Emilio Rebecchi: Dialoghi con un nipotino sulla guerra e su di chi è il nostro corpo

| 22 Ottobre 2015 | Comments (0)

 

 

Diffondiamo da “Inchiesta” cartacea, ultimi due numeri, queste riflessioni di Emilio Rebecchi.  Nel primo pezzo parla con uno dei suoi nipotini italiani;  nel secondo  con uno dei suoi nipotini francesi. Le immagini sono quelle de “La spada nella roccia” dove Millo indossa le vesti e la lunga barba bianca di Mago Merlino.

 

 

1. Emilio Rebecchi: La pistola giocattolo (da “Inchiesta” luglio-settembre 2015)


–    Dove vanno?

–    Verso nord

–    Scappano?

–    Si a casa loro c’è la guerra

–    Ma dove vanno?

–    Forse in Germania , se li accolgono

–    Perché in Germania

–    Lì c’è lavoro … Forse

Guardo la tv con uno dei miei nipoti. Sfilano le immagini di uomini , donne , e bambini lungo i binari di una ferrovia. Poi una autostrada gonfia di autoveicoli. E ancora gente che si accalca per prendere un treno. Un bambino viene fatto passare dal finestrino . Alcuni spingono per impedire che entri.

-Perché non vogliono?

-Sono troppi nel vagone. Sono già’ troppi!

Poi mostrano immagini della guerra di siria. Un bimbo morto sulla spiaggia. Un poliziotto che aiuta una donna incinta. Una folla di emigranti nella stazione di Budapest. Angela Merkel che dice i profughi si,gli immigrati economici no.

-Possiamo cambiare?

-Cosa vuoi vedere?

-Yoyo. La guerra non mi piace

-Non piace a nessuno

– Allora perché la fanno?

Cosa potrei dire a questo nipotino? Che la guerra c’è’ sempre ,la pace mai? Che l’economia si regge grazie alla guerra? Che da molto tempo siamo proprio noi europei all’origine di tutte (o quasi tutte ) le guerre? Che si fanno per il petrolio, per vendere le armi, per arricchirsi? Che si fanno per il potere? Obama dice, Putin dice, Hollande dice … e la Merkel, Cameron ed Abe

-Perché le fanno?

-Io ho paura, dice il nipotino. Non voglio la guerra

-Se hai sempre la pistola in mano!

-Per gioco

-Ma ti piace giocare alla guerra!

-Solo per gioco

Che cosa allora porta l’uomo a trafiggere davvero, a sparare davvero? Perché Caino, l’agricoltore, Uccide Abele, il pastore? Perché dio chiede ad Abramo di sacrificare Isacco., poi gli ferma la mano ?

Gli uomini hanno inventato, applicando la scienza , armi sempre più’ potenti. Le useranno fino a distruggere l’umanità? Oppure saranno capaci di trasformare la guerra in gioco? Di fermare la mano che spinge il famoso bottone? Di passare dal reale al virtuale, dall’azione effettiva alla mimesi dell’azione? Dalla guerra al gioco?

Pazienza se ancora guerra, ma solo come gioco. Senza più’ vittime, bombardamenti , decapitazioni , profughi che camminano lungo strade ignote , senza persone che debbono lasciare le loro case , i loro cari, che debbono incontrare la violenza, lo stupro, la perdita della dignità’ e della stessa umanità’.

Gli uomini possono (potrebbero) tornare bambini, riscoprire la funzione catartica del teatro, la sublimazione attraverso la cultura. La tragedia greca lo insegna. lo dicono i libri sacri e quelli classici. E’ utile trasformare l’azione in pensiero ed è altrettanto utile apprendere dall’esperienza, trasformare l’esperienza in cultura. Che cosa serve altrimenti il nostro cervello? I venti miliardi di neuroni che lo affollano?

