Ersilia Sinisgalli: La tosse pechinese. L’inquinamento atmosferico in Cina

| 1 Ottobre 2014 | Comments (0)

 

 

Diffondiamo da www.saluteinternazionale.info del 1 ottobre 2014  questo intervento di Ersilia Sinisgalli laureata in Medicina e Chirurgia all’Università di Firenze nel 2011 e attualmente specializzanda nella Scuola di specializzazione in Igiene e Medicina preventiva dell’Università di Firenze.

 

Si stima che nel 2010 le morti premature collegabili all’inquinamento atmosferico siano state più di 1 milione, corrispondenti a circa il 40% del totale; le patologie polmonari sono la 3° causa di morte nel paese (il tasso di mortalità per tumore polmonare è triplicato dagli anni 70) e le patologie respiratorie croniche sono la seconda causa di morbosità.

La Cina sta affrontando in questi anni vari problemi legati al forte e rapido sviluppo industriale che l’ha caratterizzata negli ultimi decenni: uno dei maggiori, difficilmente celabile e che coinvolge inevitabilmente tutta la popolazione, è l’inquinamento atmosferico. La questione riguarda attualmente non solo le metropoli più grandi, ma molte delle città cinesi, e gran parte delle province del nord.

Il problema degli alti livelli di inquinamento dell’aria è noto ormai da tempo, ma negli ultimi tempi la preoccupazione dell’opinione pubblica e l’interesse da parte dei media sono cresciuti in modo significativo rispetto al passato, soprattutto nella città di Pechino.

Proprio nella capitale, infatti, si sono registrati durante l’inverno 2012-2013, livelli altissimi di concentrazione delle polveri sottili più fini (le cosiddette PM2.5), con punte di 886 μg/m3, superiori di oltre 35 volte il limite di 25 μg/m3 considerato accettabile dall’OMS nelle 24 ore[1].

Il recente rapporto del Ministero per la Protezione Ambientale sul monitoraggio dell’inquinamento atmosferico delle città cinesi, mostra che nel 2013 solo 3 città su 74 registrano una qualità dell’aria definita “healthy”, mentre le città più inquinate si trovano nel nord del paese, sul delta del fiume Yangtze a est e a sud lungo il Pearl river[2].

Infine anche durante l’inverno 2013-2014 la situazione si è ripetuta, fino allo scorso febbraio, quando il livelli di PM2.5 hanno raggiunto i 500 μg/m3 esi sono mantenuti a livelli di rischio per oltre una settimana[3]. Questa situazione non è stata tanto significativa da un punto di vista dei valori raggiunti dagli inquinanti, poiché livelli tali si erano già verificati negli anni passati, quanto per il modo con cui hanno risposto i pechinesi, rispetto ai decenni precedenti durante i quali la qualità scadente dell’aria era stata tollerata senza troppe preoccupazioni. Ad oggi una buona parte della popolazione è consapevole del pericolo per la proprio salute causato dall’inquinamento atmosferico, tanto che per molti è diventata un’abitudine quotidiana la consultazione dell’app per telefoni cellulari che monitora l’aria delle metropoli cinesi. Da qui le pressioni sul governo per avere informazioni più trasparenti e tempestive sul monitoraggio della qualità dell’aria e la richiesta di interventi più incisivi per limitare il problema.

È giusto anche sottolineare che il picco di inquinamento registrato nello scorso inverno è stato causato per il 70% dalle anomale condizioni metereologiche verificatesi, in particolare la debolezza delle correnti siberiane (che solitamente danno luogo a venti che spirano dalla Cina verso il Pacifico, allontanando gli inquinanti) e le temperature al di sopra delle medie stagionali, che hanno accelerato i processi chimici alla base della formazione delle PM2.5 nell’atmosfera; ma resta il fatto che non ci si possa affidare alle correnti invernali per tutelare la salute umana.

È probabile che le autorità cinesi abbiano finora sottostimato gli effetti degli inquinanti sulla salute della popolazione, in particolare delle polveri sottili più fini: il rischio per la salute non solo è immediato, come dimostrato dall’aumento del 10-15% negli accessi ambulatoriali durante i giorni con più foschia[4], ma anche e soprattutto a lungo termine. Gli elevati livelli d’inquinamento, di cui le polveri sottili rappresentano i costituenti più pericolosi data la loro capacità di penetrazione a fondo nell’organismo, sono infatti collegati all’aumento dell’incidenza di malattie cardiovascolari, tumori polmonari, ictus e BPCO, e il loro effetto sulla popolazione cinese inizia già a palesarsi. Se si pensa alla numerosità della popolazione cinese e alla gravità dell’inquinamento, si capisce bene come il carico di malattia presente e potenziale sia altissimo. Si stima che nel 2010 le morti premature collegabili al fenomeno siano state più di 1 milione, corrispondenti a circa il 40% del totale; le patologie polmonari sono la 3° causa di morte nel paese (il tasso di mortalità per tumore polmonare è triplicato dagli anni ’70) e le patologie respiratorie croniche sono la seconda causa di morbosità[5]. L’ex ministro della sanità Chen Zhu ha stimato che l’inquinamento atmosferico causi la morte prematura di 350.000-500.000 persone ogni anno.

Anche uno studio del 2013 condotto nella provincia dell’Hebei, una dei maggiori consumatori di carbone per la produzione di energia elettrica, stima che nel 2011 siano quasi 10.000 le morti premature dovute direttamente all’inquinamento causato dal carbone; oltre ai decessi si stimano anche 11.000 casi di asma e 12.100 di bronchite[6].

