti i like e le faccine da cazzo degli emoticon sotto l’ennesima scemenza, il belare scriteriato dei pecoroni da tastiera. Certo, mi sono anch’io chiesto se non si dovesse, in una vicenda tanto drammatica, lasciar spazio solo al silenzio. Ma troppe sono state le pamele che ho incontrato nella mia vita di educatore. Troppe. A ognuna di loro ho preso qualcosa e a volte restituire, oltre che cortesia, è un dovere. Infanzie e adolescenze trascinate solamente dal trascorrere del tempo, il baratro stabilmente lì di fianco, sempre pronto a tirarle giù, la vita una resistenza feroce e tante volte inutile. La solita diagnosi che non vuole dire nulla, borderline: nevrosi e psicosi che fanno a gara per tirarti, ognuna, dalla sua parte, l’eroina un farmaco provvidenziale per placare tutto quell’eccesso di violenza emotiva. Ragazze che curano il loro aspetto esteriore al dettaglio per esibirlo in ogni istante con una serie infinita di selfie alla sterminata platea di followers dei social, ma che dentro sono intasate solamente di macerie che non riusciranno mai a ricomporre. Posso immaginare come si senta ora l’educatore che non è riuscito a trattenerla in comunità, conosco bene la rabbia e la disperazione che sta dentro gli insulti con cui la ragazza gli avrà ringhiato addosso “fatti i cazzi tuoi”, l’impotenza dell’adulto che vede la sconfitta definitiva di Pamela lì ad un passo, l’adulto la vede, la ragazza no. Povera Pamela, Pamela come tante altre ragazze, fiumi ininterrotti di sofferenze senza fonte e senza foce, con l’unica pretesa una pausa, per un respiro in qualche scampolo di normalità. Irraggiungibile.
Rivolta sentirli ora questi ipocriti adulatori della sua purezza di donna bianca violata dall’invasore “selvaggio e negro”, gli stessi che in vita non avrebbero speso un minuto della loro compassione per una ragazza come lei, gli stessi che se l’avesse uccisa un italiano, magari un tramviere brianzolo, sarebbero ancora lì a ripetere come un mantra “beh, se frequenti certi posti e certe compagnie… se l’è andata a cercare… che vita faceva… una troietta, una drogata…”
Pamela ha perso la sua battaglia.
Luca, nuova star mediatica, ha invece vinto la sua: il suo pensiero fascista, sein Kampf, è ora pienamente in vigore. Adesso è lui a dettare i tempi, i silenzi, gli imbarazzi della campagna elettorale. I Salvini e le Meloni non sono i suoi mandanti, bensì i suoi fedeli esecutori. Sono i leader politici a dover rispondere agli ordini del “giustiziere nero”, non viceversa. E’ lui che alimenta la gara a chi ne butta fuori di più, lui che ingrossa le percentuali di voti nei sondaggi. E’ lui che impedisce ai candidati di ogni parte politica, con poche lodevoli eccezioni, di portare un saluto, anche solo un’imbarazzata pacca sulle spalle, alle persone ferite dalla sua furia omicida. E’ lui che annuncia al popolo bue esultante che va fatto strame del principio cardine su cui si fonda il codice penale di un paese civile: la responsabilità individuale. E’ lui che impone all’ANPI, all’ARCI, a Libera e alla CGIL di rinunciare all’antifascismo militante e di starsene chiusi in casa a rimirare la polvere che si posa sugli eroi del passato. E’ per lui che amministratori di destra e di sinistra fanno a gara nel promulgare decreti repressivi per riportare “decoro” sulle strade delle nostre città. E’ lui che rimette la parola “sicurezza” al centro della campagna elettorale. Nel nome della sicurezza, questo nostro paese sta sprofondando in un baratro sociale e culturale inimmaginabile solo qualche anno fa. Nel nome della sicurezza e di Luca Traini.
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