Perché non culturalizzare la guerra , non agirla più? La domanda che mi spinge a scrivere queste poche righe. Quando scriviamo , quando elaboriamo Le notizie , quando le presentiamo cerchiamo oggi di culturalizzare la guerra, di sublimarla, o cerchiamo invece di spingere alla guerra reale, di provocarla?

Si racconta di D’Annunzio , si dice di una somma consistente che avrebbe ricevuto dalla Francia per favorire l’entrata in guerra dell’Italia a fianco della stessa Francia. E contro l’Austria. Si dice di campagne giornalistiche, oltre all’azione del partito fascista e del governo , per far entrare in guerra l’Italia a fianco .della Germania nella seconda guerra mondiale.

Ugualmente per altre nazioni, per altre guerre , antiche e moderne. Vi è sempre un pericolo esterno da combattere , il cattivo è fuori di noi e va eliminato. Vi è il pericolo giallo, come sosteneva Mussolini, o quello rosso come diceva Churchill , o quello musulmano , come ci si inventa oggi. Gli albanesi vogliono uccidere i serbi e i serbi gli albanesi. Gli indiani d’America sono dei selvaggi pericolosi , violentano le donne bianche e tolgono lo scalpo agli uomini. Bisogna neutralizzarli.

Oggi arrivano delle donne, degli uomini dei bambini da paesi in crisi per vario motivo. Sono quasi sempre di religione e cultura diverse. I cosidetti immigrati. Sono un pericolo che va fermato. Ogni delitto sarà’ in primis attribuito a loro. Ogni difficoltà’ sarà’ per loro colpa o a causa loro.

Prima o poi bisognerà affrontare radicalmente il problema , entrare in guerra con quei paesi, sconfiggerli una volta per tutte. Non solo riaffiora il male fuori noi, ma l’azione concreta per eliminarlo, la crociata, la guerra guerreggiata.

Invece di culturalizzare il conflitto, di sublimare l’azione , si spinge all’azione. Non faremo quindi una guerra per gioco, come chiede il nipotino, ma una guerra vera. Regrediremo dal pensiero all’azione aggressiva, diventeremo (torneremo) distruttivi.

Un’alternativa? L’analisi paziente dei fatti, la ricostruzione storica, la ricerca delle cause. Una prospettiva di ragionamento razionale ,scientifico. Non certo escludere emozioni e sentimenti,ma padroneggiarli, governarli, farli divenire stimoli per azioni costruttive. Idealismo razionalista?

Un ritorno alla lezione illuminista? Forse anche si’.

E quando diciamo (pensiamo): qui ci vorrebbe la pena di morte. Una bomba per eliminarli tutti. La prigione a vita, dobbiamo usare il freno, chiederci il perché di tanta aggressività, fare un passo indietro.

Usare solo la pistola giocattolo.

 

 

2. Emilio Rebecchi: Nonno di chi è il mio corpo?  (da “Inchiesta” aprile-giugno 2015)

 

-Nonno, di chi sono io?

-Cosa ?

Di chi sono? Perché non mi posso mangiare le unghie?

Il piccolo dialogo avviene tra me e Jules, il più’ grande dei miei nipoti francesi, cioè dei figli di mia figlia, che sono nati in Francia. Quando le domande mi sembrano particolari, o di difficile risposta mi chiedo quanto dipenda dalle differenze culturali, e quanto dalla natura del problema che viene proposto.

-Non mi posso mangiare le unghie… Non mi posso scorticare quando cado perché la mamma mi sgrida…

-Perché bisogna aver cura del proprio corpo, rispondo io , mantenerlo in ordine.

-Si, dice Jules, ma di chi é ?! Perché non mi posso toccare

-Toccarti?

Beh sì, hai capito nonno…

Io rido perché’ ho capito che si riferisce alla masturbazione, al toccarsi il pisello

-Chi ti ha detto che non ti puoi toccare?

-La mamma. Dice che a farlo troppo ci si stanca. Dice che è’ meglio non toccarsi troppo.