Non è un caso che a Pechino sia ormai entrato nel linguaggio comune il termine “tosse pechinese” per riferirsi ai problemi respiratori che affliggono una quota sempre maggiore di abitanti.

Non bisogna poi dimenticare anche la presenza di un inquinamento indoor tutt’altro che trascurabile, attribuibile per lo più all’utilizzo di combustibili solidi o da biomassa per il riscaldamento e per cucinare, e al quale sono esposti prevalentemente le donne[7].

Tutto ciò ha spinto il governo ad agire per ostacolare le cause alla base dell’inquinamento e migliorare la situazione, rispetto ad anni di lassismo durante i quali, nonostante circolassero già dati allarmanti sul livello di inquinamento delle città e sulla qualità dell’aria, ben poco era stato fatto per analizzare e capire il problema.

Il governo ha preso delle decisioni importanti negli ultimi anni e ha messo in atto alcune azioni preventive:

nel corso del 2012 è stato istituito un sistema di monitoraggio dell’aria di 74 città cinesi, con pubblicazione in tempo reale dei dati riguardanti le concentrazioni di ozono e di PM2.5, e ciò ha contribuito molto ad aumentare la consapevolezza dei cittadini a riguardo.

A settembre dello scorso anno è stato approvato il “Piano Nazionale d’Azione, Prevenzione e Controllo sull’Inquinamento dell’Aria” per gli anni 2013-2017, con un investimento da parte del governo di 277 miliardi di dollari, e l’obiettivo entro il 2017 di ricondurre livelli di PM2.5 al valore di 60 μg/m3 nell’area di Pechino.

È stata approvata, dopo un lungo dibattito e dopo esser stata più volte rimandata[8], una normativa che prevede la riduzione del contenuto di zolfo nei carburanti da parte dell’industria petrolifera, uniformandolo agli standard dell’Unione Europea; la norma consente una riduzione delle emissioni da parte dei veicoli più inquinanti circolanti attualmente nel paese e l’adozione di tecnologie avanzate nel controllo dei gas di scarico dei veicoli, anche se sta di contro aumentando da parte degli automobilisti l’utilizzo di gasolio molto inquinante ma basso costo, proibito nei paesi occidentali.

I grossi sforzi fatti sull’utilizzo dell’energie rinnovabili hanno fatto sì che attualmente circa un quarto dell’energia elettrica prodotta in Cina derivi da solare, eolico e idroelettrico, ma ciò non è ancora sufficiente a soddisfare le richieste di un economia in forte crescita.

Infine un risultato incoraggiante è stato raggiunto nella riduzione delle emissioni di SO2, precursore principale delle polveri sottili e costituente delle piogge acide: la politica aggressiva introdotta dal 2006 con l’11° piano quinquennale ha prodotto un risultato importante, addirittura superando l’obiettivo prefissato del 10% di riduzione, grazie soprattutto all’installazione di impianti di desolforazione a molte delle centrali elettriche del paese.

Quest’ultimo risultato positivo non deve però far diminuire gli sforzi, ma deve essere un motivo per continuare ad adottare politiche simili: il SO2, infatti, è solo uno dei componenti dell’inquinamento atmosferico che sta alla base della formazione delle polveri sottili, insieme ad altri quali il mono- e diossido di azoto e i composti organici volatili, che nello stesso periodo sono tutt’altro che migliorati, registrando un incremento nei loro livelli di concentrazione media. È per questo che azioni rivolte al contenimento degli altri singoli inquinanti sono già contenute nel 12° piano quinquennale steso dal governo e lo saranno anche nel 13° previsto per il 2016.

Secondo gli esperti, dato che il paese ricava dalla combustione del carbone circa il 70% dell’energia prodotta, e consuma circa il 50% del carbone mondiale, potrebbe essere di grande aiuto per l’ambiente, con limitati effetti sull’economia, anche l’introduzione di una tassa sul carbone[1].

La comunità internazionale dovrebbe supportare la Cina, così come gli altri paesi a rapida crescita economica (primo fra tutti la vicina India) in questo processo di miglioramento dell’aria, non trascurando il contributo all’inquinamento di aria e acqua che generare tramite la sua domanda di prodotti a basso costo e processi produttivi provenienti dal paese stesso.

La strada da percorrere è indubbiamente ancora molto lunga: stime iniziali indicano che occorreranno almeno 18 anni per ottenere i primi significativi risultati nella città di Pechino. La Cina sta pagando un caro prezzo. Ma il governo cinese non ha scelta se vuole garantire equamente a tutti i suoi cittadini aria pulita, anche se questo vuol dire mettere delle regole e dei paletti, che per altro esistono già nella maggioranza dei paesi occidentali, alla crescita economica e allo sviluppo industriale: la politica del non agire sta già costando troppo a tutta la nazione in termini di salute e ambiente, e in definitiva all’economia stessa.

Bibliografia

Alcorn T. China’s skies: a complex recipe for pollution with no quick fix. The Lancet 2013; 381: 1973-4

Wong E. China’s War on Pollution.New York Times, 28.03.2014.

(Barely) living in smoke: China and air pollution. The Lancet 2014; 383

Ouyang Y. China wakes up to the crisis of air pollution. The Lancet Respiratory Medicine 2013; 1: 12

WHO data: China

Greenpeace. Dangerous breathing. PM2.5: measuring the human health and economic impact on China’s largest city. 2013

WHO. Environmental Health Country Profile – China. June 2005

Du Y, Xu N. Stalled bid to cut car fumes. Chinadialogue.net 2012

 

 

 

Category: Osservatorio Cina, Welfare e Salute

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