Massimo Canella: Invito alla lettura 2. Massimo Livi Bacci, I traumi d’Europa.

| 26 Gennaio 2021 | Comments (0)

 

 

Massimo Livi Bacci, I TRAUMI D’EUROPA. NATURA E POLITICA AL TEMPO DELLE GUERRE MONDIALI

Massimo Livi Bacci, professore emerito di demografia dell’Università di Firenze, già senatore della Repubblica per due legislature, racconta le perplessità che lo colsero quando andò, in data 6 marzo 2020, a consegnare alla Società editrice il Mulino la sua ultima fatica, intitolata: “I traumi d’Europa. Natura e politica al tempo delle guerre mondiali.” “Mi assalì il dubbio che la tesi del mio libro stesse per essere clamorosamente smentita. Una tesi nemmeno troppo originale, per la verità, circa la competizione tra Natura e Politica nell’infliggere traumi catastrofici all’umanità. Ebbene, mentre per secoli e millenni la Natura era stata la principale artefice di traumi, la Politica, a partire dal secolo scorso, le aveva tolto il primato. Soprattutto nei paesi ricchi…” Nella prefazione, datata 6 giugno, “a tre mesi di distanza dal giorno nel quale sospettai che la Natura stesse riprendendo il sopravvento come prima causa dei traumi del secolo, credo che la tesi sostenute in questo libro non si trovi smentita.” Rispetto alla pandemia “spagnola” del 1918/19, “se allora le vittime furono i giovani, spesso con coniugi e figli piccoli, oggi sono i molto anziani; se allora le prospettive di trovare farmaci risolutivi o vaccini preventivi erano evanescenti, oggi confidiamo nel loro rapido arrivo.” Considerazioni che sono valide malgrado tutto anche dopo ulteriori sette mesi di pandemia covid, e di cui vale la pena di sottolineare la citazione da parte del non giovane autore, molto approvata dall’anziano recensore per quel che conta, del diverso peso che va attribuito in una prospettiva storico-demografica alle morti per una nuova causa delle persone anziane, rispetto a quelle dei giovani e di chi ha costruito nuove famiglie.

Salta all’occhio, in un volumetto di demografia storica zeppo di dati e di tabelle, l’empatia dell’autore con le persone che vi vengono contate. Le grandi guerre vengono ridefinite come Prima e Seconda Sconfitta mondiale, i decessi sul fronte di battaglia sono “vite tagliate”; i traumi causati dalla Politica “sono come colpi d’ascia inferti al tronco di un albero; il braccio che mena i fendenti è quasi sempre facilmente individuabile”; e come poetava Wystan H. Auden, “l’indicibile odore della morte offende la notte di settembre”. Siamo lontani dalle retoriche ideologiche, dalle edulcorazioni istituzionali e anche dall’abito professionale di rispetto dell’accaduto degli storici meno partigiani, dalle cui conclusioni comunque non ci si discosta. C’è al fondo una aspirazione utopistica di tipo umanitario, che porta alla sensata convinzione che la realtà non si possa negare, ma valga sempre la pena di impegnarsi perché migliori.

I traumi politici in Europa affrontati dall’opera sono fondamentalmente di tre tipi: i conflitti bellici, internazionali o interni, i trasferimenti di popolazioni.e modalità particolarmente determinate di perseguire i propri obiettivi ideologici. Ad essi connessi sono talvolta traumi di tipo naturale, epidemie o carestie, che la Politica ha causato direttamente o ha agevolato obiettivamente nel loro sviluppo. Livi Bacci segnala il contributo delle interpretazioni dei dati demografici alla formazione di correnti di pensiero nate nell’Ottocento che hanno agevolato, soprattutto nelle versioni più estreme, l’impatto traumatizzante della Politica. Il geografo Ratzel formulò l’idea di Lebensraum, di spazio vitale, cui poi seguì fra l’altro la fondazione della “geopolitica” tornata in questi anni alla ribalta come chiave interpretativa degli eventi internazionali. L’eugenetica, nata nel clima positivistico, abbinava la convinzione di poter migliorare la razza umana, e quindi implicitamente selezionarne una migliore, con il timore di tipo classista o razzistico del prevalere per ragioni demografiche dei ceti o dei popoli meno evoluti o comunque pericolosi. Il nazionalismo etnico portava alla sovrapposizione del concetto di gruppo dotato di lingua, tradizioni, magari mitologicamente anche patrimonio genetico comuni con quello ottocentesco di “nazione”, così come emerso si tempi della Restaurazione.

Riguardo alle Sconfitte mondiali viene prestata attenzione. a) al potenziale demografico perduto, oggetto di esercizi che si basano peraltro su dati necessariamente incompleti e su presunzioni teoriche sulle dinamiche degli anni di guerra se essi fossero stati vissuti in pace; b) all’impatto / costo demografico e alle sue componenti: 1) i decessi per cause militari e le invalidità dei mobilitati, su cui si dispone dei dati, pur da emendare nei limiti del possibile da svariati tipi di distorsione; 2) le perdite dirette fra i civili, più importanti nella seconda Sconfitta, più ardue da valutare, 3) le perdite per eventi epidemici catastrofici causati direttamente dai conflitti, come le epidemie di tifo in Serbia nel 1914 e in Russia nel corso della terribile guerra civile innestatasi senza soluzione di continuità con la Grande Guerra fra il 1918 e il1922, o fortemente favoriti dalle circostanze belliche come l’infuriare dell’epidemia dell’nfluenza arbitrariamente detta ”spagnola” nel 1918; 4) i deficit nelle nascite, dovuti oltre alle perdite umane ai rinvii dei matrimoni e alle condizioni generali di incertezza esistenziale. Non viene trascurato l’elevato numero di vittime della guerra civile spagnola.