-Troppo, sì ,dico io. Mai esagerare…

Cerco di cavarmela così , in modo gesuitico si diceva un tempo e mi perdoni papa Francesco. Ma non me la cavo.

-Il mio corpo è mio , conclude Jules. Voglio fare quello che mi pare

Di chi è il nostro corpo? Di chi siamo noi? Quando siamo innamorati a volte diciamo fai di me ciò che vuoi, sono tutto tuo, tua. Quando siamo ammalati chiediamo al dottore di curarci , glielo affidiamo temporaneamente. Quando facciamo sport pericolosi lo mettiamo a volte in grande pericolo. E quando lavoriamo sia manualmente che psichicamente, un Poco lo consumiamo. ” ce lo consumano “. Quando ci suicidiamo , lo distruggiamo tutto di un colpo. E quando ci mandano in guerra ce lo distruggono i famosi nemici.

In guerra è possibile ciò che in pace è vietato, anche di uccidere o di venire uccisi. Di chi siamo durante la guerra? E’ evidente , siamo soldati . Ad Atene prima cittadini e poi soldati. A Sparta prima soldati.

E nelle Sparta di oggi , negli USA , in Cina , in Russia, anche in queste nazioni prima siamo soldati. Cioè’ non siamo nostri, bensì’ dello stato , che ci può’ chiamare quando lo ritiene opportuno, che ci può’ staccare dagli affetti, dagli amori, dai lavori , e farci combattere, e anche morire.

Non siamo nostri allora , ma dello stato , di un’entità superiore che può’ disporre di noi, fare di noi ciò che meglio crede. Siamo, dice la nostra chiesa , la chiesa cattolica apostolica romana, prima di dio . La vita è sacra e non ci appartiene. Dobbiamo portarla con noi , questa vita , rispettarla sempre, attendere con pazienza la nostra morte . E se ci mandano in guerra è forse sbagliato, ma infine bisogna pur difendersi. Dio lo vuole.

Porgi l’altra guancia, diceva Gesù, ma si sa lui era un estremista. Allora a mio nipote che dice il corpo è mio , posso fare ciò che voglio, alle donne (a volte agli uomini) maltrattate e violentate, al soldato che riceve la ferita , il colpo mortale , ai cittadini , i cosidetti civili (perché’ evidentemente i soldati sono per definizione incivili) che muoiono fra le fiamme dei bombardamenti , o per i gas , o per il calore eccessivo della bomba atomica , a tutti questi cosa posso rispondere ? Il vostro corpo , o , diciamolo meglio, la vostra persona, tutta intera di corpo e mente e sentimenti e quant’altro, di chi è ? E’ vostra questa persona oppure no? Oppure é della famiglia? Dello stato? Della chiesa? Il mio corpo, la mia persona é mia oppure della mamma?

Che domande! mi direte , inopportune e provocatorie. Si sa, nella vita bisogna pur accettare che si vive in società, che vi sono delle regole, che ci sono famiglia e patria, il papa e il re, e se qualcuno lo mette in dubbio e’ un anarchico, forse anche pericoloso. La vita infine è misteriosa, non é nostra, ne siamo solo ospiti, dentro un corpo che ci è stato dato in prestito, forse in leasing. Ma chi pagherà’ il riscatto finale? Dio c’è  sempre; toccherà a lui.

Pochi giorni orsono l giornali e la televisione hanno dato notizia dei risultati del referendum in Irlanda sui matrimoni gay , della vittoria del sì. Sullo schermo televisivo ho visto un’immagine della folla che festeggiava. Vi era entusiasmo; volti sorridenti, un’atmosfera di liberazione e di vittoria. Di vittoria per la fine di un’oppressione e di divieti concernenti lo svolgimento della propria vita. Di vittoria della libertà’e per la libertà.

Non erano solo gruppi di omosessuali che festeggiavano il risultato del voto e la possibilità’ di concreti miglioramenti nella loro vita, ma una folla di giovani, di donne, e anche di anziani. Vi era gioia.

Il segretario di stato del Vaticano ha commentato negativamente il risultato del voto ; ha parlato di un dramma per l’umanità’. E’ noto che anche altri religiosi, soprattutto cristiani di rito ortodosso e musulmani, hanno espresso profonda contrarietà’. Questi religiosi ritengono evidentemente di essere i custodi di precetti morali, di avere il diritto di giudicare Ciò che è bene e ciò  che è male, di possedere la verità’ su come si deve vivere e morire. Questi religiosi si comportano come i sacerdoti contro cui polemizzava Gesù’ , ritengono di avere il diritto di condannare in base a una legge che sarebbe nella sostanza morale e naturale, ma che non considera l’essere umano reale. Essi condannano l’adultera alla lapidazione, perché ha peccato. A loro risponde Gesù; lanci la prima pietra chi e’ senza peccato.

Oggi alcuni di noi pensano che i peccati siano altri, e pensano anche che sarebbe bello un mondo senza peccati, ma se si vuol continuare a pensare che alcune condotte non siano condivisibili, non per questo si è’ autorizzati a reprimerle con le leggi. Sarà’ la discussione Degli uni con gli altri a portare a nuovi convincimenti o a confermare quelli tradizionali , non certo il divieto autoritario o l’obbligo.

E si ritorna così a dove siamo partiti. Cosa rispondere a un bambino che chiede? come cogliere la sua verità’ ? e non semplicemente riprodurre la nostra , quella che noi riteniamo la verità’ , ma che non sempre lo è? Diceva Socrate io non lo so , tu lo sai . Diceva Gesù tu l’hai detto. E Freud ci ricorda che esistono differenti teorie a seconda dell’età e dello sviluppo della persona. Siamo proprio sicuri che noi possediamo la verità’ e che il bambino e’ solo un recipiente da riempire?

Nella domanda del bimbo, di chi sono io?, sono contenuti molti problemi, ed alcune certezze. Dovremmo lavorare sui primi, cioè i problemi, ed approfondire le seconde, cioè le . certezze. Ma soprattutto lavorare sul problema della vita. Non e’ vero che sappiamo già’ tutto , anzi quasi niente. Perché’ la vita e di chi la vita.. A che fine viverla?

Di chi sono io? Chiede il bimbo. Dovremmo rispondergli, io credo, che non sappiamo tante cose, che dobbiamo cercarle insieme. Ma che certamente egli è’ suo , perché’ così’ siamo costituiti , come individui che nascono in compagnia, ma muoiono da soli. Individui che nel breve arco di tempo della loro vita, hanno diritto di sperimentare e di conoscere, e non di essere riempiti come otri di credenze e obblighi e paure.

 

Category: Osservatorio internazionale, Psicologia, psicoanalisi, terapie, Welfare e Salute

About Emilio Rebecchi: 
Specilalista in clinica delle malattie nervose e mentali - psicoterapeuta Da dopo la laurea, conseguita a Bologna nel 1965, ha svolto attività clinica e di ricerca presso la clinica delle Malattie Nervose e Mentali dell’Università di Bologna. Dal 1965 al 2000 ha lavorato presso i Servizi Psichiatrici del Servizio Sanitario Nazionale, in Ospedale e nel territorio. Dal 1983 al 2000 è stato Primario del Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura dell’Ospedale S. Orsola Malpighi. Dal 1993 al 1998 ha diretto il Dipartimento di Psichiatria dell’Azienda USL città di Bologna. Dal 2000 svolge l’attività clinica presso l’ambulatorio di Via S. VITTORE 13 a Bologna e attività di consulenza presso la Casa di Cura “Ai Colli”, Villa Bellombra e “Santa Viola”. Ha svolto insegnamenti di Psichiatria Sociale e Psicoterapia presso le Scuole di varie Università: Bologna, Chieti, Ferrara e presso la struttura del Servizio Sanitario Nazionale.
Attualmente ha incarichi presso scuole di specializzazione di Bologna e Teramo.

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