Riguardo ai trasferimenti di popolazione si prendono in considerazione: a) quelli seguiti ai trattati di pace dopo la Grande Guerra di Versailles, Saint Germain, Trianon e Sèvres, di cui il più rilevante è stato quello di 1.250.000 greci di antichissimo insediamento dall’Asia minore alla Grecia e di 350.000 turchi dalla Grecia alla Turchia, accompagnato da molti episodi di pulizia etnica cruenta, ma che ha interessato anche 1.200.000 polacchi trasferiti dalla Russia e più di un milione di tedeschi; b) quelli dovuti all’espulsione delle numerose e importanti minoranze tedesche disseminate dalla storia in Europa orientale, collegata a pulizie etniche radicali di intere regioni storicamente tedesche come i Sudeti boemi, che produsse, sulla base dei dati del 1950, 7,8 milioni di rifugiati nella Repubblica Federale e 3,8 milioni nella Repubblica Democratica dell’Est; c) i due milioni di polacchi trasferiti dai territori annessi nell’Est del paese dall’Unione Sovietica nelle terre abbandonate dai tedeschi; d) la deportazione o soppressione dei coltivatori ricchi o meno poveri “kulaki” nell’URSS della collettivizzazione delle campagne, attorno agli anni Trenta; e) i più di due milioni di appartenenti ad etnie minoritarie politicamente non affidabili, trasferiti da Stalin durante il conflitto in remote zone dell’Unione, con l’ovvio corredo di perdite e di violenze; f) molti trasferimenti di entità minore, fra cui si annovera anche quello della maggioranza della popolazione italiana dell’Istria. In collegamento ideale con questa prassi della prima metà del secolo fu la guerra bosniaca degli anniNovanta, che produsse il compattamento in tre cantoni federati del piccolo paese dei tre gruppi etnico-religiosi che condividevano la stessa lingua, serbi, croati e “musulmani”, al prezzo di centomila morti. Fra le due guerre, importanti lo spostamento di 700.000 spagnoli a seguito della vittoria di Franco in Spagna e degli Ebrei tedeschi nelle prime fasi della persecuzione nazista.

Per quanto riguarda le conseguenze dirette di scelte politico – ideologiche risalta naturalmente l’evento gigantesco dell’Olocausto ebraico, sul quale non penso possibile arrischiare qui indicazioni sintetiche. Segue con un considerevole curriculum l’Unione Sovietica, di cui si analizzano: 1) le conseguenze sulla carestia 1921 – 1922, dovute alle requisizioni forzate e allo spossessamento dei piccoli coltivatori operato nel quadro del comunismo di guerra; 2) le conseguenze sulla “grande fame” del 1932-33 dell’effetto combinato a) delle politiche di industrializzazione forzata, col loro corredo di requisizioni e di esportazioni di supposti surplus agricoli, b) del rifiuto pregiudiziale di aiuti dall’estero, c) dello spirito punitivo, a quanto pare, con cui non si andava in soccorso delle regioni più insubordinate (si discute ancora se questo facesse parte di un disegno globale preordinato); 3) le conseguenze del sistema dei campi di lavoro coatto, che come i campi nazisti avevano funzioni repressive, ma anche di supporto non marginale allo sforzo produttivo. Un buon posto in classifica lo merita anche la Turchia, non tanto quella dei Sultani quanto quella “modernizzante” dei Giovani Turchi, già operante con gli ultimi Sultani, col genocidio degli Armeni, di cui già prima della Grande Guerra c’erano state consistenti anticipazioni, e fatto precipitare, volontariamente, in relazione al suo svolgimento.

Il pur contenuto volume di Livi Bacci offre molti altri elementi di conoscenza e spunti di riflessione, che non possiamo ulteriormente citare e ne rendono la lettura, tutt’altro che ardua, raccomandabile anche a chi di statistica poco s’intende. Quanto agli aspetti delle metodologie seguite e della qualità dei dati, sono memore dei motti sapienziali sul calzolaio che non deve andare oltre il sandalo e sul panettiere che si deve limitare alla pagnotta, e ne lascio la discussione ai competenti.

Category: Ambiente, Osservatorio internazionale, Storia della scienza e filosofia, Welfare e Salute

About Massimo Canella: Massimo Canella, laureato in Scienze politiche all'Università di Padova, è stato docente a contratto presso l'Università Ca' Foscari di Venezia: "Strumenti giuridici e ruolo delle istituzioni per i beni culturali" al corso di laurea specialistica interateneo fra Padova e Venezia su "Storia e gestione del patrimonio archivistico e bibliografico". Ha coordinato il Servizio Beni librari e archivistici e Musei della Regione del Veneto con particolare riferimento allo sviluppo di reti informatiche e relazionali, e alla Soprintendenza ai beni librari. Ha realizzato progetti pluriennali sulla valorizzazione del patrimonio culturale e sull'arte contemporanea. Ha partecipato ai Comitati nazionali del Servizio Bibliotecario Nazionale e del Sistema Archivistico Nazionale e al comitato di redazione del Notiziario bibliografico del Veneto. E' autore di numerose pubblicazioni su i beni culturali (vedi elenco nella rete Linkedin a suo nome)

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